Oria, il cammino della “perdonanza” ai Santi Medici

Il cammino di questa settimana ha come meta, il celebre Santuario dei Santi Medici ad Oria. Un luogo che ha unito per decenni, la devozione popolare ai Santi guaritori, con la evoluzione sociale del Salento. Non esisteva famiglia che non rispettasse l’annuale visita al Santuario, non c’era bambino che non fosse attratto dallo zoo e da quello scivolo in calcestruzzo, che 50 anni fa era l’attrazione fatale, per le migliaia di bambini che vi si accalcavano attorno, conquistando la rampa.
Non esisteva visita al Santuario che non terminasse nel limitrofo mercato, fantastico caleidoscopio di una società contadina che s’apprestava a cambiare passo. Fino a 60 anni fa, fare visita al Santuario era impresa che investiva le modeste risorse di una famiglia, che si apprestava al “cammino penitenziale” della perdonanza, un bisogno intimo e profondo di riconnettersi con la guarigione, magari fisica, reduci da una caduta, un intervento chirurgico, ma anche alla ricerca di quel medicinale che tutti ritenevano unanimemente efficace, che era il perdono dei Santi che seguiva la confessione con un religioso, tra i tanti che garantivano l’ascolto e la mediazione col divino.
Chi a piedi, a dorso di un asino, chi su un calesse, chi su un traino di cavalli, chi con le prime autovetture e chi s’industriava a trasformare i primi autocarri in improbabili ma efficaci e ridenti comitive di famiglie, che ai Santi portavano le loro angosce private, insieme al piacere di condividere con loro, le modeste serenità di cui li si riteneva protettori.
Le visite prevedevano la visita alla sala degli ex-voto a corroborare con la visione dei reperti lasciati in dono ai Santi, la propria speranza di guarigione.
Era quella la società che s’avventurava nei fatidici anni ’60 e a quel boom economico, che ci avrebbe resi tutti più ottimisti, più ricchi, forse, di quella ricchezza abbagliante, ma sbagliata, di cui ci si accorge solo oggi.
Il cammino che conduceva ai Santi taumaturghi per eccellenza, nasceva quindi da una radice profonda, magari semplice, ma forte e la strada che conduceva era l’arteria minima, fatta delle prime strade asfaltate, ma più spesso di sentieri appena accennati, su cui lo stridore del ferro della ruota del calesse era suono della fatica nei campi di quella umanità povera, ma tanto desiderosa di normalità.
Ai calessi, alle file dei “pellegrini in cerca di perdonanza” a piedi, si sono sostituite le auto, sempre più comode, veloci, tanto che la strada provinciale 61, che conduce dal Santuario di Santa Lucia ad Erchie ai Santi Medici, una volta, necessaria al cammino di perdonanza, che prevedeva il rito del lavaggio degli occhi con l’acqua della fonte nella caverna del Santuario di Erchie, non è più praticato ed il tratto di strada che si snoda tra una ininterrotta teoria di ulivi, non vede il passaggio di nessun pellegrino.
Così come mi ha abituato mio padre che mi ripeteva: “A San Cosimo andiamo quando non c’è molta gente, evitiamo i giorni della festa”, prendo il cammino da Brindisi a bordo della comoda vettura che mi accompagna con due compagni di pellegrinaggio che mi assisteranno per le foto ed il video.
La direttrice per Taranto permette di raggiungere Oria in qualche decina di minuti e da lì raggiungere il Santuario è altrettanto rapido. Mi fermo solo un minuto, perché a farla a piedi la via ciclabile a lato di Via Carlo Pisacane, che traguarda il Santuario, non ne sarei capace, ma a percorrerla non è che di pellegrini ce ne siano tanti, anzi, nessuno.
È lunedì 28 e la celebrazione del 26, mi preoccupo, potrebbe ancora occupare le visite, ma mio malgrado l’amplissima area di parcheggio è completamente vuota, come tutto intorno al santuario e la mastodontica sala liturgica, buona anche per tenerci incontri e convegni è chiusa. Percorro il tratto di piazzale, da solo, con un bellissimo ed affezionatissimo cane che mi lascia all’ingresso, per accovacciarsi dinanzi alla porta, in attesa del mio ritorno.
La possente struttura reclama rispetto ed invita alla concentrazione, chi sa e può, prega.
Entro e rimango sconcertato: non c’è nessuno, un lungo nastro recinge le panche ad indicare il percorso d’entrata ed uscita. Raggiugo l’altare dove sono esposte le immagini venerate dei Santi Medici gemelli ed il silenzio che mi attornia, non nasconde rumori, attese, sensazioni, ha proprio il profumo del vuoto.
Nella teca dove si ripongono i pensieri e le preghiere, rivolte ai Santi, pochi biglietti, forse 10.
Il muto silenzio esalta lo stanco piede di chi vorrebbe fermarsi a pensare, forse meditare. Mi sorprende la presenza di luoghi adatti per la confessione, quel rito di riconciliazione che per i cattolici è momento essenziale e propedeutico alla rigenerazione, ma in nessuno di essi c’è qualcuno. Sono solo.
All’uscita il cane, fedele custode mi si accosta e come se mi volesse indicare la via, mi accompagna nell’ampia area interna che una volta era animata da mille e mille anime, da mille e mille sorrisi, quando il dolore, l’afflizione, si abbracciava al vociare chiassoso di chi ricevuta la benedizione si apriva alla festa, allegra, spensierata, curiosa di quegli spazi che aprivano orizzonti positivi: lo zoo, primo fra tutti.
Di tanto poco resta, un mansueto segnale che porge al visitatore il benvenuto ed elementari norme di comportamento, che mi recito per non restare solo.
Lo sguardo disincantato allo scivolo che faceva sognare, al cancello dello zoo che non custodisce più nulla e alla vasta area del mercato dove l’immagine datata di Mario Bross e la principessa Peach, retaggio degli anni ’80, si proclamano reali di un regno che non c’è più, di un luogo che non racconta, non affascina e non attrae la nuova generazione che si nutre di incertezze e lacunose conoscenze.
Quale e quanta storia ci sia nel culto dei Santi Medici lo raccontano in tanti, mi piace sottoporre al lettore questa breve ricostruzione: “I Santi Medici Cosma e Damiano, che vengono festeggiati il 26 settembre, erano originari dell’Arabia o della Siria e svolsero la loro opera in Turchia, venendo martirizzati agli inizi del IV secolo nel corso della persecuzione di Diocleziano. Sono conosciuti come Santi Anàrgiri” (dal greco anargyroi, che significa “senza denaro” perché curavano i malati senza percepire alcun compenso. Erano così ossequiosi a tale consegna che, quando Cosma accettò il regalo di tre uova da una donna che aveva curato, suo fratello amareggiato decise di non voler essere sepolto accanto a lui. Dopo il martirio, però, mentre li stavano seppellendo in tombe diverse, prodigiosamente un cammello iniziò a parlare rivelando che Cosma aveva accettato quelle uova solo per non umiliare la donna. Di conseguenza, i due fratelli furono uniti nella sepoltura.
Il loro culto giunse in Puglia a metà del VI secolo, quando Sabino vescovo di Canosa, futuro santo, fece innalzare nella sua città una chiesa dedicata ai SS. Medici. Essi vennero così diffusamente venerati in età medievale, quando le malattie venivano considerate opere diaboliche e quindi potevano essere curate solo per intercessione dei santi taumaturghi”.
Dal sito del Comune di Oria apprendo che: “Il Santuario rappresenta da decenni l’ideale centro religioso del Salento. In Puglia, quanto a visitatori, è secondo soltanto a quello di San Giovanni Rotondo…. È meta di migliaia di pellegrini provenienti da tutto il Mezzogiorno.
La devozione per i taumaturghi Cosimo, Damiano, Antimo, Leonzio ed Euprepio in questa zona della Puglia risale al periodo in cui i monaci basiliani, per sfuggire alla persecuzione degli iconoclasti, si rifugiarono in questa campagna indicata come “macchia”, per via della vegetazione spontanea e del tipo di terreno, dove esisteva già un piccolo villaggio che negli anni si è ingrandito grazie al culto dei Santi Medici.
Ancora oggi i fedeli indicano il santuario come “San Cosimo alla Macchia” e nel corso dei secoli – intorno alla prima chiesetta eretta dai basiliani – è sorto un complesso che recentemente, con gli interventi previsti per il Giubileo de] Duemila, è stato restaurato e ampliato.
I vescovi di Oria si sono sempre adoperati per accrescere la fede intorno ai Santi.
Tra i Vescovi di Oria, il pensiero corre a Mons. Armando Franco, che fu pure presidente della Caritas e grande fu il suo contributo all’accoglienza dei migranti, come pure fu molto presente nella lotta al fenomeno del caporalato, quel tragico e schiavista mercato del lavoro dei braccianti agricoli.
Ritornano sui passi ed appena il tempo di un caffè in un centralissimo bar, mi appresto a percorrere la strada che da Oria conduce a Latiano e fatti pochi metri, chiedo di fermarmi dinanzi al mirabile lavoro bronzeo dello scultore brindisino di Latiano Carmelo Conte che della tragedia del caporalato, ha fatto raccontare al duro metallo, le forze e le energie più profonde delle donne, offese, vilipese, uccise, perché loro erano carne da macello.
È dinanzi al freddo metallo, che ha il suono delle urla, che ha il profumo delle uve appena raccolte, che ha la freschezza e la bellezza di quelle donne, che capisco, il valore altissimo che può continuare ad avere il Santuario dei Santi Medici, guarire, la nostra società malata, affetta dal morbo di Alzehimer, che dimentica e vive lo struggente unico giorno della propria esistenza, un eterno oggi, da cui niente e nessuno può salvarci, se non la speranza.