«Non solo curare ma anche prendersi cura: a un’oncologa mesagnese il «Laudato medico»

di Marina Poci

Per eleggerla “Laudato Medico” 2020 nella categoria “Oncologia” l’hanno votata in centinaia, pazienti che ha curato e guarito, ma anche confortato e incoraggiato: Stefania Guarino, oncologa mesagnese 41enne, attualmente in servizio presso l’ASUR Marche Area Vasta 1, nel Presidio Ospedaliero di Urbino, ha ricevuto il 30 novembre scorso il prestigioso riconoscimento che da quattro anni l’associazione Europa Donna Italia assegna, sulla base dei voti espressi dalle pazienti, alle quattro categorie di medici che trattano il cancro al seno, dalla diagnosi alle terapie: radiologi, chirurghi, oncologi, radioterapisti.
Nel corso di una cerimonia che non ha risparmiato ai vincitori emozione e commozione (nonostante fosse in diretta streaming per ragioni di sicurezza legate all’emergenza sanitaria), la dottoressa Guarino è stata insignita del premio “istituito per preservare l’eredità umana del professor Umberto Veronesi promuovendo l’accoglienza, l’ascolto, la comunicazione e la vicinanza al paziente”.
“Il principio è che non bisogna soltanto curare, ma anche prendersi cura”, afferma la neopremiata, laureata nel 2003 in Medicina e Chirurgia all’Università degli Studi di Ferrara, presso la quale si è specializzata in Oncologia Medica nel 2007, lavorando successivamente presso l’azienda ospedaliera della città degli Estensi. Da quando si è trasferita all’ospedale di Urbino, si occupa prevalentemente di cancro della mammella, coordinando la relativa Breast Unit, il percorso multidisciplinare che prevede l’intervento contemporaneo sullo stesso caso clinico di più professionisti con specializzazioni diverse, di modo che la paziente presa in carico sia seguita dallo stesso gruppo di medici in fase di diagnosi, di cura e di controlli periodici successivi.
Oltre alla Guarino, al Premio “Laudato Medico” 2020 erano candidati altri due medici della Breast Unit di Urbino, il chirurgo Cesare Magalotti e la radiologa Paola Manna, circostanza che dimostra, una volta di più, quanto la multidisciplinarietà sia un valore aggiunto di fondamentale importanza per la cura del cancro più diffuso tra le donne.
Che significato ha per lei questo riconoscimento?
“Sono, naturalmente, onorata. È un riconoscimento che premia l’accoglienza, l’empatia e la chiarezza, requisiti che ogni medico dovrebbe avere quando si rapporta ai suoi pazienti. Sapere che le donne che curo mi riconoscono queste caratteristiche mi rende orgogliosa del mio percorso professionale, perché sono sempre stata convinta che un adeguato approccio umano non può che facilitare la cura di ogni malattia, anche la più lieve. Nella presa in carico di una patologia che di semplice ha ben poco diventa, però, diventa imprescindibile”.
Che ruolo ha, soprattutto per alcune patologie, riuscire a fare sintesi tra l’attenzione agli aspetti umani e le competenze medico-scientifiche?
“Per quella che è la mia esperienza, ha un ruolo importantissimo. Anzi, direi proprio che è un fattore prognostico favorevole. Le dico di più: è una componente che aiuta non soltanto il paziente, ma anche il medico. Per noi professionisti è importante avere la fiducia e la stima delle persone che curiamo, perché ci dimostra che il nostro lavoro è apprezzato. Relativamente al cancro al seno, il cui percorso di cura è lungo e spesso molto articolato, la vicinanza continua tra medico e paziente è ciò che fa la differenza”.
La differenza, sul piano della cura e della prognosi, la fanno anche le Breast Unit?
“Sì, sono fondamentali. Lavorare in equipe, confrontarsi con i colleghi di altre discipline, interagire in diversi momenti del percorso terapeutico sono aspetti importanti in ogni campo della scienza, ma ritengo che siano indispensabili in una patologia complessa come il cancro della mammella. Tanto è vero che tutti i professionisti che lavorano nelle Breast Unit sono specificatamente formati in questo campo e dedicano la maggior parte del loro tempo allo studio e alla cura di questa neoplasia e delle diverse modalità in cui si manifesta. Perché, è bene chiarirlo, il cancro della mammella non è uno solo ed è necessario approntare strategie terapeutiche differenti. Ci sono pazienti che iniziano con la chemioterapia e arrivano dopo diversi mesi ad un trattamento chirurgico; pazienti che iniziano con un intervento chirurgico e arrivano successivamente a cure, per esempio ormonali, biologiche, a bersaglio molecolare, che possono durare anche diversi anni; ci sono infine pazienti che al trattamento chirurgico non arriveranno mai, perché per esempio sono metastatiche già al momento della diagnosi, e devono essere curate soltanto farmacologicamente per cercare di cronicizzare il più possibile la malattia. Di fronte ad una tale diversità, ogni professionista deve dare il suo contributo. Infatti, oltre a radiologi, chirurghi e oncologi, che costituiscono il team di base, di una buona Breast Unit fanno parte radioterapisti, chirurghi plastici, genetisti, fisiatri, fisioterapisti e psiconcologi”.
Nonostante i messaggi positivi lanciati nelle varie iniziative di sensibilizzazione, come l’Ottobre Rosa, di cancro al seno si continua a morire.
“Molto meno di prima. È una delle patologie tumorali più curabili, se diagnosticata in tempo. In molte regioni italiane il programma di screening, che è lo strumento migliore che abbiamo per combattere il cancro alla mammella, funziona piuttosto bene. L’anticipazione diagnostica è fondamentale, perché scoprirlo mentre è ancora in stadio 1 significa sostanzialmente guarire, tranne in rare eccezioni di tumori estremamente aggressivi”.
Ha citato i genetisti: ritiene che in merito alle mutazioni genetiche BRCA1 e BRCA2, che predispongono al cancro alla mammella, il nostro Paese sia allineato agli standard internazionali per quanto riguarda ricerca e cura?
“Posso dire di sì. I tumori ereditari sono meno del 10% di tutte le diagnosi che facciamo annualmente. Certamente è essenziale individuarli, per identificare le pazienti più predisposte a sviluppare questa patologia e offrire, a loro e ai loro famigliari, le opzioni terapeutiche migliori. Proprio nel campo dei tumori a carattere ereditario, la medicina sta facendo negli ultimi anni passi da gigante. Ad esempio, oltre alle mutazioni da lei citate, se ne stanno studiando delle altre. Da oncologa, mi auguro che queste ricerche possano ampliare ancora di più il ventaglio delle cure, dato che spesso il cancro della mammella derivante da mutazioni genetiche è molto aggressivo.”
Considerata l’attuale emergenza sanitaria, che tipo di criticità state affrontando, come Breast Unit, nella gestione dell’ordinario carico di lavoro?
“L’attività della Breast Unit in tutto il periodo della pandemia non si è mai fermata, sia per quanto riguarda la diagnosi, sia per quanto riguarda la chirurgia e le terapie. Abbiamo garantito il servizio malgrado le difficoltà legate al Covid-19. Probabilmente l’aspetto che ne ha risentito di più è quello del follow-up, nel senso che i controlli sono stati effettuati in maniera più semplificata, tramite chiamate telefoniche e la visione della documentazione via mail, ma nessuna delle nostre pazienti è stata abbandonata, nemmeno nei momenti più difficili dell’emergenza”.
Qual è la domanda che le fanno più spesso le sue pazienti?
“Le domande più frequenti riguardano la prognosi. Mi chiedono principalmente se riusciranno a salvarsi. La diagnosi di cancro è molto difficile da accettare e spesso la paura del futuro prende il sopravvento. Ma io sono un’ottimista per natura, per cui cerco di indicare la luce dove le donne vedono soltanto buio”.
C’è una dedica per questo premio?
“Più che una dedica, farei un ringraziamento. Prima di tutto alle donne che mi hanno votato, perché hanno dato un senso al mio lavoro quotidiano. E poi alla Breast Unit di Urbino, a cui appartengo: questo riconoscimento esiste perché esiste questo contesto di equipe e il percorso di efficienza terapeutica che garantisce. Il fatto che tre colleghi facenti parte della stessa unità siano arrivati in finale significa che stiamo lavorando nel modo giusto e che le pazienti riconoscono i nostri sforzi di unire gli aspetti umani a quelli strettamente medici”.