Saverio Cinieri, cancro di segno e contro il cancro per missione

di Marina Poci per il7 Magazine

“Cancro di Segno e Contro il Cancro di Professione”, recita con apprezzabile dono della sintesi la biografia Facebook del dottor Saverio Cinieri, sessantunenne francavillese nato sotto il segno dominato dalla Luna, che alla cura dei tumori ha dedicato la sua intera vita professionale, coronata, il 23 ottobre, dall’elezione per il biennio 2021-2023 a presidente nazionale dell’AIOM, l’associazione clinico-scientifica degli oncologi medici italiani. Attualmente a capo dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Asl di Brindisi e della relativa Breast Unit (l’equipe multidisciplinare che si occupa delle donne affette da carcinoma della mammella), Cinieri, per dieci anni membro del direttivo nazionale AIOM in vari ruoli, oltre che essere un oncologo amato dalle sue pazienti e stimato dai colleghi di tutta Italia, è anche un abile divulgatore: ideatore e amministratore di “PercontodiSmith”, seguitissima pagina di informazione scientifica su stile di vita, alimentazione e cancro presente su Facebook e Instagram con circa tredicimila follower, è profondamente convinto che una società scientifica che voglia dirsi pienamente integrata nel sistema contemporaneo debba aprirsi alla comunicazione con tutti i cittadini, non soltanto con i pazienti e con i parenti dei pazienti. Tra i punti programmatici più importanti del suo mandato (espressi in un discorso di insediamento nel quale – pur nella lucidità della visione scientifica – si è manifestato pienamente il tratto emotivo e sognante del Cancro inteso come segno zodiacale) vi sono l’intensificazione delle campagne dedicate alla prevenzione e alla diagnosi precoce delle patologie oncologiche, la promozione delle attività di AIOM su tutte la piattaforme social e sui media scientifici e generalisti, il miglioramento dell’interlocuzione con istituzioni nazionali ed enti regolatori, il rafforzamento della presenza di AIOM sul territorio, attraverso i neoeletti coordinatori regionali, il sostegno alla ricerca traslazionale e a quella indipendente.

Perché è così importante la ricerca indipendente e quali specificità assume in ambito oncologico?
“La gran parte della ricerca clinica in questo momento è sviluppata in collaborazione con le company del farmaco. Tengo a dire che si tratta di una ricerca in cui l’Italia ha un ruolo di primo piano, sia come arruolamento che come qualità dei dati. Questo aspetto ha un’importanza strategica in vista dell’approvazione delle nuove molecole da parte degli enti regolatori. C’è, però, un grande filone di ricerca che non riguarda il campo dei farmaci, oppure riguarda farmaci, già approvati, che possono essere utilizzati con nuove modalità di somministrazione, o – infine – riguarda altri aspetti della lotta contro il cancro, come, per esempio, gli stili di vita. Questo filone non usufruisce dei finanziamenti delle case farmaceutiche, ma si tratta di una ricerca altrettanto importante che, come società scientifica, ci impegniamo a stimolare molto, perché è più di impatto clinico-pratico sui pazienti”.

Vi sono evidenze scientifiche del fatto che con uno stile di vita corretto si possa evitare la comparsa del cancro o se ne possano limitare gli effetti?
“Lo stile di vita corretto è fondamentale tanto per la prevenzione primaria (perché diminuisce il rischio di ammalarsi di cancro) quanto per la prevenzione secondaria (perché abbassa il rischio di recidive). È importante parlarne perché, se è noto a tutti, per esempio, che il fumo di sigaretta provoca un aumento del rischio oncologico, non è altrettanto noto che controllo del peso, alimentazione sana e attività fisica costante diminuiscono di circa il 30% il rischio di ammalarsi di cancro. Questi sono dati consolidati e confermati dalla scienza e, come oncologi, dobbiamo farci i conti, soprattutto preoccupandoci di informare le giovani generazioni. Le statistiche ci dicono che l’obesità infantile, della quale nella nostra regione si registra uno dei tassi più alti d’Italia, è un fattore di rischio estremamente importante nello sviluppo del cancro prima dei quarant’anni: un bambino obeso, oltre ad avere un aumentato rischio di patologie cardiovascolari, avrà un rischio di ammalarsi di cancro molto superiore alla media. Far conoscere questi dati e diffondere i buoni comportamenti, a partire dalla scuola e dalla famiglia, ci aiuterà a salvare delle vite”.

Sembra di capire che, in questa opera di divulgazione, un ruolo centrale debba avere la rete.
“Senza internet non abbiamo futuro. AIOM è presente, per mia volontà, sui social network: per una società scientifica questi sono canali di comunicazione importanti, il cui utilizzo non può essere ristretto a noi addetti ai lavori, ma deve essere aperto a tutta la popolazione. Proprio perché teniamo a essere conosciuti da tutti, soprattutto durante la pandemia abbiamo spinto molto il canale YouTube, AIOM tv, sul quale carichiamo i video che spiegano le nostre attività. Non possiamo puntare soltanto alle riviste scientifiche, dobbiamo cercare di essere presenti sui media generalisti, perché è così che raggiungeremo l’obiettivo di avvicinare le persone alla lotta contro il cancro”.

Nel suo discorso di insediamento c’è stato anche un riferimento alle linee guida, che secondo lei andrebbero affiancate a strumenti più elastici e fruibili. Li avete già individuati e sperimentati?
“Per quanto riguarda AIOM, le linee guida sono il prodotto indispensabile del lavoro scientifico di cinquecento specialisti di tutti i campi e costituiscono la base dell’attività quotidiana degli oncologi medici, oltre ad essere fondamentali dal punto di vista giuridico, perché vi fanno riferimento magistrati, avvocati e consulenti. Spesso sono linee guida multisocietarie: se parliamo di cancro della mammella, ci lavorano insieme anche radiologi, radioterapisti, chirurghi. Il loro limite è che stanno diventando uno strumento complesso, non proprio utilizzabile da chi non faccia l’oncologo. Stiamo quindi studiando soluzioni diverse che contemplino, accanto alle linee guida, altri strumenti più agili. Su questo aspetto specifico ho già dato mandato ad alcuni consiglieri nazionali e già nel primo direttivo ci confronteremo e valuteremo le conclusioni a cui sono arrivati questi colleghi”.

Un obiettivo fondamentale del suo mandato di presidente AIOM riguarda la ricerca traslazionale: che ruolo avrà?
“La novità più importante del mio mandato è la necessità, che ritengo ormai impellente, di trasferire in maniera immediata ai soci i risultati della ricerca di laboratorio sia per quanto riguarda i nuovi farmaci che per quanto riguarda le nuove applicazioni cliniche. Al momento, il tempo che trascorre tra l’elaborazione di una molecola, il relativo studio in laboratorio e l’applicazione sui pazienti è per fortuna diventato molto più breve negli anni. Ma bisogna lavorare ancora perché il legame tra ricerca di laboratorio e clinica medica diventi sempre più immediato. In quest’ottica, cercheremo di organizzare un evento dopo il congresso dell’AARC (Associazione Americana per la Ricerca sul Cancro), che in questo campo rappresenta per noi il punto di riferimento scientifico più importante”.

A livello di politica sanitaria, quali sono i limiti e le criticità italiane nella lotta contro il cancro?
“Credo che vada assolutamente migliorato il rapporto tra la società scientifica e le istituzioni nazionali, che nel tempo ha avuto alti e bassi. Non mi riferisco al Ministero della Salute, con il quale abbiamo sempre avuto un ottimo dialogo, ma penso ad alcuni enti regolatori con i quali la collaborazione è stata meno stretta. Però, durante la pandemia, abbiamo iniziato a costruire quello che io definisco “il new deal del cancro”: moltissimi documenti che abbiamo scritto come direttivo sono giunti all’attenzione di Ministero, enti regolatori e, soprattutto, Agenas, che raccoglie tutte le agenzie sanitarie regionali. È necessario continuare su questa strada di scambio e di reciproco supporto. Un altro dei problemi che io ravviso è il ritardo con cui, dopo che l’Ema ha dato l’approvazione ad un nuovo uso o ad una nuova applicazione di un farmaco, si passa all’approvazione nazionale. Parliamo di un tempo medio di due anni. Nostro compito, concretizzando la nostra presenza all’interno degli enti regolatori, sarà quello di ridurre questo tempo, per far sì che in Europa non ci siano più cittadini di serie A e cittadini di serie B. Naturalmente il limite più grande è nel fatto che in Italia abbiamo ventuno sistemi sanitari regionali uno diverso dall’altro, con tutte le differenze di trattamento che questo comporta”.

In che modo si può agire per limitare sui cittadini l’impatto di questi ventuno sistemi sanitari diversi?
“Implementando le reti oncologiche regionali. Per fortuna in Puglia ne abbiamo una molto attiva, per quanto giovane. Le reti oncologiche devono essere presenti in tutte le regioni, perché sono gli strumenti concreti con cui si si creano condizioni di parità nell’accesso ai farmaci e alle indicazioni terapeutiche”.

I cosiddetti “viaggi della speranza” verso altre realtà sanitarie sono ancora così frequenti da parte dei cittadini del nostro territorio?
“La pandemia li ha ridotti di molto. In genere non sono connessi alla terapia medica, quanto piuttosto alla cura chirurgica dei tumori, anche perché noi oncologi medici, facendo tutti riferimento alla casa madre AIOM per i protocolli terapeutici, siamo in grado di garantire una sostanziale uniformità di cura, a Milano come a Brindisi. Per quanto riguarda la chirurgia, dobbiamo lavorare sulla valorizzazione delle nostre professionalità (e ce ne sono di ottime anche qui da noi, non necessariamente i chirurghi più famosi sono anche i più bravi) e sull’accoglienza dei pazienti, che devono avere a disposizione medici e strutture in grado di garantire le migliori cure possibili senza fare centinaia di chilometri”.

Nel suo discorso di insediamento ha definito la pandemia un “evento apocalittico”: gli effetti dei ritardi diagnostici determinati dall’emergenza sanitaria si vedranno tra qualche anno oppure sono già percepibili?
“Intanto, vorrei precisare che le cure oncologiche ai pazienti in trattamento in tutta Italia non si sono mai fermate. Durante i primi tre mesi della pandemia si sono interrotti i controlli in presenza ai pazienti guariti (che comunque non abbiamo abbandonato, visto che sono stati seguiti per via telefonica e telematica), gli interventi chirurgici (visto che molte delle sale operatorie erano occupate da letti Covid) e, purtroppo, gli screening. Comprensibilmente, la gente aveva paura di venire in ospedale per sottoporsi ai controlli: una volta che siamo stati in grado di tranquillizzarli sulla sicurezza dei percorsi, che sono stati ben separati dagli accessi dei pazienti Covid, anche gli screening per cancro alla mammella, al colon-retto e alla cervice uterina sono ripresi. È chiaro che nessuno nega che un rallentamento c’è stato e che non è ancora completamente risolto. Per questo bisogna insistere con l’informazione e la comunicazione: diagnosticare il cancro quando è molto piccolo facilita le cure e la prognosi. Quello che stiamo vedendo, come oncologi medici, è un numero più alto di pazienti con tumori più avanzati, ma al momento non abbiamo dati sull’evoluzione delle patologie oncologiche nel periodo post-pandemico”.

Attualmente la situazione della Breast Unit dell’ospedale Perrino, che lei dirige, qual è?
“In questi mesi la Breast Unit ha fatto un lavoro encomiabile: nonostante la situazione fosse molto difficile, non ci siamo mai fermati e non abbiamo mai sospeso le riunioni settimanali multidisciplinari. Adesso, oltre all’hub di Brindisi, possiamo contare anche su Francavilla e Mesagne, cosa che ci aiuta non poco. Noi abbiamo una delle migliori Breast Unit del Sud Italia, dobbiamo soltanto fare in modo che cresca e continui ad essere un punto di riferimento importante nel territorio”.

Dal punto di vista della ricerca, secondo lei su cosa bisognerebbe investire per contrastare il cancro con più efficacia? Terapia genica? Anticorpi monoclonali? Qual è il futuro?
“Gli anticorpi monoclonali e l’immunoterapia sono il presente: li usiamo tantissimo e hanno completamente rivoluzionato la cura di alcuni tumori, tipo i melanomi, i tumori al polmone e al rene e alcuni tipi di cancro della mammella. Io punterei su due aspetti, molto diversi tra loro: il miglioramento della qualità della vita dei pazienti (abbiamo imparato a cronicizzare il cancro, adesso dobbiamo imparare a rendere quanto migliore possibile la vita di chi sopravvive) e le terapie cellulari. Su questo intendo spingere come presidente AIOM e ovviamente tutto quello che faremo come società scientifica si rifletterà sulla pratica medica del Perrino”.