Anche quest’anno alcuni diportisti del Marina di Brindisi Club, di stanza presso il porticciolo turistico, hanno messo a disposizione le loro imbarcazioni per effettuare la tradizionale passeggiata lungo il porto medio e quello interno di Brindisi per ammirare, con gli occhi di chi giunge dal mare, alcune delle tante bellezze storiche, artistiche e culturali, attraversando quella che anni addietro, con un termine appropriato fu definita “ piazza d’acqua”, il salotto buono della città.
Oltre ai natanti di Maurizio Fisiola, Ferruccio Gianluca Palazzo e Gian Paolo Ladisa, c’era anche il “Cilona” – il gommone del gruppo sub gli ‘Ncilonauti, solitamente utilizzato per effettuare le immersioni nel mare di Brindisi ma, nell’occasione, tirato a lucido per ospitare alcuni partecipanti all’iniziativa – su cui ho preso posto non in qualità di semplice passeggero ma, addirittura per fare da cicerone, non tanto per illustrare i monumenti che avremmo incontrato lungo il percorso, già conosciuti, almeno per sommi capi, un po’ da tutti, quanto per raccontare qualche aneddoto o “culacchio” che dir si voglia, collegato alle tappe del nostro mini tour.
Il nocchiero del Cilona, oltre ad essere un subacqueo di lungo corso è un provetto uomo di mare: si tratta dell’avv.Mauro Masiello, che da qualche anno a questa parte sta provando a navigare i sempre agitati e tempestosi mari della politica brindisina quale assessore comunale nella Giunta Rossi e che, nonostante i numerosi impegni che derivano dalla carica, quando si tratta di fare un salto sul gommone riesce sempre a ritagliarsi un paio di ore di tempo.
A far da guida per le altre imbarcazioni ci pensa l’avv. Marcello Cafiero, vecchio lupo di mare, con un megafono che tanto ricorda quello che un tempo veniva utilizzato per le manifestazioni studentesche e che ancor oggi utilizza il sindacalista Bobo Aprile.
Per sfuggire alle ore più calde della giornata la partenza è fissata alle 18,00 e, incredibilmente, riusciamo a salpare dal pontile del porticciolo con insolita puntualità.
Dopo aver superato la zona dei cantieri navali chiedo al comandante di dirigersi verso la ex spiaggia Marimisti-Fontanelle, per mostrare il relitto del Tenax lì arenato da una trentina di anni; la quasi indifferenza dei passeggeri si trasforma subito in attenzione morbosa quando rivelo che si tratta del mitico “Pontone Barretta”, quello stesso che nel 1945 fu utilizzato dai fratelli Domenico e Giovanni Barretta per recuperare da un fondale di 18 metri poco fuori il porto di Brindisi, il ferro ed il carico della nave frigorifera della Regia Marina Italiana “Asmara”, affondata due anni prima da un siluro lanciato dal sommergibile britannico “Unshaken” . Da quel recupero, che fruttò un grosso utile, subito intelligentemente reinvestito nell’acquisto di un primo rimorchiatore, nacque l’epopea dei fratelli Barretta, per cui anche quel vecchio naviglio arrugginito che una ditta, poi fallita, aveva acquistato ed avrebbe dovuto provvedere a demolire in quell’area di competenza dell’Autorità Portuale, è un pezzo non indifferente della storia cittadina.
Parlandosi di relitti era impossibile non fare riferimento ad un luttuoso evento bellico che, proprio nello specchio acqueo dove ci eravamo fermati, era accaduto il 27 settembre 1915: l’esplosione ed il rapido affondamento della nave da guerra Benedetto Brin, che costò la vita a quasi 500 uomini fra ufficiali, sottoufficiali e semplici marinai; la reale causa dell’affondamento si è saputa solo cento anni dopo, quando la Marina Militare ha svelato che fu dovuta ad un incidente con i nuovi esplosivi stipati nella santabarbara, mentre fu a lungo fatto credere un atto di guerra compiuto da sabotatori italiani attratti dalle promesse austro-ungariche di una grossa ricompensa. Nel 1968 fu ritrovata in questo stesso fondale la campana in bronzo della nave che da allora fa bella mostra di sé, a imperitura memoria degli scomparsi in mare, nella cripta del Monumento al Marinaio.
Ed è proprio il Monumento al Marinaio d’Italia, voluto a Brindisi da Benito Mussolini in persona per i grandi meriti acquisiti dalla città adriatica nel corso della Grande Guerra, la nostra successiva tappa. Lì arriviamo dopo essere passati vicino ai depositi della Nazioni Unite, che altro non sono che i vecchi hangar ristrutturati che ospitarono gli idrovolanti. Attraversiamo il Canale Pigonati, costeggiando il “Parco delle Catene” – così denominato in quanto un tempo vi erano depositate le mastodontiche catene ed il relativo marchingegno per calarle a mare e chiudere l’ingresso del porto interno per ragioni di sicurezza – di recente consegnato al Comune e che presto, a quanto riferitoci dall’assessore Masiello in diretta dal timone del comando, sarà attrezzato e messo a disposizione della cittadinanza.
E, a proposito di timone, è proprio questo che vuole essere il Monumento al Marinaio al cui cospetto siamo giunti, anche se da molti viene soprannominato “la iatta ssittata”, in quanto osservandolo lateralmente dà l’idea, almeno a chi possiede un gatto, proprio della postura che assume il felino domestico quando è seduto, magari in attesa di un bocconcino prelibato.
Continuiamo la lenta navigazione verso il Seno di Ponente, lungo quella che un tempo era denominata la città giardino, cioè il rione Casale, in quanto le sue poche ma incredibilmente lussuose ville ed i grandi parchi nel cui cuore erano state edificate, lo rendevano davvero una sorta di paradiso in terra; negli ultimi decenni la cementificazione selvaggia e l’abbattimento sistematico, anche in tempi recenti, di quasi tutte le antiche ville ed anche di alberi monumentali non solo da parte di privati speculatori, ma anche delle amministrazioni che si sono succedute alla guida della città, lo hanno trasformato in una sorta di quartiere dormitorio.
Passiamo davanti al Villaggio Pescatori, che ancora mantiene vivo un po’ del suo vecchio folklore e superata la Lega Navale, ci fermiamo sotto la scalinata del Collegio Navale Niccolò Tommaseo, resa nuovamente visibile dopo i lavori di pulizia e sistemazione della vegetazione che era cresciuta spontanea e disordinata in quarant’anni di abbandono. Ora, lo dice con malcelato orgoglio Mauro Masiello, almeno il suo bosco (in gran parte preesistente alla costruzione dell’opera fascista in quanto parte integrante di Villa Dionisi, demolita negli anni Trenta per far posto al Tommaseo), è stato restituito all’uso pubblico. Va precisato che è solamente da un paio di anni che la Regione Puglia, proprietaria dell’intera struttura che fu, negli anni Quaranta, anche sede dell’Accademia Navale di Livorno, l’ha consegnata per la durata di 99 anni al Comune di Brindisi, per cui l’avvenuta sistemazione, per ora, dell’area verde, è da considerarsi un piccolo miracolo di cui essere fieri e non un motivo di lamentarsi perché ancora non si sistemano come si deve le vecchie costruzioni ormai fatiscenti, ma di indubbia rilevanza storica. Il tutto al netto di un pizzico di amarezza in quanto, ad avviso non solo mio, ma anche di esperti del settore, una buona parte dei pini secolari frettolosamente abbattuti durante i lavori della scorsa primavera, avrebbero potuto e dovuto essere preservati.
Lasciato il lungomare Amerigo Vespucci, con i chioschi dei panini che cominciano a popolarsi non solo di ragazzi, continuiamo la circumnavigazione passando davanti alla foce del Cillarese, che fatico a farlo immaginare come un vero e proprio fiume, poi costretto dall’uomo a scorrere fra argini in cemento e ridotto ad un rigagnolo da quando la maggior parte delle sue acque sono state intercettate dall’enorme invaso a monte della diga per l’utilizzo a beneficio delle industrie del territorio. Meno male che la natura tende sempre a riappropriarsi di ciò che le viene tolto ed ora il lago che si è venuto a creare artificialmente a seguito della costruzione della diga, è un’oasi naturalistica di una certa rilevanza ed importanza, ritenuta degna di tutela.
Costeggiando l’Arsenale non si può fare a meno di evidenziare, con un certo disappunto, che questa suggestiva parte di marina, per via delle servitù militari, è interdetta ai comuni mortali.
Nel fermarci al cospetto del maestoso Castello Svevo, o castello di terra, mi ritorna alla mente la domanda che mi ponevo fin da piccino sul perché si chiamasse di terra un castello che si affaccia sul mare ed alla risposta che mi diedi anni dopo, visitando Forte a mare: una cosa è affacciarsi sul mare, ben altra cosa è fondersi col mare ed ergersi da esso, come fa il Castello Alfonsino.
Ricordo, ai miei ormai attenti ascoltatori, che il nucleo centrale originario del Castello di terra fu effettivamente voluto e fatto costruire dall’imperatore Federico II in persona, a più riprese presente in città fra il 1225, quando si sposò in Cattedrale con Jolanda di Brienne, ed il 1228, quando dal nostro porto partì per la sesta crociata, l’unica ricordata come crociata pacifica, in quanto si concluse con un bonario accordo, anche se di breve durata, con il sultano d’Egitto.
Un fatto curioso che non molti conoscono e che riguarda questo castello è che l’unica volta che le sue bocche di fuoco spararono, non lo fecero contro i nemici invasori, ma contro la popolazione brindisina in rivolta contro il potere che l’opprimeva.
Continuiamo a costeggiare il lungomare sul lato del centro della città e dopo aver superato la flotta dei Rimorchiatori Barretta, ci fermiamo davanti a piazzale Lenio Flacco, per ammirare la appena restaurata Fontana dell’Impero, edificata dalla neonata Amministrazione Provinciale di Brindisi per ringraziare il Re ed il Duce per l’aver elevato la città al rango di capoluogo; ironia della sorte è spettato all’Amministrazione Comunale più di sinistra della storia cittadina, riportare all’antico splendore un’opera inneggiante al fascismo. La storia è storia e non va cancellata e fu quasi un miracolo, dovuto anche ad una mezza sollevazione popolare a sua difesa che, dopo la caduta del regime, anche questo monumento, come avvenne invece per tanti altri, non fosse distrutto per cancellarne il ricordo.
Siamo ormai sul rinomato lungomare Regina Margherita e, fra i bei palazzi che lo ornano, impossibile non notare Palazzo Montenegro, che è da anni la residenza civile del Prefetto, il Grande Albergo Internazionale, un’autentica perla ai tempi della Valigia delle Indie, da cui sono passati uomini illustri di levatura mondiale, fra cui mi piace ricordare il Mahatma Gandhi, nel suo viaggio da Bombay a Londra, oltre che, dopo l’Armistizio dell’8 settembre, quando la nostra città fu per qualche mese Capitale del morente Regno d’Italia, il re Vittorio Emanuele e la consorte regina Margherita, che vi soggiornarono per tre settimane prima di trasferirsi nel Castello Svevo.
Alle spalle del bar Betty vi è la bella costruzione in stile veneziano di piazzetta Engelberto Dionisi e, una volta superata la Capitaneria di Porto, dietro i palmizi che ornano piazza Vittorio Emanuele, si intravede lo storico edificio che fu sede locale della Banca d’Italia.
Sfioriamo appena il Seno di Levante, in quanto, per la sua vocazione industriale, a parte la fregnaccia del Capannone Montecatini fatto passare per fulgido esempio di archeologia industriale ma in realtà utilizzato solo per attrarre a suo tempo qualche soldo per la sua ristrutturazione, c’è ben poco da ammirare se non, una volta fuori dal Canale Pigonati, Sant’Apollinare e Punta delle Terrare, il luogo in cui Brindisi ebbe origine in quanto su questo piccolo promontorio a margine di Fiume Piccolo, sono stati rinvenuti i resti del primo nucleo abitativo, risalente all’età del bronzo; ora i brindisini non vi possono più nemmeno accedere per fare una passeggiata
Affianco si erge, spettrale come sempre, Villa Skirmunt, per i brindisini la casa dei fantasmi, e qui ritorna alto l’interesse dei passeggeri del gommone, quando io racconto la storia tramandata dalla famiglia Romanelli, del suicidio della contessa che si lanciò, per sfuggire alle ire del marito che pocanzi aveva sparato al guardiacaccia suo amante, dal terrazzo con una svolazzante vestaglietta bianca e si schiantò sui sottostanti irti scogli, mentre Mauro racconta l’altra versione dei fatti e che, cioè, essendo stata utilizzata per anni come gubbia, per nascondere refurtiva e carichi di sigarette, si era diffusa ad arte la storiella dei fantasmi per tenere lontani i curiosi.
Certo è che sono decine i brindisini che giurano di aver intravisto di notte una donna in abito bianco aggirarsi svolazzando dalle parti della villa, come altrettanto certo è che sia io che Mauro, da bambini, avevamo una paura matta di frequentare quella zona!
Siamo ormai sulla rotta del ritorno, ma i raggi solari non sono ancora sufficientemente bassi per donare la classica tonalità rossiccia che il carparo di Forte a mare assume al calar del sole, e, per questo, è chiamato anche Castello Rosso.
Essendo stato il castello riaperto alle visite guidate, invece di dilungarmi con qualche racconto che lo riguarda (ce ne sarebbero a decine, conditi in tutte le salse), mi limito a suggerire a chi ancora non lo avesse fatto, di andare a visitarlo, perché, dopo tanta attesa, ne vale davvero la pena.
Invero, un po’ tutte le tappe effettuate nel corso della gita, vogliono essere dei piccoli suggerimenti per invogliare la gente ad ammirare con gli occhi e lo stupore del visitatore alla scoperta di ciò che è bello e non di ciò che c’è da criticare, le tante bellezze presenti in città. Questo modo di approcciarsi può farci comprendere come può essere piacevole impiegare qualche ora del nostro tempo, meglio se in compagnia di amici, ancor meglio se forestieri, per passeggiare in città e riscoprire le tante bellezze, storiche, artistiche, architettoniche e culturali presenti nella nostra troppo spesso vituperata città.