Teatro sospeso su un’area archeologica: un’unicità tutta brindisina

di Alessandro Caiulo

Corrono in questi giorni i venti anni dalla inaugurazione – anzi, meglio sarebbe dire, come spiegheremo fra poco, la prima inaugurazione – del Nuovo Teatro Verdi, il 12 novembre 2002, alla presenza dell’oggi Ministro Raffaele Fitto, dell’allora Sindaco Giovanni Antonino, dell’Arcivescovo, ora emerito, di Brindisi monsignor Rocco Talucci e dell’Assessore alla Cultura Raffaele De Maria.

Risale ad allora una curiosa e divertente gaffe, che fece il giro della città e non solo, allorquando, nella fretta di scrivere e recapitare gli inviti per la cerimonia di inaugurazione, al vescovo fu recapitata una busta su cui era scritto a caratteri cubitali: “a Sua Eccellenza mons. Rocco Talucci e signora”.
Torniamo indietro di una sessantina di anni, nel pieno boom economico di Brindisi, quando l’Amministrazione Comunale già da qualche tempo si stava adoperando in tutti i modi per “favorire”, più o meno indirettamente, la locale squadra di calcio. La Brindisi Sport di Franco Fanuzzi, era intenta nella scalata che la porterà dalla serie D fin quasi all’Olimpo del calcio nazionale; tale scalata fu frenata solo dalla morte del commendatore, quando la formazione biancazzurra militava in serie B ed in quel campionato (1973/74), sia pure per poche giornate, aveva anche occupato le posizioni di vetta della classifica, facendo sognare ai suoi sostenitori, provenienti da tutta la provincia e anche dai paesi del nord Salento, la serie A.
A dire il vero, già negli anni precedenti la CISET di Franco Fanuzzi, allora semplice imprenditore edile e non ancora padrone del calcio cittadino, aveva proposto, in cambio dell’area resa libera dalla demolizione del Teatro Verdi, la costruzione di un grande teatro nel rione di San Pietro degli Schiavoni, proprio lì dove era stata appena riportata alla luce un’interessantissima “insula” della Brindisi romana, con resti di edifici e pavimenti musivi.

Originariamente su quell’area doveva essere costruito il nuovo Tribunale, posto proprio di fronte alla vecchia Corte d’Assise situata nel palazzo Granafei-Nervegna, ma una volta avvenuta questa importante scoperta archeologica si rinunciò all’idea di costruire il nuovo Palazzo di Giustizia al centro della città e si individuò il nuovo suolo in quella che all’epoca era l’estrema periferia.
La stessa remora di tombare gli scavi non si ebbe quando si trattò di acconsentire allo scambio proposto da Franco Fanuzzi, ormai patron della Brindisi Sport che, nell’occasione, fece presentare in pompa magna un originale e, per l’epoca, futuristico progetto all’architetto romano Enrico Nespega: un’imponente struttura d’acciaio sospesa sugli scavi archeologici, il che avrebbe reso fruibili gli scavi archeologici, anche se, in realtà, venivano nascosti agli occhi dei più.
Nell’area riveniente dalla demolizione del vecchio Teatro Verdi, il luogo della Brindisi bene della “Belle Époque”, fra la centralissima piazza Cairoli, Corso Umberto, via Mazzini e via Masaniello, la Ciset costruì un enorme edificio per attività commerciali e civili abitazioni che, in ragione dei grandi magazzini che ebbero lì la sede, è ancor oggi denominato Palazzo Upim.
La scheda sintetica del Ministero della Cultura che censisce l’Area Archeologica di San Pietro degli Schiavoni, a Brindisi, pur essendo molto scarna, come è nello stile di questi striminziti riassuntini, forse proprio per la sua estrema laconicità che dice tutto e niente, desta non poca curiosità: “Sita nel centro della città è attualmente conservata al di sotto del Teatro Comunale G. Verdi e rappresenta un quartiere della città romana attraversato da una strada basolata con resti di domus con pavimenti a mosaico e di impianto termale con i resti dei quartieri abitativi, dell’impianto stradale e termale (fine I sec. a.C. – età tardo antica)”.

Su questi importanti reperti si sviluppa ora il teatro comunale “Giuseppe Verdi”: si tratta di una struttura estesa, per rimanere in tema, quanto un campo di calcio che ha avuto tantissime vicissitudini a partire dalla circostanza che, nel corso degli scavi emersero nuovi reperti di epoca romana di gran pregio ed interesse storico che portarono nell’aprile del 1969 alla sospensione dei lavori a seguito di un esposto di Italia Nostra e l’intervento della Soprintendenza Archeologica della Puglia, per cui fu predisposto ed attuato un piano tendente alla conservazione dei reperti archeologici; nel 1970 i lavori ripresero, ma proprio in ragione dei continui interventi a tutela di detto patrimonio, andarono molto a rilento. Dopo la morte del commendatore, nel 1974, una lunga sequela di problemi: fra fallimenti e contenziosi giudiziari, fino a giungere, a 35 anni dalla posa della prima pietra, alla prima inaugurazione con un concerto del maestro Salvatore Accardo.

Si è parlato di prima inaugurazione in quanto, dopo qualche mese di attività ed una dozzina di spettacoli, il teatro fu nuovamente chiuso per essere adeguato alla nuova normativa, sicchè fu nuovamente inaugurato il 20 dicembre 2006 dal Sindaco Domenico Mennitti, ideatore della Fondazione che da quindici anni gestisce questa struttura, con un concerto del maestro Riccardo Muti.
La imponente struttura è abbellita, nella sua facciata principale da un bassorilievo in bronzo realizzato dall’artista ungherese Amerigo Tot.

Abbiamo chiesto all’amico Massimo Guastella, professore associato di storia dell’arte contemporanea al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, di parlarci proprio di questo bassorilievo e del suo autore ed abbiamo colto l’occasione anche per farci raccontare di quando, per imperizia e dabbenaggine, rischiò di essere deturpato per sempre: “Amerigo Tot era artista ungherese di fama internazionale, nato nel 1909 e scomparso nel 1984. Ebbe trascorsi formativi giovanili alla scuola del Bauhaus dove apprese, fra altro, lo stretto rapporto progettuale di architettura e arti visive e design. Quei precetti formativi ebbe modo di riprenderli nel corso della sua carriera artistica in Italia, dove si stabilì. La sua produzione scultorea è ampia, lungo tutta la penisola, sia con opere di figura sia di stile astratto geometrico; cito fra i tanti due lavori che si trovano a Roma: il fregio in alluminio anodizzato lunga facciata della pensilina della Stazione Termini e quello in ceramica per il Palazzo dello Sport di Luigi Nervi, edificato per l’Olimpiade del 1960. Le due vicende confermano che l’artista di origine magiara fu chiamato da importanti progettisti italiani a contribuire con le sue opere a fondere scultura e architettura. Il caso del teatro di Brindisi ne è ulteriore testimonianza, partecipando al progetto dell’architetto Nespega, che nella città ha ideato importanti edifici (qualcuno sfregiato di recente, come la biblioteca decorata con un insulso murales multicolor kitsch). A Brindisi, realizzò il bassorilievo che sovrasta l’ingresso principale del Teatro Verdi. Un pannello d’impasto cementizio, monocromo vinato, concepito in una successione di piani modulari geometrici, che raffigurano delle “maschere”, un richiamo al teatro. Per via dell’imminente inaugurazione del teatro, quelle “maschere” furono al centro di un episodio misto di imperizia, indolenza, scarsa sensibilità che ebbe più responsabilità: dai competenti uffici dell’amministrazione comunale poco vigili sui lavori di manutenzione dell’intero stabile, ivi compresa una sciagurata pitturazione di colore scuro della superficie dell’opera di Tot, un “abbellimento “ non richiesto che alterava la monocromìa ideata da Tot, appiattiva il valore plastico e i giochi chiaroscurali creati nelle dinamiche delle sovrapposizioni dei moduli; la ditta affidataria dei lavori che non tenne conto che quel pezzo era ed è (non dimentichiamolo) un’opera d’arte e tale andava cautamente considerato; l’impreparazione della soprintendenza pugliese ai beni artistici che, non essendoci alcuna notifica, ma diciamo pure nessuna conoscenza dell’esistenza del bene, non poteva intervenire né intervenne a danno compiuto. Ma a quel primo danno ne seguì uno ancor più maldestro, figlio di quella fretta politica di inaugurare il teatro per tempo. Alle immediate proteste da più parti sollevate per le ignobili stesure di colore dell’ignaro operaio, comandato dalla direzione lavori inadeguata a considerate l’opera d’arte, seguì una aggressiva ripulitura a getto d’acqua che staccò piccole parti originarie della superficie: frammenti ne raccolsi per terra e conservo, funesto ricordo dell’insipienza della “cultura del fare” senza progettare (proiectare ‘gettare avanti’) una costante della politica locale ancora sotto gli occhi di tutti”.

Tornando, invece, indietro nel tempo di una paio di millenni, a quando, cioè, in questo stesso luogo insisteva un’insula dell’antica e fiera Brundisium col suo pullulare di cittadini, schiavi, matrone, liberti, soldati e chi più ne ha più ne metta, abbiamo rivolto un paio di domande a Luana Convertino – una laurea magistrale in Lingue e Letterature straniere ed un master in Marketing e Management dei servizi turistici – che da quattro anni, dopo aver conseguito la necessaria abilitazione, svolge la professione di guida turistica per l’associazione Le Colonne, da sempre impegnata nella promozione e valorizzazione del patrimonio artistico-culturale di Brindisi.
La scorsa primavera hai condotto in visita guidata per il centro storico di Brindisi la delegazione ellenica composta da Presidente della repubblica, Ministro della Cultura, con Ambasciatore e Console al seguito e fra le zone di interesse selezionate per la visita non è potuta mancare l’area archeologica di San Pietro degli Schiavoni. Ci vuoi parlare di quest’area come ne parleresti ad un gruppo di turisti in visita?
“Sì, ho avuto l’onore di accompagnare la delegazione ellenica alla scoperta del centro storico della nostra Brindisi e la visita non poteva non far tappa presso l’area archeologica di San Pietro degli Schiavoni, uno dei simboli della città che rappresenta pienamente la Brindisi romana. L’area fu rinvenuta negli anni ‘60 durante gli scavi per la costruzione del nuovo palazzo di giustizia che venne successivamente edificato in un’altra zona della città. Prende il nome dalla comunità di “schiavoni”, ossia popolazioni originarie dei Balcani che vivevano nel quartiere in questione già a partire dal Cinquecento e dalla Chiesa di San Pietro di cui non si ha più traccia. Oggi l’area presenta una strada romana in basolato lunga 60 metri e larga 4,5 metri, cardine dell’antico assetto urbanistico romano; ai lati della stessa vi sono alcune domus con pavimenti a mosaico e i resti di un piccolo impianto termale. Oltre a rappresentare un’importante testimonianza della città in epoca romana, il sito è unico nel suo genere poiché custodito da un vero e proprio teatro sospeso sugli scavi. Il teatro, progettato dall’architetto romano Enrico Nespega, fu realizzato con l’intento di rendere fruibile il ritrovamento. Impossibile non fermarsi ad ammirare i resti che raccontano moltissimo sulla storia della città, una tappa imprescindibile per chi vuole saperne di più sul passato di Brindisi”.
Cosa si potrebbe fare, a tuo avviso, per rendere ancora maggiormente fruibile ed appetibile, specialmente per chi viene da fuori, questa importante area archeologica che ha la particolarità di essere stata sia nascosta e quasi tombata, ma, in qualche modo, anche protetta dalla costruzione del Nuovo Teatro Verdi?
“Credo che l’essere celata al di sotto del Teatro sia un valore aggiunto poiché la rende un’area archeologica unica e al tempo stesso affascinante. Risulta essere una sorpresa per chi ci si imbatte e la possibilità di poterla ammirare dal foyer del Teatro Verdi attraverso il pavimento di cristallo offre al visitatore un’esperienza suggestiva. La fruibilità del sito è garantita con orari di apertura estesi per permettere ai turisti che arrivano in città e ai brindisini stessi di poter godere di questo spaccato di storia incastonato nel centro storico, a due passi da altri siti di interesse quali Palazzo Granafei-Nervegna, piazza Duomo e il tempio di San Giovanni al Sepolcro. Personalmente, inserisco sempre l’area di San Pietro degli Schiavoni nel percorso di visita in città perché la reputo un tassello fondamentale per comprenderne l’importanza storica in epoca romana. Brindisi è una città da scoprire, ricca di storia, arte e cultura. Da brindisina non posso che essere contenta della reazione dei turisti che si incantano dinnanzi alla sua bellezza e al tempo stesso fanno da sprone per promuoverla sempre di più. L’obiettivo primario è il passaggio da piacevole scoperta a meta turistica a tutti gli effetti perché, a mio avviso, ha tutte le carte in regola per essere riconosciuta come tale”.