Fare appello alla sensibilità dei Comuni di Latiano, San Vito dei Normanni e San Michele Salentino per salvare l’antica Chiesa di San Donato in Contrada “Coltura”. E’ l’obiettivo dell’arch. Enzo Longo che, via Facebook, ha lanciato questo “grido d’aiuto” per riportare all’antico splendore la Chiesa di San Donato, di epoca medievale che al suo interno conserva affreschi risalenti al XVIII secolo.
Seppur di proprietà della Parrocchia “Santa Maria della Neve” di Latiano ( l’epigrafe di consacrazione dell’altare maggiore datata 1785 è depositata presso la Parrocchia di San Giuseppe a Latiano) la Chiesa è posta ai confini territoriali di Latiano, San Vito dei Normanni e San Michele Salentino, tra gli ulivi secolari, rivestita del suo bel manto di antichità, con evidenti segni di forte sofferenza impressi nelle parti più vitali del corpo ma tali da renderla ancora più affascinante.
Spogliata, soprattutto, in questi ultimi decenni, dei suoi abiti più intimi, riesce nella sua nudità a trasmettere ancora una tale forza di religioso rispetto che forse non ha avuto durante i secoli della sua lunga esistenza.
Questo tempio popolar-religioso rimane custode di un tesoro di architettura e d’arte del mondo meridionale.
In base ai documenti, nel 1369 il Feudo fu portato in dote da Antonia Lettere, moglie di Andrea Francone barone di Latiano (R. Santoro, “ Latiano”, Pescara 1909, Fasano 1981, ristampa anastatica).
Nel 1749, notizie che l’Arciprete Bernardino Antonucci dà al Vescovo Scaja per la Santa Visita e si legge che la Chiesa di San Donato era governata dal Capitolo ( trascrizione dell’originale esistente nell’Archivio del Capitolo di Latiano a cura di Salvatore Settembrini).
Nel 1785 il Vescovo di Oria, Mons. Kalefati, effettua un’accurata descrizione della composizione dell’edificio sacro, degli affreschi e della presenza di una fune dove veniva legata una “statera” per pesare fanciulli e uomini epilettici, i quali offrivano alla chiesa una quantità di frumento pari al loro peso corporeo per implorare la grazia della guarigione (Cartella Santa Visita Pastorale di Mons. Alessandro Maria Kalefati, Oria 1785, trascritta da Salvatore Settembrini).
La misurata compostezza degli elementi architettonici assemblati, unitamente alla freschezza della sequenza narrativa delle facciate ritmate dalla musicalità dei pieni e vuoti e privi di elementi aggettanti ed esaltati dalla monofora del campanile a vento, ci introducono nell’unica navata, un tempo a tetto con due spioventi, poi voltata a botte fino alla prima metà dell’ Ottocento e infine a tetto piano con putrelle nei primi del ‘900.
Infatti, nel 1823 l’edificio viene ristrutturato dal maestro Giuseppe Antonucci di Latiano il quale sostituisce il tetto pericolante fatto di canne con copertura in tufo a botte ( A.Cap. L., cart. 14).
“L’intero complesso è pregno di misticismo per la presenza di quattro arconi addossati alle due pareti laterali, si per la risoluzione absidale a parete piana con la sequenza narrativa degli affreschi inneggianti alla vita del Santo – come spiega l’arch. Enzo Longo, promotore del Comitato per il recupera della Chiesetta. Oggi i segni delle fessurazioni, insieme alla mappa della coloritura, derivante dalle infiltrazioni delle acque meteoriche miscelate con la ruggine delle putrelle danno una lettura dell’ambiente sacro ancora più suggestiva. Un’operazione di restauro conservativo, se si dovesse fare, deve tener conto di tutto questo stupendo bagaglio, oltre a risolvere la problematica statica e di sicurezza.”
San Donato, oltre ad essere un complesso architettonico interessante, si rivela protagonista del fenomeno del tarantismo, che ha contraddistinto l’antico Regno di Napoli nel tardo Settecento. In quella terra, come ebbe a dire Ernesto De Martino, stretta tra lo Stato Pontificio e il mare, “tra l’acqua benedetta e l’acqua salata”, il rituale pagano si innesta al rito sacro.
Anticamente la Chiesa di San Donato fu elemento aggregante del Casale omonimo, che per incerte calamità, così come riportato da alcuni storici locali, fu abbandonato. Man mano le abitazioni caddero in rovina, lasciando il posto agli ulivi.
Si salvò la Chiesa, trascurata dalla Curia Vescovile di Oria, ma sempre funzionante, e la “Masseria della Coltura”.
Fonti storiche riferiscono che nella Visita Pastorale del 1785 il Vescovo di Oria, Mons. Kalefati, dopo un’accurata ispezione di detta Chiesa, ordina “che venga sospesa qualsiasi celebrazione dall’altare maggiore finchè non sia pronta la nuova pietra consacrata; che venga tolta completamente la fune dalla Chiesa in modo che l’oblazione dei fedeli fosse libera e spontanea…”.
Con il sorgere del fenomeno del “tarantismo”, San Donato diventa punto di riferimento per quanti soffrivano di epilessia, di mente.
Questo leggiamo nelle belle immagini dipinte sulle pareti absidali, dove alle icone rappresentanti il Santo nell’atto di miracolare i sofferenti, si associa quella della tela del ragno.
Al “popolo degli invasati” si unisce quello dei tarantati che, per guarire dagli effetti invasivi del morso della taranta attraverso il ritmo musicale della pizzica, si recano nella Chiesa di san Donato, invocando protezione e guarigione.
Analogamente nella Chiesa di San Paolo a Giurdignano, noto luogo di pellegrinaggio, accanto all’immagine del Santo si trova dipinto il simbolo della rete del ragno. Anche lì i tarantati si recavano in chiesa a implorare San Paolo per “ricevere la grazia”.
L’antico rito pagano si mescolava a quello sacro.
“E’ indubbia la rilevanza storico-culturale che deriva dalla presenza del simbolo della “tela della taranta” nella nostra chiesetta – continua Longo. La Chiesa del Santo protettore degli afflitti da malattie mentali, dall’epilessia e dal morso della taranta, avrà vissuto una vita molto intensa nel corso dell’ Ottocento ed anche nel primo Novecento ma abbiamo il dovere di mantenere in vita questo scrigno di storia quanto più è possibile. San Donato è il Santo protettore dei malati di mente, degli epilettici degli invasati. Esiste nel Salento un’altra chiesetta dedicata allo stesso Santo che è stata meta di pellegrinaggio dei tarantolati e che, oggi, è meta di visitatori e studiosi del tarantismo. E’ questo il filone che bisognerebbe percorrere. Collegarsi all’itinerario già esistente nel Salento e creare un evento che possa meglio caratterizzarlo.”
Una storia tutta da scoprire, quella di San Donato, da accompagnare con lo scorrere della musica e dei canti che Ernesto De Martino assieme alla sua èquipe di psicologi, sociologie musicologi identificava simbolicamente con il conflitto interno dei tarantati ( una volta diagnosticato il male, il tarantato si rivolge all’unico rimedio, il ballo e relativi riti associati, fino al ringraziamento al santo protettore che ha guidato la sua guarigione).
La religione popolare, tra riti sacri e profani, aggiunge una nota di mistero alla ricchezza espressiva di questo complesso architettonico e all’eleganza del suo apparato pittorico.