Pellegrinaggi medievali a Brindisi: il racconto attraverso i simboli

Snodo fondamentale dell’itinerario di pellegrinaggio medievale, Brindisi conserva numerose e interessanti testimonianze artistiche e iconografiche, che vanno dalle opere di scultura, pittura e architettoniche, della partecipazione locale al culto e al passaggio dei pellegrini diretti ai luoghi sacri della cristianità.
Il prof. Giuseppe Marella, noto ed apprezzato studioso medievalista brindisino, ha dottamente approfondito questi aspetti nei suoi lavori di ricerca e nelle sue interessanti pubblicazioni, illustrando anche elementi poco noti dell’arte salentina e pugliese risalenti all’epoca considerata. Tra la fine dell’XI e la prima metà del XIII secolo la Puglia è stata un’area centrale e strategica per chi era diretto alla Gerusalemme celeste e in Terrasanta, un lungo itinerario da percorrere sulla terraferma prima di imbarcarsi dai vari scali della regione, Siponto, Barletta, Trani, Molfetta, Monopoli, Otranto e “in primo luogo dal porto di Brindisi, città del regno di Puglia, per tre giorni e tre notti si attraversa il mare” (Innominatus III, sec. XII). La nostra città in quei secoli tornò ad essere la naturale testa di ponte per l’Oriente come già era stata in età romana, da qui i viandanti si imbarcavano “necessariamente nell’andare, ò nel ritornare, e talvolta vi facevano lunga dimora” (A. Della Monaca, 1674). I flussi di pellegrini verso l’Oltremare, nel giro di qualche decennio, divennero sempre più cospicui, così come “le spedizioni armate che vanno sotto il nome di crociate, considerate a ragione dagli studiosi una variante armata dello stesso pellegrinaggio” spiega lo studioso brindisino in un suo lavoro del 2014. Il transito dei fedeli in marcia si concentrò soprattutto lungo l’antica via Traiana, talvolta indicata sui documenti come “francigena”, e su alcune arterie minori: “è proprio lungo tali percorsi che si sviluppa nel tempo una produzione artistica peculiare, dove si riconosce una comunanza stilistica con l’arte monumentale crociata”. Gli edifici sacri, dai grandi santuari alle piccole cappelle di campagna, e le figurazioni sacre incontrate lungo il cammino, “erano accortamente predisposte dalla Chiesa della Riforma per promuovere i viaggi devozionali e le spedizioni crociate, e ricavarne consenso. Tali incontri accompagnavano il suo cammino, ne dettavano i tempi di marcia e di sosta, i momenti di preghiera”.
In questa fase prese forma anche il fenomeno delle imitazioni architettoniche degli edifici, focalizzate soprattutto nella basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, il complesso edificato a partire dal 326 dall’imperatore Costantino per esporre la Tomba di Cristo. Le “imitationes” del tempio si moltiplicano in modo esponenziale tra il 1099 e il 1187: dal Piemonte alla Lombardia, dal Lazio alla Puglia i pellegrini incontravano lungo il percorso una serie di copie della Rotonda della Resurrezione, queste “offrivano la possibilità di un pellegrinaggio quantomeno mentale a coloro che erano impossibilitati a compierlo fattualmente – chiarisce il prof. Marella – ed inoltre, offrendosi ai fedeli come un’anticipazione delle gioie visive della Terrasanta, stimolavano costoro alla partenza o alla prosecuzione del cammino”. I numerosi studi hanno ampiamente sottolineato come la chiesetta brindisina di san Giovanni al Sepolcro, “l’unica testimonianza monumentale sopravvissuta e la prima a comparire nei documenti”, sia una delle più interessanti riproduzioni occidentali dell’Anastasis della Città Santa, “in particolare essa riprende l’assetto del vano centrale circolare, che a Brindisi risulta però ridotto ad otto colonne, ciò a riverberare la molteplicità dei significati simbolici del santuario, sia nella forma che nella ripetizione del numero otto. Qui i fedeli percepivano con immediatezza tutta una trama di significati e di rimandi religiosi, a partire dal messaggio di Salvezza finale legato al sepolcro e alla Resurrezione”. Il prof. Marella pone l’attenzione anche sull’interessante graffito presente sulla parete esterna del tempietto, nei pressi del portale occidentale (quello più antico che immette nel suggestivo giardinetto), dove è incisa l’immagine di una nave con alla prua una testa zoomorfa, si tratta della tipica drakkar, la formidabile nave “drago” vichinga utilizzata nel medioevo per il trasporto dei pellegrini in Terrasanta: “il segno allude chiaramente al viaggio via mare verso l’Oriente, è un simbolo del viaggio salvifico dei fedeli tra le insidie del peccato, espressione della religiosità spontanea e popolare dei pellegrini di passaggio. Imbarcarsi nel Medioevo era impresa rischiosissima – illustra lo studioso brindisino – si andava incontro ad un destino ignoto, con le tempeste marine, i naufragi e la morte sempre in agguato. I naviganti si ponevano sotto la protezione di Dio e si affidavano al Suo giudizio: ‘in nome di Dio facemmo vela’, recita la formula propiziatoria dei loro diari di viaggio, e al ritorno in Occidente lodavano il Signore con tutto il cuore per lo scampato pericolo”.
Erano tre le “peregrinationes maiores” nel medioevo: Gerusalemme e la Terra Santa, luoghi della vita e passione di Cristo, Roma e la tomba di Pietro, il centro della cristianità, e Santiago di Compostela, meta sorta per fede popolare come “Cammino della spada a difesa del cristianesimo”. Anche per quest’ultima destinazione in Puglia esistono numerose attestazioni e testimonianze documentarie, illustrative e letterarie, che contribuirono allo sviluppo della devozione locale dell’apostolo Giacomo, detto il Maggiore, e a stimolare la partenza di pellegrini pugliesi per la Galizia. Sino al XVIII secolo qui sono sorte chiese e strutture di accoglienza dedicate al Santo, gestite in gran parte dall’ordine benedettino, e si è contribuito considerevolmente alla raccolta delle offerte destinate al completamento della maestosa cattedrale nella città spagnola sorta attorno al sepolcro del predicatore. Il legame tra la Puglia e Santiago è evidente non solo nella presenza attrattiva dei suoi santuari (su tutti San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo) ma anche nell’insieme dei miracoli e delle tradizioni popolari conservate su entrambi i versanti: a Mesagne era frequente il detto “Qua è Roma e qua è San Giacomo”, locuzione originata da un consiglio di un eremita a un cavaliere per riparare ai propri peccati, riportata in un racconto francese del XIII secolo.
Nel territorio brindisino esistono importanti riferimenti al culto dell’apostolo e martire, attinenze che “riflettono la devozione compostelliana sul versante adriatico”. La più importante è certamente la chiesetta quattrocentesca dedicata a san Giacomo di Compostella, costruita sulle mura aragonesi del centro storico di Ostuni dal nobile di origine spagnola Pietro Caballerio, probabilmente per un voto inteso a risarcire il mancato pellegrinaggio a Santiago. A Brindisi, nella straordinaria chiesa di Santa Maria del Casale, si conferma l’affiancamento tra il culto di san Giacomo e la devozione per la Madonna. Qui, su un affresco risalente al XIV secolo, sopravvivono più esemplari dell’inconfondibile conchiglia, il simbolo iconografico della tradizione Jacopea: sull’intero angolo superiore del transetto, a sinistra dell’altare, lo sfondo rosso cupo è arricchito da grandi conchiglie dorate, un motivo che si ripete nella parte bassa della parete, sulla gualdrappa di un cavallo bardato, un dipinto visibile solo in parte poiché sovrapposto da un ciclo di pannelli votivi. San Giacomo è inoltre raffigurato, nella consueta somiglianza con il volto di Cristo, sull’affresco del Giudizio Universale realizzato da Rinaldo da Taranto sulla controfacciata della chiesa monumento nazionale.
Chiudiamo con una curiosità: l’origine dell’espressione “le gambe fanno Giacomo Giacomo” viene attribuita alla debolezza vacillante delle gambe dei pellegrini causata dalla fatica del Cammino per San Giacomo (Santiago) di Compostella.