
Ricorre oggi, 31 marzo, il quarantesimo anniversario dell’omicidio di Renata Fonte, assessora alla Cultura e alla Pubblica Istruzione del Comune di Nardò, eletta nel 1982 nelle liste del PRI, uccisa – così come riconosciuto da una sentenza della Corte d’Assise di Lecce – perché aveva proposto una variante al piano regolatore comunale al fine di impedire la speculazione edilizia nell’area di Porto Selvaggio: le spararono tre colpi di pistola mentre rincasava da un consiglio comunale, alla vigilia della riunione decisiva per l’approvazione della modifica che avrebbe evitato, come di fatto è accaduto, la costruzione di un residence in quella che oggi è diventata una delle più suggestive aree protette d’Italia. Madre di due figlie che quotidianamente testimoniano il suo esempio di impegno civile in tutta Italia, soprattutto nelle scuole, è considerata non soltanto una tutrice dell’ambiente e una fervente attivista nella lotta per la legalità, ma anche una preziosa sostenitrice dell’emancipazione femminile e della parità di genere.
In tutto in Salento, e oltre, sono previste commemorazioni e cerimonie a ricordo del sacrificio di Fonte, dal 2002 riconosciuta vittima innocente di mafia: il prossimo 3 aprile alle 10:30, proprio a Porto Selvaggio (dove è presente una stele in sua memoria), è previsto un incontro con la partecipazione degli studenti dei tre istituti scolastici comprensivi della città di Nardò.
Lo scorso 21 marzo l’Università Roma Tre, nell’ambito di un progetto di lotta contro ogni forma di criminalità e di impegno per la giustizia sociale, le ha intitolato l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Politiche.
Per l’omicidio di Renata Fonte furono condannati come esecutori materiali Giuseppe Durante e Marcello My, poi Mario Cesari e Pantaleo Sequestro come mandanti di secondo livello, cioè intermediari tra i sicari e il mandante di primo livello, Antonio Spagnolo, rivale di partito della donna e primo dei non eletti alle elezioni amministrative.
Marina Poci
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