di Alessandro Caiulo
In passato, fin dal Medio Evo, era denominata “la ruota degli esposti” e consisteva in una sorta di bussola girevole di forma ordinariamente cilindrica, di solito costruita in legno, divisa in due parti: una rivolta verso l’esterno e una verso l’interno di un convento o altra struttura similare. Attraverso un apposito sportello chi non voleva prendersi cura del bambino appena nato, aveva la possibilità di metterlo al suo interno, senza essere visto. Girando la ruota, il neonato esposto (dal latino “expositus” cioè abbandonato al suo destino) finiva all’interno, dove lo sportello veniva aperto e al bambino potevano essere assicurate tutte le cure necessarie. Vicino la ruota vi era una campanella, che serviva ad avvisare della presenza del neonato ed anche una feritoia nel muro dove inserire offerte per chi si prendeva cura degli esposti. A volte chi abbandonava il bimbo collocava nella ruota anche un monile o qualche oggettino, utile nel caso in cui, successivamente, avesse voluto riconoscere il proprio pargolo.
Si calcola che sono state decine di migliaia i bambini che, in questo modo, hanno avuto salva la vita e che sono cresciuti nei brefotrofi, i quali si distinguevano dagli orfanotrofi in quanto accoglievano i bambini abbandonati dai genitori e non gli orfani, fino a trovare adozione presso famiglie.
Come curiosità va evidenziato che, in passato, il cognome Esposito veniva assegnato d’ufficio, specialmente in Campania, ai bambini che venivano abbandonati dalla propria madre e, quindi, inseriti nella ruota degli esposti ed è, attualmente quello più diffuso nel capoluogo partenopeo.
Per quanto possa sembrare una pratica crudele ed oggi, fortunatamente, assai più rara, è sempre molto meglio rispetto all’abbandono puro e semplice alle intemperie o magari, come talvolta si è saputo da fatti anche recenti di cronaca, in un cassonetto dei rifiuti. Sono ogni anno molteplici i casi di neonati gettati nella spazzatura o lasciati dove capitava. Sono noti, fra l’altro, solo i casi in cui, per pura casualità, il neonato è stato notato da qualche passante e, a volte, è stato possibile anche salvarlo, ma chissà quanti sono stati i bambini finiti in discarica, senza che di loro si sia mai saputo nulla.
Si tratta sicuramente di un fenomeno drammatico a cui magari si è spinti per disperazione o per solitudine e depressione o costrizione da parte dei famigliari e chi lo fa, probabilmente, è convinto che non vi sia altra alternativa e magari prova vergogna o altro a recarsi presso un ospedale pubblico per lasciare, come pure la legge prevede e consente, il proprio bambino senza doverlo necessariamente riconoscere.
Anche Brindisi, a breve, si potrebbe attrezzare con la “Culla per la vita”, che altro non è che la versione moderna e tecnologicamente avanzata della medievale “Ruota degli Esposti”.
A darne l’annuncio, passato quasi in sordina per via del periodo particolarmente frenetico che si sta vivendo, fra pandemia e guerra, è stato don Mimmo Roma: il parroco della Cattedrale, in occasione della scorsa giornata mondiale per la vita ha comunicato che, insieme al dott. Lorenzo Quartulli, direttore del reparto di Neonatologia, si sta valutando la possibilità di creare anche a Brindisi questo “luogo di vita” presso la chiesetta di Sant’Anna, nel pieno centro storico della città.
Va precisato che si tratterà di una struttura tecnologicamente avanzata, concepita appositamente per permettere di lasciare, totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nell’assoluto rispetto sia della sicurezza del bambino che della riservatezza di chi lo deposita.
Tutto ciò in un luogo facilmente raggiungibile, garantendo, come accennato, l’anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino ed è dotata di una serie di dispositivi – riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h24 e rete con il servizio di soccorso medico – che permettono un facile utilizzo ed un immediato intervento per la salvaguardia del bambino.
Il luogo prescelto, la chiesetta di Sant’Anna, seppure di notevole rilevanza storica ed artistica, è davvero poco conosciuta dai brindisini delle ultime generazioni anche perché l’attuale aspetto esterno a tutto farebbe pensare, se non fosse per un’antica architrave in marmo risalente a mille anni addietro, che ad una chiesa. Eppure fra il 1694 ed il 1886, periodo in cui a seguito di un incendio la vicinissima chiesa di San Benedetto fu inagibile, è stata addirittura parrocchia, per poi essere adibita, nel secolo scorso, a sala ricreativa e di catechismo di quella che venne denominata “parrocchia dei santi Anna e Benedetto”, in tempi più recenti inglobata nella parrocchia della Cattedrale, il cui parroco è, appunto, il giovane e vulcanico don Mimmo Roma.
Si tratta anche del luogo della mia infanzia dove, all’epoca di don Antonio Fella e zia Rita Botrugno, dopo la messa domenicale, noi ragazzini andavamo a vedere i film di terza o quarta visione di Sandokan, Zorro, Flipper, Rintintin, il Corsaro nero e chi più ne ha più ne metta e quando dei magnifici affreschi, databili fra il XIII ed il XIV, che ornano alcuni tratti delle pareti, vi erano solo flebili tracce, quasi invisibili, coperti come erano anche di masserizie.
È con una certa, malcelata emozione che sono tornato sul posto sia per parlare con don Mimmo che per rivedere, con occhio diverso, quegli stessi affreschi, tornati a nuova vita dopo i sapienti lavori di restauro – che purtroppo non hanno riguardato la parte esterna che dà su via San Benedetto – effettuati dieci anni fa su interessamento della Diocesi di Brindisi e Ostuni e che portò, nel 2014, all’inaugurazione, alla presenza dell’Arcivescovo monsignor Domenico Caliandro, della antica chiesetta come sede del Centro studi per la storia diocesana.
Proverò a descrivere, brevemente e per come riesco a comprenderli, questi affreschi che meritano veramente di essere conosciuti e studiati sia per la loro innegabile bellezza davvero facile a cogliersi, sia per la loro importanza dal punto di vista storico e artistico.
Nella controfacciata, a sinistra dell’ingresso principale, vi sono le tracce, purtroppo molto ammalorate, di un santo cavaliere nell’atto di infilzare con la propria lancia le fauci di un drago con le spire avvinghiate fra le zampe del cavallo; in alto vi è quello che sembra essere un “albero della vita”, mentre a destra vi è un bellissimo e quasi fiammante San Michele Arcangelo, anch’egli con la lancia, tenuta con la mano destra, conficcata in un drago dalla testa canina ed il corpo serpentiforme. Al suo fianco c’è San Simeone (un anziano saggio a cui lo Spirito Santo aveva preannunziato che prima di morire avrebbe visto il Messia e che vedendo Maria nel tempio con in braccio Gesù neonato lo riconobbe, lo prese tra le braccia e rese gloria a Dio, dopo di che profetizzò alla madre le vicende dolorose cui sarebbe andata incontro) con in braccio il Bambino benedicente.
Alla sinistra dell’ingresso laterale, vi è una Madonna con Bambino raffigurata secondo l’iconografia greca della Kyriotissa (letteralmente dominatrice del mondo), assisa sul trono come una regina. Sempre sul lato sinistro rispetto all’ingresso laterale, vi sono raffigurate delle scene della vita di Santa Margherita, mentre è andato perso, proprio a causa dell’apertura di quell’ingresso nel secolo scorso, l’affresco relativo proprio alla santa con il capo coronato.
Ma è sulla parete posta a sud, alla destra dell’ingresso principale, dove sono affrescate cinque figure, che vi è, al centro, quella che ha suscitato maggiori emozioni anche pensando a ciò che si vuole creare in questa antica chiesetta. Fra un santo vescovo e San Domenico, posti alla sua destra e un santo rimasto anonimo e la Maddalena, posti alla sua sinistra, vi è la bellissima raffigurazione, davvero unica per Brindisi, della Vergine Maria, col seno scoperto, nell’atto di allattare amorevolmente Gesù Bambino, denominata in greco “Panagìa Galaktotróphousa” e in latino “Virgo Lactans” – un tema di origine bizantina che, nel trecento, divenne molto popolare in occidente – quasi a voler predestinare questo luogo sacro all’accoglienza dei bambini abbandonati.
Ma anche la presenza delle varie raffigurazioni di santi al femminile (oltre alla Madonna, anche la Maddalena e Santa Margherita), risalenti ad un’epoca in cui si prediligevano le raffigurazioni maschili, oltre che Simeone con in braccio il Bambinello, fa della chiesetta intitolata a Sant’Anna, che della Vergine Maria fu la madre ed è universalmente riconosciuta come la santa patrona delle partorienti, un posto davvero speciale dove far sorgere la Culla della Vita.
Come ultima curiosità va detto che in passato, nella vicina Ceglie Messapica, la ruota degli esposti era posizionata in una chiesa intitolata proprio a Sant’Anna ed era lì che venivano portati ed abbandonati i bambini che dalle nostre parti erano conosciuti come figli di nessuno.
Ed è di questo che abbiamo parlato con Don Mimmo Roma, sorpreso quasi quanto me, nell’aver scoperto che oltre al simbolo che rappresenta Sant’Anna ci sono, negli affreschi che abbiamo visto assieme, numerose altre ed inaspettate coincidenze che si potrebbero anche definire “dioincidenze”, un neologismo per definire i segnali lanciati dalla Divina Provvidenza.
“La culla per la vita – tiene a precisare don Mimmo con il solito entusiasmo coinvolgente che contraddistingue tutte le sue iniziative e che lo rende molto amato in città – ha un significato enorme in termini di accoglienza e pertanto la nostra città, che dell’accoglienza ha fatto il suo vanto, si vuol dotare anche di questa ulteriore attenzione. Ovviamente noi speriamo che non debba mai servire e che nessuna madre voglia, per disperazione o altro, abbandonare il suo bambino, però si tratta di un’occasione, di una possibilità che viene concessa che è alternativa e migliore rispetto al semplice abbandono al proprio destino, una alternativa intrisa oltre che della cultura e dei valori dell’accoglienza anche di quelli della vita e della premurosa attenzione verso i più deboli. Il che significa custodire la vita nascente e prendersene amorevolmente cura, per cui credo che sia una gran bella iniziativa. Chiaramente la chiesa di Sant’Anna è anche paradigmatica in questo contesto proprio perché Sant’Anna è la patrona delle partorienti e quindi un pensiero affettuoso ed una preghiera corre verso quelle madri che giungono a prendere questa sofferta decisione e per noi significa anche voglia di starle accanto, di comprendere il loro dolore ed il loro gesto ed affidarle all’intercessione di Sant’Anna”.