di Giancarlo Sacrestano per IL7 Magazine
«Questa vicenda, esempio della solidarietà corale e partecipe che il Popolo di Puglia ha riservato a profughi esiliati ed abbandonati, la testimonianza su questa pietra ed il grato ricordo, nel cuore di chi non dimentica». Sono le parole incise sulla targa che si trova presso il porticciolo turistico di Bocche di Puglia a ricordo dei tanti profughi assistiti a Brindisi.
Brindisi è testimonianza di centinaia di migliaia di piccole importanti storie che, proprio sulle sue rive, hanno ritrovato dignità, un momento di accoglienza, il ritrovato abbraccio della vita.
Era un sabato il 29 ottobre del 1949, quando la mia famiglia approdava, profuga, alla “Stazione di Sanitaria Marittima” di Bocche di Puglia, ormai orfana di speranza.
Era un giovedì, il 29 novembre del 1956, quando la stessa cosa accadde alla famiglia di Carolina.
Il continuo rimescolamento degli assetti geopolitici, tutti a scapito di chi ha scommesso sulla fiducia in una speranza, fanno diventare fratelli i profughi, nonostante le diversità di origine del loro dramma.
Il mio, pesca nel riassetto delle regioni ellenico-balcaniche, il suo in quello israelo-egiziano. Io mezzosangue ortodosso, lei israelita.
La nostra fratellanza, come fiume carsico, riemerge qualche giorno fa e basta pochissimo sincronizzare i nostri sentimenti e dare energia al bisogno, insopprimibile, di chi profugo cerca e trova luoghi e persone, col bisogno di marcare e riconoscere i primi, abbracciare e fraternizzare con le seconde.
Ho scoperto a mie spese, ma è condivisa con ogni profugo, che l’incertezza inquieta di non appartenere, di essere perennemente alla ricerca della terra d’origine, esalti la sensibilità ai temi dell’accoglienza, dell’ospitalità e perché no, in alcuni casi, come per Carolina, trasformare un inquietudine profonda in una forte capacità di testimoniare una visione comune, un possibile tragitto che dalla testimonianza di chi non dimentica, arriva diretta al cuore di chi ancora non sa.
“Come ladri nella notte” è il libro testimonianza che ha dato alle stampe più di un decennio fa. Quanto sia inciso in ogni profugo – e chi non lo è? – questo stato d’essere, Carolina Delburgo lo vive quotidianamente.
A farci scoprire fratelli è stato un fraterno amico di entrambi. Ironia della vita, pur non conoscendo questa mia identità clandestina, mi dice che Carolina è persona speciale ed io devo parlarle. Saprà solo ora che io e Carolina apparteniamo ad una fratellanza votatasi alla ricerca perenne e alla sorpresa perenne, di cercare per trovare le ragioni della speranza.
Ci inseguiamo, subito, col telefono e accade pure che la linea telefonica, stranamente si surriscaldi; pare come se, attorno al filo della memoria comune, intendano aggiungersi altri, col risultato che, stranamente cada spesso il contatto telefonico. Non dubitiamo della scarsezza delle connessioni, no.
Carolina ha un sogno, far conoscere di Brindisi, l’identità di luogo dell’accoglienza per eccellenza.
Non si stanca di ripeterlo, di inserirlo nelle sue suggestioni quotidiane.
Qui lei, allora bambina, ha vissuto momenti incantati, forse più sognati che reali e a guardare oggi ciò che resta della “Stazione Sanitaria Marittima” viene impossibile pensare che possa mai essere stata un luogo da sognare.
A Brindisi l’accoglienza, per Carolina si è fatta realtà viva, manifestata con la solidarietà, così mi ricorda e dice che, appena sbarcata, chiese al padre qualcosa da mangiare e lui con pochi spiccioli in tasca, ordinò al bar latte e brioches, ma il cassiere non volle il denaro, come pure gli stessi facchini del porto, offrirono gratis, ai profughi appena sbarcati, il loro servizio.
L’ospitalità e la solidarietà, come “gocce di latte” – questo mi dice Carolina – nel mondo della comune condivisione.
Quando nel 2005, ebbe l’occasione di essere in Puglia, ebbe anche l’opportunità di rivedere il luogo del suo soggiorno e racconta: “Quando sono arrivata lì il cuore mi batteva forte e avevo mani e piedi ghiacciati nonostante fossimo in luglio. Alla vista dell’ingresso, con i vecchi cancelli tutti arrugginiti, gli occhi mi si sono riempiti di lacrime ed ho tremato. Avevo paura di non farcela a ripercorrere il mio passato e a rivedere i luoghi che ricordavo da bambina”.
Oddio, tra gli over cinquanta brindisini, quei luoghi portano al ricordo di un parco di divertimenti, meta per famiglie e oggetto del desiderio dei bambini. Si chiamava “Babylandia” e per qualche anno accese illusioni negli occhi e nei cuori dei bambini brindisini.
A dispetto della miriade di testimonianze, che vedono Brindisi essere additata quale luogo di accoglienza per eccellenza, i brindisini annaspano, dubitano, restano incapaci di definire una propria identità compiuta.
Da Carolina Delburgo, sono arrivati a Brindisi, stimolanti suggestioni che, però, in oltre un decennio, non hanno spostato di una virgola, il livello di percezione del possibile beneficio socio-culturale e persino di un pragmatico ritorno economico dalla consapevolezza di essere, noi brindisini, eredi di un patrimonio di valori immateriali, quali l’accoglienza e l’ospitalità di cui non sappiamo neppure balbettare un minuscolo concetto che li accarezzi.