Sant’Apollinare, la villa degli spiriti: tra storia, poesia e leggenda

Mi ritrovo normalmente a scrivere racconti o reportage, siano essi storici o naturalistici, scegliendo l’argomento in funzione di esperienze dirette e riguardo ciò che ho visto od incontrato nel corso di qualche passeggiata od escursione. Questa volta, invece, la giusta ispirazione mi è stata data dalla lettura di una poesia in vernacolo, inviatami da un’amica, che mi ha suggerito di sentire l’autore, Franco Romanelli, una persona davvero speciale, realmente e sinceramente innamorata di Brindisi, del suo mare e del suo porto e, in qualche modo, custode di tradizioni e ricordi di una vecchia Brindisi marinara che, senza l’impegno e la dedizione di gente come lui, sarebbe stata già dimenticata.
La poesia, intitolata “Villa Skirmunt” è una storia d’amore finita in tragedia, ambientata alla fine dell’ottocento e da cui è nata la leggenda della villa degli spiriti a Sant’Apollinare, una costruzione risalente alla metà del XIX secolo appollaiata sulla cima del suggestivo promontorio di Punta delle Terrare, così chiamato per la scoperta di numerosissimi cocci di vasellame ed altri, reperti risalenti all’Età del Bronzo, e che hanno portato gli archeologi a ritenere questo luogo come il primo insediamento umano a Brindisi in epoca decisamente pre-messapica.
La ragione per cui i nostri avi hanno scelto questo posto è ben comprensibile, in quanto dietro lo sperone di roccia, anche se ormai da tempo canalizzata ed addomesticata, vi è la foce di Fiume Piccolo, un torrente, in origine di acqua fresca ed abbondante, attorno al quale i nostri progenitori decisero di insediare il loro villaggio neolitico: acqua dolce per abbeverare sé ed il bestiame e che attirava la cacciagione ed un mare pescosissimo, ricco oltre che di pesce anche di molluschi, era quanto di meglio i nonni dei nonni dei nostri nonni all’ennesima potenza, potessero desiderare.
Tornando alla poesia, la storia d’amore della giovane e ricca contessa e del suo moroso, il bello ed aitante guardacaccia, scoperti dal marito geloso che vendicò con un colpo di fucile sparato sullo spasimante della moglie l’affronto subito e la fuga della donna disperata, che salita sul terrazzo della villa, si fece cadere sull’irta scogliera sottostante, di per sé sembra seguire un canovaccio abbastanza comune, sovrapponibile a tante storie analoghe.

Nel nostro caso, però, la morte della donna non avrebbe posto fine alle sofferenze della sua anima in pena ed il fantasma di lei, in camicia da notte, ancora vagherebbe nella villa e sul promontorio, come da più di cent’anni a questa parte, sono pronti a testimoniare decine di persone di ogni età, ceto sociale e livello culturale, tant’è che per i brindisini quella villa non è villa Skirmunt o villa Monticelli, dal nome degli ultimi proprietari prima che fosse acquistata dall’Autorità portuale per farne non si sa bene cosa, ma è la “villa dei fantasmi”.
E con questo nome, fin da bambino, quando sul finire degli anni sessanta frequentavo la spiaggia di sant’Apollinare, ho chiamato quella costruzione, ora ridotta ad un rudere, ma un tempo splendida e circondata da una stupenda pineta di alberi secolari, ma che non osavo guardare per paura di vedere il fantasma della contessina, come la chiamava anche la mia nonna paterna la quale, però, evidentemente per pudore, mi aveva taciuto la parte più piccante della storia, quella, cioè, della tresca fra la nobildonna ed il guardacaccia e del delitto d’onore commesso dal marito cornuto, sicchè il racconto era abbastanza monco e deformato dal momento che la contessina si sarebbe suicidata sol perché i suoi non volevano che frequentasse il suo moroso e da allora la sua anima in pena vagava in cerca di pace: detta così, non era un granchè come storia ed il suicidio mi sembrava una reazione davvero esagerata, ma il tutto era più che sufficiente a togliere il sonno ad un bambino di 7-8 anni, qual io ero.
Anche anni dopo, quando ormai i bagnanti brindisini avevano abbandonato Fiume Piccolo e Sant’Apollinare, stretti come erano dalla morsa dell’area industriale e la cui sabbia era diventata lurida di catrame e l’aria ammorbata dai fumi della centrale termoelettrica che bruciava oli combustibili (petrolio) H24, capitava a noi, ormai adolescenti , di passare in bicicletta od in motorino da quelle parti, magari diretti al campetto in brecciolino della Beton Rapid dove giocavamo a pallone, ed alzando lo sguardo scrutavamo quello che oramai era diventato lo “scheletro” della anticamente nota Villa Skirmunt – dal nome dell’imprenditore di origine turche che la costruì sullo sperone di roccia più alto di Punta delle Terrare – e poi Villa Monticelli, e che continuava ad essere spauracchio per noi di ragazzini che la conoscevamo come la Villa degli Spiriti. Un po’, sicuramente, per il suo aspetto sinistro e spettrale, un po’ anche perché, dacchè era stata abbandonata dai proprietari, era diventata una sorta di discarica a cielo aperto di materiali rivenienti dal cimitero, compresi pezzi di lapidi funerarie, alcune anche con foto in ceramica di vecchi avi coi baffi all’insù o vecchie comari con tanto di tuppo. Inutile dire che al minimo rumore proveniente dall’interno della villa o dalla pineta, fosse stato anche il miagolio di un gatto, cominciava la nostra rocambolesca fuga. Io conoscevo la leggenda che legava questo posto alla presenza dello spirito inquieto di una donna suicida per amore, ma, i miei amici più grandi giuravano che tale storiella era stata creata ad arte da vecchi contrabbandieri che usavano come loro base e deposito proprio la vecchia villa e che non volevano che nessuno mettesse il naso nella loro gubbia (così erano chiamati i depositi di sigarette dei contrabbandieri).
Fatta questa premessa è evidente che non poteva non emozionarmi e aprirmi il cuore e la mente a mille ricordi antichi la poesia che l’amico Franco Romanelli ha dedicato a questa tragica storia d’amore che descrive con trasporto e delicatezza.

Volendolo intervistare lo chiamo e ci diamo appuntamento al Porticciolo Marina di Brindisi, nel primo pomeriggio di sabato, poco prima di una sua uscita con uno dei nuovissimi schifarieddi, che si rifanno alla antica tradizione marinaresca brindisina di cui Franco va tanto fiero.
A dire il vero, mi ero preparato tutta una serie di domande da fargli, ma è stato lui a condurre le danze, stoppandomi subito la prima domanda che era del seguente tenore: complimenti per la bella poesia che mi ha fatto rivivere i racconti dei miei nonni di 50 anni fa, ma come ti è venuta l’ispirazione di dedicarla al fatto leggendario da cui, poi, è nata la leggenda della casa degli spiriti di Sant’Apollinare?
“Leggenda?, ma che leggenda e leggenda: è un fatto vero, è una storia che riguarda direttamente la mia famiglia, anzi, la famiglia di mia moglie: i Di Giulio e che a mia moglie ed al padre di mia moglie lo hanno raccontato gli stretti congiunti di Vincenzo Di Giulio, il guardacaccia spasimante della moglie di Skirmunt!”
Devo ammettere che sono rimasto spiazzato come poche volte nella mia vita e quando, prima ancora che cominciasse lui, ho raccontato a Franco quelli che erano i racconti tramandati dai miei nonni e come io avessi ormai maturato la convinzione che si trattava di una leggenda inventata a bella posta per tenere la gente lontana dalla villa, ecco che parte con la sua narrazione.
“Siamo alla fine dell’ottocento ed Enzo lavorava come guardiano e guardacaccia nelle tenute degli Skirmunt, che erano enormi e non si limitavano a quella villa, erano proprietari terrieri con tanti possedimenti, trapiantati a Brindisi perché commerciavano nel settore del vino e Brindisi era, allora, la capitale mondiale di questo prodotto. Sia la contessa che il suo amante erano molto giovani ed erano presi da questa storia d’amore, nella poesia ho lasciato il nome di Enzo al guardacaccia, e mi è piaciuto chiamare Rosa la donna. Quando il marito li scoprì in tenero atteggiamento, preso dall’ira e dalla gelosia sparò a lui colpendolo all’addome ed incaricò degli uomini di sua fiducia di portarlo via, mentre la contessina, disperata, fuggì via salì in casa e cadde o si lanciò dal balcone finendo sfracellata sugli scogli”

E della storia dell’anima vagante della contessa e delle sue apparizioni, cosa mi sai dire?
“Certamente la storia del fantasma è molto più antica rispetto a quella del contrabbando, dal momento che io già la sentivo da piccolo e non dai parenti di mia moglie, ma dai pescatori che andavano a posizionare le reti da posa (li tramagghi) fra la foce di Fiume Piccolo e Sant’Apollinare, una zona particolarmente pescosa, e quando andavano a ritirare le reti, erano davvero terrorizzati da ogni benché minimo rumore potesse provenire dalla terraferma ed alcuni di loro giuravano di aver visto, nel buio della notte, una giovane donna che si aggirava in camicia da notte!”
Che idea ti sei fatto di questa storia?
“Sicuramente anche i pescatori, come poi i contrabbandieri, avevano interesse a tenere lontane le altre persone dalla loro zona e avevano interesse ad alimentare questa leggenda, ma credo anche che l’anima di una persona morta in modo violento o per suicidio, possa vagare ancora tormentata sulla terra fino a che non riuscirà a trovare pace”.
Mentre Franco si allontana con la barchetta, muovendo il remo in mare come un artista spennella sulla tela, devo ammettere di aver provato i brividi di emozione per il suo racconto e, probabilmente, quando ripasserò da Punta delle Terrare, via mare o da Fiume Piccolo, via terra, tornerò a guardare con un rinato interesse e rispetto verso il rudere della villa e non con il timore con cui lo facevo da piccino.
Abbandonando la leggenda e tornando alla storia, in effetti, da quel che ho potuto scoprire, all’improvviso Simone Skirmunt abbandonò la villa, diretto a Pinsk, nell’attuale Bielorussia, sua città di origine, dove si ritirò nel bel maniero di famiglia, senza mai più fare ritorno a Brindisi, forse per i sensi di colpa o, più probabilmente, per non essere invischiato negli strascichi processuali del delitto d’onore per cui, come si usava all’epoca, un suo servitore si prese la colpa di aver sparato a Vincenzo Di Giulio, in cambio di chissà quali aiuti promessi e concessi a lui ed alla sua famiglia.

I suoi figli ed eredi, Alessandro ed Enrico, agli inizi del novecento, vendettero la villa, ma anche altri possedimenti, ad un nobile latifondista dell’epoca, il conte Federico Balsamo, il quale a sua volta, negli anni trenta del secolo scorso, cedette la villa di Sant’Apollinare al dott. Antonio Monticelli, che poi l’ha trasmessa ai suoi eredi i quali, però, non ne hanno mai, di fatto goduto.
Da qualche anno la villa è stata acquistata dall’Autorità Portuale ma, come se una sorta di maledizione della contessina ancora persistesse, l’intera area è stata sottoposta a sequestro penale, per cui non si può più accedere e magari ciò aiuterà a far trovare pace alla povera anima in pena della contessa che non credo gradirebbe molto i progetti di cementificazione totale della sua antica tenuta sul mare che snaturerebbero per sempre quella che è stata la culla dei brindisini, il luogo dove la nostra città e la nostra civiltà ha avuto inizio.