San Francesco a Brindisi tra storia e leggenda: quando giunse al Casale

di Giovanni Membola per IL7 Magazine

Scoprire e ripercorrere i passi di san Francesco. E’ una ricerca sempre attuale per i tantissimi devoti del Santo Patrono d’Italia, desiderosi si seguire i percorsi della missione apostolica del più importante pellegrino di ogni tempo, sempre animato da profondo spirito d’amore e di pace.
Anche in Puglia esistono memorie del passaggio del Santo Poverello, è certa la sua visita alla grotta santuario di san Michele Arcangelo nel Gargano, meta sin dai tempi più remoti di grandi pellegrinaggi. Nel Salento vengono riproposte alcune leggende popolari – che solitamente contengono elementi di verità – riprese in documenti redatti principalmente nel sei-settecento, a sostegno del passaggio e della sosta del Santo in occasione del ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa, Siria ed Egitto compiuto tra il 1219 e il 1220. Sbarcato sicuramente nel porto di Otranto, avrebbe percorso l’intera regione da sud a nord, lasciando rilevanti testimonianze della sua presenza in cappelle e chiese di periferia, dove preferiva riposare durante la notte, evitando i centri urbani ritenuti “luoghi di vizio e di perdizione”, nei quali era solito recarsi a predicare durante il giorno. La sua presenza è celebrata in diverse località del leccese così come nel nostro territorio: ad Oria avrebbe miracolosamente aperto una sorgente d’acqua, mentre ad Ostuni fu ospite nel monastero dei benedettini, donato per l’occasione ai francescani.

Tutti questi luoghi hanno in comune la presenza di immagini della Vergine Maria, al quale il Santo era particolarmente devoto. Proprio al cospetto di una figura mariana viene ricordato durante la tappa avuta a Brindisi, qui il Santo di Assisi pregò “dopo aver attraversato per tutto il giorno le viuzze dell’antica città medievale predicando ovunque ed esortando al bene. Colto dalle tenebre della sera e dovendo pensare al suo riposo corporale, avesse deciso di rifugiarsi nella penisoletta a destra della città, animata da una bella borgata detta il Casale, che sorgeva intorno all’edicoletta bizantina”.
E’ indubbio che in questo luogo all’epoca immerso tra gli ulivi, dove un secolo dopo sorse la bellissima chiesa di Santa Maria del Casale e, in seguito, l’attiguo convento poi sede dei padri francescani, esisteva una cappella o una semplice edicola votiva contenente la piccola icona della Madonna con Bambino. Un luogo ideale “nella solitudine dei campi” scelto dal Santo per trascorrere la notte e riposare, non prima di aver pregato ed affidato alla Madre di Dio il controllo della nostra esistenza.
Fu Padre Bonaventura da Lama a introdurre l’episodio nella tradizione locale, secondo gli studiosi “per giustificare, nella città adriatica, l’introduzione dei Padri nella Riforma di San Francesco cui egli stesso apparteneva”. Non vi sarebbero infatti documenti nella storiografia locale che avvalorano tale importante e probabile presenza, e che rimane quindi legata alla spiritualità e alla devozione francescana. Un aspetto di cui spesso si sono avvalsi, in modo efficace, i frati minori e i domenicani durante la loro opera di evangelizzazione nel diffondere questa “nuova religiosità” basata sull’opera di Francesco, fautore di un rinnovamento spirituale fondamentale nella storia della cristianità.

La cronaca scritta nel ‘700 da frate Bonaventura racconta che al mattino, dopo il risveglio, san Francesco notò con sorpresa che una tela tramata durante la notte da un ragno, occultava come un velo l’immagine della Madre di Dio, “e con quella umiltà che lo distingue parlò a frate ragno e questi rimangiò i fili della sua tela liberando la sacra effige”. Un’altra versione del racconto vuole che il futuro Santo nell’ordinare al ragno di rimuovere la tela, lo condannò per ciò che aveva realizzato, e allo stesso tempo “maledisse pure il verme della tarantola, che morsicando alcuni dè frati suoi, non l’oltraggiasse il veleno, e per guarire, avesse bisogno del ballo, conforme è solito farsi dà campagnoli, ed è cosa disdicevole a religiosi; già si vide il Miracolo, che a tanti morsicati non nuoce”. Un aspetto insolito e completamente differente dallo spirito tradizionale del Santo, di cui è noto il profondo amore verso ogni tipo di animale, leggenda evidentemente superstiziosa divulgata da quei frati minori che qui dimorarono tra il 1568 e il 1589, perseguitati proprio dai tanti ragni presenti nella zona. In questo modo chi indossava, anche solo temporaneamente, l’abito religioso riceveva una sorta di immunità al veleno del ragno, simbolo medievale del demonio e di superbia. Ciò indicherebbe – sempre secondo l’opinione degli storici – la provenienza dei frati dal mondo popolare e contadino, dove era diffuso l’uso del “ballo” come l’unico rimedio efficace al morso della tarantola.

La chiesa di Santa Maria del Casale, riconosciuta come monumento nazionale sin dal 1875, fu edificata nei primi del ‘300 ed ampliata per volere del principe di Taranto Filippo I d’Angiò e da sua moglie Caterina di Courtenay, come voto alla Vergine per la nascita di un figlio. Fu poi ceduta ai Frati Minori Osservanti che sul terreno attiguo vi costruirono il chiostro ed il proprio convento, il primo di tutta l’area salentina. Non si trattava dell’unica chiesa della zona, sembra infatti che nel 1606 vi fosse ancora una chiesa dedicata proprio a San Francesco “retro Sanctae Mariae dello Casale” mentre altre cronache indicano, nel giardino del convento, una chiesetta dedicata all’Assunta.

Durante la loro permanenza i francescani vollero anche “arricchire” il tempio con cinque altari barocchi e altre soprastrutture, in realtà lo deturparono alterando l’aspetto originale dell’edificio angioino, coprendo con calcina persino i famosi affreschi che oggi fortunatamente possiamo ammirare dopo i restauri del 1919. Durante i lavori di ripristino di un secolo fa, oltre a mettere in luce le straordinarie opere di Rinaldo da Taranto, furono demoliti tutti gli altari barocchi, compreso quello maggiore che “nuoce più di ogni altro – scrisse all’epoca il soprintendente Gaetano Neve – in così aspro contrasto cogli elementi elegantissimi che gli sono di sfondo e lo incorniciano. Piani rialzati, gradini, balaustra, fastigi di sì tristo ed inconsueto barocco completano l’assieme di quest’opera che insulta e condusse all’abbandono del monumento”. Proprio su questo altare, arricchito da “sei candelieri grandi e sei piccoli, sei sospensori ed otto fiori di rame” vi era la nicchia con il quadro ad olio rappresentante la Madonna con Bambino “aventi diadema e mezze mani d’argento […] che la tradizione dice ancora venerata ab antiquo”. L’immagine sacra, una volta staccata, doveva essere restaurata e ricollocata, invece andò distrutta. Potrebbe essere questa l’icona innanzi alla quale, secondo la leggenda, si fermò in preghiera san Francesco d’Assisi prima di riposare, un’immagine sacra particolarmente venerata dai viandanti, dai soldati e dai tanti pellegrini diretti a Gerusalemme, che qui giungevano dalla vicina via Appia-Traiana, per chiedere la benedizione e la protezione prima di intraprendere il lungo e pericoloso viaggio verso le Terre d’Oltremare.