di Alessandro Caiulo
Sembra che non si sia trattato della fisima un po’ retrò di associazioni ambientaliste, ripresa da buona parte del mondo politico locale e cavalcata anche dal presidente del Consorzio dell’Area di Sviluppo Industriale di Brindisi, destando qualche preoccupazione anche in S.E. l’Arcivescovo di Brindisi, ma, effettivamente, il P.R.P. (acronimo di Piano Regolatore Portuale) proposto dalla AdSPMAM (è il lungo acronimo di Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale) – ente pubblico con sede in Bari, che dovrebbe sottendere a funzioni amministrativo/burocratiche oltre che nei porti di Bari, Manfredonia e Monopoli anche in quello di Brindisi e che, almeno dalle nostre parti, invadendo il campo della politica, sembra voler dettare tempi e modi alla Città, quasi a poter stabilire, in assoluta autonomia, ciò che s’ha da fare e ciò che non va fatto – pare davvero far acqua da tutte le parti, come è stato di recente messo nero su bianco da gente preparata, di grande spessore culturale e scevra da interessi partigiani, come la Soprintendente arch.Francesca Riccio, il funzionario archeologo dott.ssa Serena Strafella e il responsabile del procedimento arch.Marzia Angelini della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi e Lecce e la Soprintendente dott.ssa Barbara Davidde, il collaboratore archeologo dott.ssa Alessandra Dell’Anna e il responsabile del procedimento dott. Angelo Michele Raguso della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo.
In particolare vogliamo prendere spunto da quanto sottoscritto dalla Soprintendente Francesca Riccio, che è anche Funzionario presso il Segretariato Generale–Ufficio UNESCO del Ministero della Cultura, nelle valutazioni in merito ai contenuti, agli obiettivi e alle metodologie previsti nel rapporto ambientale del Piano Regolatore del Porto di Brindisi, ai fini della tutela, della salvaguardia e della valorizzazione dei beni costituenti il patrimonio culturale.
Nella premessa si sottolinea la oggettiva importanza nella sua conclamata unicità del Porto di Brindisi: “L’area oggetto di pianificazione si colloca al termine di una profonda insenatura che caratterizza il tratto di costa antistante la città e si distingue per la sua forma particolarmente articolata in tre bacini: il porto esterno, protetto dalle Isole Pedagne, il porto medio, chiuso dall’Isola di sant’Andrea e il porto interno, contraddistinto da due profonde insenature denominate seno di Levante e Seno di Ponente – la cui conformazione è stata determinata nel corso dei secoli dalle foci dei canali Cillarese e Patri – e chiuso dal Canale Pigonati, il quale costituisce l’accesso storico del porto di Brindisi e ad oggi funge da collegamento con il porto medio. Proprio la particolare conformazione del bacino portuale ha fin dalle epoche più antiche favorito l’insediamento umano, finalizzata allo sfruttamento della risorsa offerta dalla possibilità di dare riparo alle imbarcazioni e avere un controllo capillare del territorio circostante e del mare dal tratto di costa che si estende al di fuori del porto interno, sulle due sponde del porto esterno, dalle quali la vista spazia rispettivamente verso nord-est e sud-est, offrendo la possibilità di assicurare il controllo di una vasta porzione di spazio marino. La lettura dell’evoluzione morfologica della linea di costa nel porto di Brindisi può essere fatta confrontando la cartografia storica con la vista aerea attuale. La configurazione del porto interno, del canale Pigonati e del suo imbocco dall’esterno, identificata nel Piano Regolatore del Porto di Brindisi del 1905, si è conservata sostanzialmente integra nel corso dei secoli, fatta salva la presenza di nuove pavimentazioni e recinzioni, mentre nel porto medio sono state realizzate recenti nuove opere di banchinamento (…) Il contesto paesaggistico e culturale di eccezionale rilevanza in cui è sorto il porto è dettato dalla particolare combinazione che si è determinata tra elementi naturalistici e fattori antropico/culturali e risulta notevolmente variegato anche in virtù della presenza degli stabilimenti industriali, in parte in esercizio e in parte dismessi, ubicati lungo la linea di costa meridionale”. Quanto a beni archeologici la relazione sottolinea che l’area portuale include il promontorio di Punta delle Terrare, che ospita il più antico insediamento finora attestato a Brindisi.
Non è un caso che nel corso di campagne di scavo sono stati rinvenuti reperti ridalwenti all’Età del Bronzo, ora custoditi nel Museo di Brindisi, dove vi sono anche manufatti statuari di epoca romana, ritrovati nel XIX secolo da Giovanni Tarantini, canonico, archeologo e direttore del museo, a Sant’Apollinare, testimonianza delle antiche terme romane; di ciò riferisce, all’inizio del secolo scorso, anche don Pasquale Camassa, che tanto si oppose all’opera distruttrice dell’uomo.
La relazione si sofferma sui beni architettonici presenti nell’area interessata dal PRP: “I monumenti sorti a Brindisi nel corso dei secoli caratterizzano l’area portuale, l’area urbana e periurbana e raccontano le varie tappe del suo sviluppo. La grande valenza storica e culturale del porto di Brindisi ha consentito nel corso dei secoli lo sviluppo culturale, commerciale e turistico della città e del suo bacino territoriale e la realizzazione di rilevanti monumenti strettamente interrelati con le funzioni del porto e con la presenza del mare, tra i quali si citano, tra i più rilevanti: il Monumento al Marinaio e l’ex Collegio Navale Niccolò Tommaseo prospicienti il seno di ponente; la Stazione marittima e l’ex Stabilimento Montecatini prospicienti il seno di levante; nel porto medio inoltre, nei pressi del sito che ospita le straordinarie testimonianze archeologiche di età protostorica e romana di Punta Le Terrare, si trova Villa Skirmunt e, mentre sulla costa settentrionale emerge Forte a Mare, che costituisce in assoluto il più rilevante monumento ubicato nell’area portuale; sul porto esterno, infine, prospetta l’Idrovoro di Bonifica sulla foce di Fiume Grande e il Faro delle Pedagne. Lo stesso waterfront urbano di Brindisi è caratterizzato da una successione senza soluzione di continuità di monumenti di notevole rilevanza (Stazione marittima, Banca di Italia e piazza prospiciente, Magazzini della Dogana, Casa del Turista, Colonne Romane con la Scalinata Virgiliana), in stretto rapporto di intervisibilità con l’area oggetto di pianificazione. Proseguendo lungo il seno di Ponente un grande rilievo assume anche il Castello Svevo e tutti i monumenti inclusi nel comprensorio della Marina Militare”.
Un cenno vien fatto anche alla candidatura a patrimonio Unesco dell’Appia Antica Regina Viarum di cui il porto di Brindisi è non solo parte integrante ma terminale della via consolare, “un’area che deve garantire un livello di protezione aggiuntiva ai beni riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità” (Linee Guida Operative Unesco).
“A riprova del ruolo svolto dal Porto di Brindisi in età romana – continua la Soprintendenza – vi sono anche le numerose segnalazioni e ritrovamenti attribuibili a relitti databili dall’età tardo repubblicana al pieno medioevo e testimoniati in qualche caso solo dalla presenza delle zavorre, in molti casi dalla presenza anche in parte del carico e del fasciame ligneo”.
E tanti reperti archeologici sicuramente presenti nei fondali del porto, alcuni dei quali casualmente riportati in superficie (ad esempio la nota epigrafe latina del “mercante ignoto” risalente al primo secolo d.C.) giacciono ancora in fondo al mare, ma di questi aspetti tratta più approfonditamente la relazione dell’altra Soprintendenza, quella Nazionale per il Patrimonio Subacqueo, che approfondiremo in altra occasione.
Occupandosi la Soprintendenza di Brindisi e Lecce non solo di Archeologia e Belle Arti, ma pure di Paesaggio, nella sua valutazione approfondisce argomenti che stanno a cuore a chi ama la natura e predilige il turismo naturalistico-paesaggistico: “Il contesto paesaggistico e culturale di eccezionale valenza in cui sono ubicati i monumenti sopra descritti, determinato dalla singolare combinazione tra elementi naturalistici e fattori antropico/culturali, è attestato dalle tutele del Codice dei beni culturali e paesaggistici e dalle ulteriori tutele stabilite nel piano paesaggistico regionale”.
Segue l’elenco dei beni e dei contesti paesaggistici, con cui l’area portuale di Brindisi interferisce e di cui il Piano Regolatore Portuale dovrà necessariamente tenere conto, ovvero le componenti: a) idrogeologiche, i cui beni paesaggistici sono costituiti dai territori costieri, tutelati per legge (vincolo di 300 metri dalla linea della battigia) e quelli costituiti da fiumi, torrenti e acque pubbliche (Fiume Piccolo, Canale Patri, Cillarese); b) botanico vegetazionali (e, di conseguenza, faunistiche, ndr), le aree umide di Fiume Grande e le formazioni arbustive in evoluzione, ubicate ai margini dello stesso fiume, per le quali esistono espresse misure di salvaguardia ed utilizzazione; c) delle Aree protette e dei Siti Naturalistici come il Parco Naturale Regionale delle Saline di Punta della Contessa (di cui Fiume Grande, in area industriale, è parte integrante e centrale, ndr) e aree di rispetto; d) di interesse archeologico, Punta delle Terrare e aree di rispetto; e) di ulteriori contesti paesaggistici come le testimonianze della stratificazione insediativa dell’ex Magazzino Montecatini e la Strada delle Pedagne.
Vengono, poi, sottolineate le tante criticità del PRP con riferimento agli Obiettivi di Sostenibilità Ambientale, in quanto “si ritiene che in realtà tali obiettivi, se pur enunciati in maniera corretta con riferimento alla tutela del paesaggio, non mostrano coerenza con le previsioni programmatiche del piano che, prevedendo estese sottrazioni dello spazio acqueo a vantaggio della realizzazione di nuove estese piattaforme funzionali, di fatto provocano una estesa e permanente alterazione del profilo della linea di costa, del rapporto consolidato mare/terra che ha determinato come riferito in premessa l’humus per la costituzione di un rilevante patrimonio storico-culturale e, di conseguenza, degli equilibri paesaggistici consolidati. Contrariamente a quanto enunciato in tali obiettivi, più che alla riorganizzazione dello spazio a terra mirata al corretto inserimento paesaggistico degli interventi, l’approccio sotteso alla pianificazione in esame sembrerebbe essere quello di perseguire una progressiva e sempre più consistente riduzione dello specchio acqueo che oltre a trasformare radicalmente la conformazione storica della linea di costa e del bacino portuale, altera irreversibilmente il rapporto dei monumenti, sorti in virtù della presenza del mare, con l’area portuale e con gli elementi naturalistici che le conferiscono un’eccezionale valenza paesaggistica. Tanto in contrasto con gli obiettivi di sostenibilità ambientale enunciati”.
Viene, quindi, evidenziata la presenza di numerose aree retroindustriali dismesse che, recuperate, si presterebbero più correttamente alla valorizzazione delle aree stesse e dell’intero porto.
Segue la puntualizzazione di alcuni aspetti. Per i dragaggi e la gestione dei sedimenti, la pianificazione dovrebbe essere preceduta dalla ricognizione strumentale delle aree che si intendono sottoporre a dragaggio, al fine di minimizzare gli impatti sul patrimonio culturale.
Per Sant’Apollinare, per cui è previsto un esteso banchinamento attorno al promontorio di Punta delle Terrare, il più antico insediamento umano attestato a Brindisi, oggetto di estese indagini archeologiche negli anni Sessanta e Settanta che hanno restituito cospicue testimonianze insediative prevalentemente databili all’età del Bronzo, “nella pianificazione proposta non sono stati considerati gli impatti indiretti che l’attuazione del Piano comporterebbe sull’area archeologica in esame: questa verrebbe a trovarsi completamente inglobata nell’area retroportuale: ne risulterebbero, pertanto, compromesse la lettura e la comprensione della sua originaria funzione insediativa. Gli interventi di banchinamento previsti infliggerebbero un grave danno alla valenza paesaggistica del provvedimento di tutela e alla valenza culturale del Bene, trasformando di fatto l’area archeologica in un’area a servizio delle attività portuali. Danno che, una volta avvenuto il banchinamento, nemmeno un’eventuale azione di valorizzazione potrebbe mai sanare, atteso il radicale e permanente mutamento della morfologia del bacino portuale”.
Per l’Area cantieristica “il PRP prevede per il settore settentrionale, ad ovest dell’isola di S. Andrea, l’ampliamento della funzione del diporto nautico attualmente svolto presso il Marina di Brindisi fino all’isola e il potenziamento del distretto dedicato alla cantieristica attraverso la realizzazione di strutture a mare che consentano di estendere le attività anche a navi di dimensioni superiori di quelle che attualmente lo utilizzano e consentirne l’auspicato sviluppo e razionalizzare l’utilizzo del territorio”. Si deduce pertanto che il settore cantieristica navale, oltre a essere inserito nel nuovo banchinamento progettato presso la colmata di Costa Morena est, viene potenziato nell’area ove è già presente, mediante la “realizzazione di strutture a mare che consentano di estendere le attività anche a navi dimensioni superiori di quelle che attualmente lo utilizzano”. Sul punto emerge una forte criticità, dettata dal fatto che l’area cantieristica, ad oggi esistente e in funzione, si trova a distanza di circa 350 metri dal bene vincolato denominato Forte a Mare in stretto rapporto di intervisibilità con lo stesso, essendo ubicata sulla banchina contrapposta. Si sottolinea al contempo che Forte a Mare è oggetto ad oggi di importanti lavori di restauro finanziati con fondi europei gestiti da questo Ministero, che hanno come obiettivo il completamento del restauro del Forte e perseguono la finalità del recupero integrale e della restituzione alla piena fruizione di un bene per decenni vandalizzato, che negli ultimi anni è diventato oggetto di importanti iniziative di valorizzazione. Stante l’inserimento della funzione cantieristica sulla progettata banchina di Costa Morena Est, nell’ambito di una nuova pianificazione portuale che si pone come obiettivo la sostenibilità, si sarebbe pertanto auspicata la delocalizzazione, o perlomeno il ridimensionamento, della funzione cantieristica dall’area ove adesso è presente, al fine di consentire una maggiore valorizzazione dell’attrattore Forte a Mare, che come già detto costituisce per la sua unicità un bene culturale di straordinaria importanza, fortemente identitario e oggetto di sempre crescenti attenzioni sia in ambito nazionale che internazionale.
Discorso analogo vien fatto per la prevista costruzione di un terminal crociere in corrispondenza del radicamento della diga di Punta Riso: “l’intervento è valutato come criticità in quanto, oltre a comportare la sottrazione di un ulteriore superficie allo specchio acqueo, implica la presenza frequente e ricorrente di navi da crociera, col loro noto impatto dimensionale, in un luogo straordinariamente prossimo a Forte a Mare, col quale entrerebbero in stresso rapporto di intervisibilità, soverchiando dimensionalmente e visivamente il sito culturale e inficiandone i valori. Si devono inoltre considerare anche gli eventuali effetti che potrebbe provocare il moto ondoso nei confronti del complesso monumentale, oltre agli effetti che la gestione di un sovrannumero e di una eccessiva concentrazione di flussi turistici potrebbe provocare sulla attività di gestione e sulle opere di valorizzazione in corso nel Forte e nelle aree contermini. Allo stato attuale (…) si suggerisce un ulteriore approfondimento sui volumi di traffico crocieristico che, tenendo conto della stazza delle navi, del numero di passeggeri previsti, della frequenza degli arrivi e dei giorni di stazionamento, possa portare alla valutazione di soluzioni alternative.
Con riferimento alle opere di banchinamento e colmamento in essere e previsti fra Capobianco, Molo Polimeri, Costa Morena e Fiume Grande, “tale ampliamento delle superfici a terra, con conseguente enorme sottrazione di superficie allo specchio acqueo, è ritenuta una fortissima criticità in quanto, oltre al dato dimensionale di consumo di specchio acqueo del tutto fuori misura, comporterebbe lo stravolgimento totale della geometria dello specchio acqueo portuale, che ne risulterebbe fortemente ridimensionato, portando ad un livello di artificializzazione e di trasformazione dei luoghi in contrasto con gli obiettivi enunciati nel Rapporto ambientale del PPTR che auspicano di contro la valorizzazione dei paesaggi e delle figure territoriali di lunga durata e della struttura estetico-percettiva dei paesaggi costieri.”
Alla luce di quanto sopra, si ritiene non esaustiva la considerazione degli impatti diretti sul patrimonio culturale subacqueo, per cui si deve procedere a un approfondimento diagnostico con scopo orientativo rispetto alla pianificazione, ritiene non esaustiva la considerazione degli impatti indiretti sul patrimonio culturale, per cui vanno valutate alternative atte a salvaguardare Punta delle Terrare e Forte a Mare e ritiene non corretto l’approccio mirato alla sempre maggiore sottrazione di superficie allo specchio acqueo, con enormi banchinamenti.
“Tale scelta di pianificazione – conclude la Soprintendenza – oltre a mutare drasticamente la conformazione storica della linea di costa e del bacino portuale, altera irreversibilmente il rapporto dei monumenti, sorti in virtù della presenza del mare, con l’area portuale e con gli elementi naturalistici che le conferiscono un’eccezionale valenza paesaggistica. Si ritiene necessario operare delle scelte che non siano mirate al banchinamento e alla conseguente cancellazione di intere ed estese aree di specchio acqueo, privilegiando la riorganizzazione delle aree portuali e retroportuali dismesse, la cui riqualificazione, se operata in linea con i principi e con gli obiettivi enunciati dal PPTR e mirata al corretto inserimento paesaggistico degli interventi, sarebbe volano per un’adeguata valorizzazione delle singole aree e dell’intero ambito portuale”.
Insomma una bocciatura che suona come invito all’Autorità Portuale a non arroccarsi sulle proprie posizioni, come se non dovesse tenere conto di niente e non dovesse dare conto alla Città ed alla sua Storia, ma a procedere ad una rivisitazione del Piano Regolatore Portuale per eliminare le criticità evidenziate e non degradare quel che rimane del porto che madre natura donò a Brindisi ed ai brindisini, facendogli perdere la sua naturale forma di testa di cervo, riducendolo a un canalone incastonato in un mare di grigio cemento