San Francesco di Paola nella splendida cripta del Monumento

Monumento” a Brindisi è uno solo, l’alto e possente Monumento Nazionale al Marinaio d’Italia. Fra qualche settimana celebrerà il suo 87° compleanno, ancora giovene, ma senza di lui Brindisi, non sarebbe la stessa città, tanto è entrato nel costume cittadino.
Come se sia stato tratto dalla radice più profonda della città è germogliato, sulla sponda opposta, al miracolo naturale che è il porto interno, là nei pressi del decantato “pozzo di Plinio” su un tratto di costa anticamente noto come “Posillipo” (in greco: che fa cessare il dolore), per testimoniare, di Brindisi, l’antica vocazione, d’ essere approdo sicuro – da sempre – per i naviganti.
Domenica 27 settembre, nella Cripta-sacrario durante la cerimonia di commemorazione della tragedia della corazzata “Benedetto Brin” che esplose nell’avamporto della città 105 anni fa, sarà svelata la statua che raffigura San Francesco di Paola, patrono della Gente di Mare ed insieme a Santa Barbara, patrona della Marina Militare, già presente nella Cripta, custodiranno la memoria di quanti, troppi, sono morti negli abissi degli oceani.
Questa rubrica torna, dopo due settimane, a parlare ancora della Cripta e del Monumento perché proprio il 27 settembre si rende manifesta ed evidente la radice più antica e solida, che attraversa i secoli, le mode e le persone, per offrire al contemporaneo ragioni solide per comprendere il valore di una città, il suo territorio.
Per ricostruire il filo della memoria, che ci rende leggibile il significato di un evento che si gioca tra la sua storicità e lo straordinario concerto di coincidenze, che se ne possono raccontare, questa rubrica si avvale della scrittura e due mani, con l’amico e collega Gianfranco Perri a cui è affidata la ricostruzione storica della figura del Santo e la testimoniata presenza a Brindisi dell’Ordine dei Minimi” o anche detti “Paolotti”.
Quando nel 1579 i padri di San Francesco di Paola giunsero a Brindisi, l’amministrazione cittadina assegnò loro come sede il convento dell’Annunziata – presso l’attuale chiesa della Pietà – che era appena stato liberato dai Cappuccini trasferitisi alla loro nuova sede edificata fuori le mura. Quella prima sede dei Minimi però, non risultò adeguata a causa dell’estrema insalubrità di tutta l’area adiacente al convento, circondata com’era alle paludi che lambivano il vicino bastione di San Giacomo. E meno di cent’anni dopo, nel 1669, su perentoria richiesta del generale dell’Ordine in visita a Brindisi, il padre Sebastiano Quinquet, la città assegnò ai frati una nuova collocazione presso le strutture frettolosamente risistemate contigue all’antichissima chiesa di San Giacomo, che era sita presso la marina, vicino la Porta detta Reale, dove i padri vi trasferirono l’immagine del loro Santo. Si trattò di una sistemazione temporale – fino al 21 ottobre 1687 – in attesa del completamento dei lavori di risanamento e ristrutturazione dell’Annunziata, intrapresi grazie alle offerte di privati.
Quella chiesa di San Giacomo fino al 1173 era stata di rito greco ed era passata al culto latino con il vescovo Lupo. In seguito, divenuta proprietà della municipalità, per un tempo le sue strutture furono utilizzate per svolgervi la cerimonia di giuramento delle autorità cittadine elette di anno in anno e poi erano state destinate a deposito dell’archivio municipale. Perdurando tuttavia l’insalubrità dell’Annunziata, nel 1712 i Minimi si ritrasferirono presso San Giacomo e, acquistata la contigua casa dei coniugi Teodora Gravile e Giuseppe Sant’Arcangelo, procedettero a far ristrutturare e ingrandire il convento che, divenuto ormai sede definitiva dei Minimi in Brindisi, fu da allora ufficialmente intitolato a San Francesco di Paola congiuntamente alla chiesa.
Fra il 1747 e il 1748 la vecchia chiesa, ormai fatiscente, venne demolita e ricostruita per intero molto più ampia della precedente. Ma la vita del convento e quella della nuova chiesa di San Francesco di Paola non erano destinate a durare ancora per molto. In conseguenza dei provvedimenti eversivi napoleonici del 1808 infatti, i Minimi furono sloggiati con il loro Santo e il complesso ebbe svariate utilizzazioni a beneficio pubblico, sia civili che militari. Ancor oggi gli edificati siti nel recinto che aveva compreso il giardino e il chiostro del convento sono occupati da una unità della Guardia di Finanza, mentre un ufficio delle Poste funziona proprio sull’area che fu della chiesa di San Francesco di Paola.
Si trattò per Brindisi e per i brindisini di una perdita triste e sofferta: la perdita di un Santo per molti aspetti speciale.
Ebbene, grazie alla felice coincidenza – esattamente un anno fa – che ha visto protagonisti, Don Sergio Vergari, il compianto presidente di ASSOARMA Generale Giuseppe Genghi, Giancarlo Sacrestano e Gianfranco Perri, dopo più di 200 anni, San Francesco di Paola ritorna a Brindisi e vi ritorna con la pregevolissima opera scultorea del bravo artista oritano, il maestro professor Cosimo Marinò. E quale miglior sede in Brindisi per il “Santo patrono della gente di mare” se non propriamente la solenne e maestosa Cripta del Monumento al Marinaio d’Italia? Del resto, siamo certi che il Santo sarà sicuramente contento e d’accordo. Ritornerà infatti, praticamente al suo posto originale in riva al mare del porto di Brindisi, solo sull’altra sponda, e senza che neanche ci sia bisogno di ricreare il miracolo dell’attraversamento dello stretto.
E quale la miglior ricorrenza per concretizzare questo felice ritorno?
Il Santo protettore della gente di mare
Fra i numerosi miracoli di Francesco tramandati dalla tradizione, il più emblematico è quello del passaggio dello stretto di Messina il 4 aprile del 1464: “Gli fu chiesto di avviare una comunità a Milazzo in Sicilia e con due confratelli si accinse ad attraversare lo stretto di Messina. Giunto nei pressi dell’imbarcadero, chiese ad un pescatore la cortesia d’essere traghettato all’altra sponda con i suoi due fratelli, ma questi rifiutò quando seppe che non potevano pagarlo. Francesco si appartò a pregare in riva al mare e quindi, legò un bordo del suo mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo stretto con quella barca a vela miracolosa. Il racconto dell’episodio, confermato da vari testimoni oculari compreso il pescatore Pietro Colosa del piccolo porto calabrese di Catona, si diffuse rapidamente fino a divenire il più famoso e il più celebrato dei miracoli del Santo”.
Luigi XI di Francia, gravemente ammalato, informato dei miracoli, lo chiamò alla sua corte. Francesco tergiversò e finalmente vi si recò nel 1483 avutone ordine da papa Sisto IV ed aiutò quel re a morire cristianamente. Non gli riuscì di rientrare in Italia e dovette trattenersi in Francia, dove rimase per venticinque anni, svolgendo anche delicati incarichi diplomatici per conto della chiesa di Roma e promuovendo gli aiuti necessari alla diffusione del suo Ordine in tutta Europa. E nel 1501 ottenne dal papa Alessandro VI l’approvazione formale per il suo Ordine penitenziale con il nuovo e definitivo nome “Fratres Minimi Francisci de Paula”.
Francesco, raccontano le cronache biografiche, visse una vita lunga e del tutto austera: non mangiò mai carne, uova, latte o formaggio; solo nella tarda età ingerì pesce e vino. Morì novantunenne nel 1507, il 2 aprile, giorno in cui ad oggi lo si commemora. Il pontefice Giulio II lo dichiarò beato nel 1513, e papa Leone X lo fece santo nel 1519. Subito dopo la sua canonizzazione furono erette in suo onore basiliche reali a Parigi, Torino, Palermo e Napoli e il suo culto divenne popolarissimo in tutto il mondo cristiano, e specialmente nel Meridione d’Italia. Nel gennaio del 1562 il corpo del Santo venne bruciato dagli ugonotti e le poche reliquie conservatesi furono finalmente portate, nel 1935, nella sua basilica in Paola dove da allora riposano venerate dai pellegrini di tutto il mondo.
Il Santo prima invocato come patrono del Regno di Sicilia, divenne in seguito anche patrono del Regno di Napoli, infine, il 27 Marzo 1943 Papa Pio XII con il Breve Apostolico “Quod Sanctorum Patronatus” ha proclamato San Francesco di Paola “Celeste Patrono della Gente di Mare della Nazione Italiana”.
Una coincidenza che non trova spiegazione nella ragione degli eventi, ha visto l’incontro casuale di persone, già citate, in qualche modo legate al Santo di Paola. Dall’offrirsi reciproca fiducia nella possibilità di realizzare una statua alla sua concretizzazione, né la distanza, la malattia, la pandemia, la morte hanno rallentato la tabella di marcia e in un anno esatto e la bravura artistica dello scultore oritano, devoto anche lui al Santo ed abitante nei pressi della Chiesa che ad Oria è dedicata al Santo calabrese, la statua sarà svelata nella cripta a memoria della “Gente di Mare” che ha perduto la propria vita per salvarne altre, per lanciare un messaggio di speranza supremo a chi li onora e li ricorda, che la libertà è un patrimonio di valori che anche al costo della vita deve essere tutelata.
Vale specificare che l’opera corale di chi si è prodigato perché tanto si realizzasse è ritenuto da tutti omaggio a ricordo del maestro di vita ed esempio di virtù militari e civili, che è stato Giuseppe Genghi, Generale dell’Aeronautica, presidente di ASSOARMA, la Federazione che raggruppa ben 42 associazioni d’arma e combattentistiche della provincia di Brindisi, ma amico di Brindisi a cui ha offerto il massimo impegno, anche quando ne divenne, molti anni orsono, amministratore.
Le contingenti costrizioni anti COVID non consentiranno il giusto rilievo alla manifestazione di svelamento e di ricordo della gente di mare caduta a principiare dalle vittime della tragedia della Benedetto Brin.
Lo scultore Cosimo Marinò, già autore della statua di Santa Barbara presente nella Cripta, maestro indefesso e laborioso, che si innamora delle idee creative e le sposa sino a realizzarle, sottolinea che: “L’opera è tridimensionale, è alta 1 metro e 75 cm, ha un diametro di 60 cm ed è stata realizzata con una malta cementizia speciale con patina bronzata. .
La mano sinistra del santo posta sul petto manifesta una grande spiritualità, mentre il braccio destro piegato all’altezza del gomito regge sia un lembo del mantello, che il bastone che termina in alto con la scritta charitas”.
La parola Charitas, richiama il valore intenso dell’amore e della sua gratuità, della vita che si fa servizio ma non si serve della vita altrui.
“è vero! Anche quest’opera, gesto di servizio amorevole, da questo momento non appartiene solo all’artista che l’ha realizzata o al committente, ma appartiene a tutti i cittadini e come tale, tutti devono essere osservatori, fruitori e protagonisti. L’arte è cultura per cui non va solo letta, ma va anche ammirata ed apprezzata”.