di Giancarlo Sacrestano per il7 Magazine
La gita domenicale di questa settimana, ci accompagna, col consueto passo lento della mitica Fiat 600 dei primi anni 60, con cui mio padre ci aiutava a conoscere il territorio della nostra piccola terra messapica.Lui, come tutti i genitori, lavorava sodo durante la settimana, ma il tempo per una passeggiata domenicale, non lo perdeva mai.
Scendere le lunghe ed interminabili scale del condominio, cercare e trovare, tra le tante, la nostra 600 di famiglia, era un correre ed un frastuono che si univa al laborioso compito di mia madre che provvedeva all’acqua, in bottiglia di vetro, a qualche panino e se proprio eravamo stati bravi, ci toccava persino il gelato. Un ghiacciolo 10 lire ed un cornetto 20.
Tempi lontani e magari da tenere a mente perché i nostri bisogni attuali si sono vestiti di bel altri privilegi e a rinunciarvi non siamo disposti.
In auto non c’era la radio ed il tempo della musica a tutto spiano non era ancora arrivato. Alla bisogna era mio padre che cominciava e noi a seguirlo.
Non era bella la vita, eravamo noi ad averne voglia!
Alle rare stazioni di servizio, il pieno della 600 era di 10 mila lire, ma di strada ne facevi tanta.
Le strade di allora non erano quel meraviglioso intreccio e scambio di statali e provinciali. La viabilità era appena percepibile e la lunga filiera di alberi che sulle statali faceva da corona e da abbellimento che ci rendeva tutti felici.
Il viaggio, seppure di pochi chilometri, diventava una piccola vera maratona e l’incrocio con la ferrovia era il necessario stop che durava interminabilmente e l’uomo guardiano del passaggio a livello a mano, restava lì con la sua bandierina rossa ed il suo cappello nero a segnare come fosse il capo delle ferrovie, il passaggio dell’agognato treno.
Oggi che tutto questo lo racimolo a tratti dalla mia memoria, mi piace accompagnarci nel viaggio che ieri era della domenica, ma oggi, bastano pochi minuti e si è lì, dove si vuole, per un caffè un aperitivo, una cena, un appuntamento.
Sfugge a tutti che la strada di questa settimana, per quanto domestica e facile da percorrere, ha il sapore della storia e che il luogo di destinazione trova origine nel lontano 210 avanti Cristo, quando il cartaginese Annibale si stava preoccupando di impossessarsi della vicina Oria e a pochi chilometri dalla cripta di “Crepacore”, i romani stavano mettendo a segno la realizzazione della loro principale via di comunicazione, la Via Appia, la famosa Regina Viarum.
Parto da Brindisi e percorro la attuale statale 7 “Appia” sino a Mesagne, dove le facili indicazioni permettono il disimpegno.
La strada provinciale n. 69, che collega Mesagne a Torre Santa Susanna disegna, tra le vaste piantagioni di ulivi, una stretta linea lenta e pianeggiante. Dopo poco più di 6 chilometri la cittadina offre un segno tangibilmente notevole della sua offerta territoriale: la chiesa di San Pietro di Crepacore, un significativo presidio culturale.
L’austera e possente struttura, ben tenuta e curata dall’amministrazione comunale di Torre Santq Susanna è vero monumento alla civiltà di un territorio che è limite geografico tra la cultura bizantina e quella longobarda, ma ancor prima tra quella messapica e quella latina.
La chiesa che risale al VI-VII secolo, infatti, insiste esattamente sul cosiddetto “limitone dei Greci” confine naturale, rappresentato da un declivio del terreno che degrada dal leggero altopiano mesagnese verso la vasta valle del “Primitivo” di cui Torre S.Susanna rappresenta il vertice nord-orientale.
L’insediamento di San Pietro di Crepacore, forse derivazione di “crepacone” (grande avvallamento) potrebbe riservare la sorpresa di essere stato in precedenza, seguendo le tracce di preesistenti insediamenti, finanche luogo di insediamento dell’esercito di Annibale, qui giunto dopo lo scontro con i Romani di Canne della Battaglia.
Suggestioni a parte, il luogo testimonia di una corposa ed importante presenza civile che da contrada “Galesano” si è spostata nell’attuale posizione dando vita a Torre Santa Susanna, in onore della martire venerata dai miliziani romani.
A poche decine di metri dalla chiesa, che riecheggia per forma e funzione testimonianze di fede proto-cristiana, come la Madonna di Galaso ad Oria, Sal Lorenzo a Mesagne, San Miserino a San Donaci, il declivio della provinciale incrocia il tratto di appia calabra che da Oria giungeva a Valesium. A pochissimi chilometri il rettilineo di asfalto introduce nel centro abitato, che conta poco meno di 10.500 abitanti si divide un territorio di circa 53 chilometri quadrati, che tolti quelli destinati all’edilizia residenziale è destinata alla principale occupazione, la coltivazione della vite e dell’olivo, che occupa oltre i due terzi della superficie coltivata, con una maggiore predominanza di quest’ultimo. Ciò spiega la presenza, di numerosi frantoi e di alcuni stabilimenti vinicoli.
Dinanzi al bello, ristrutturato e tirato a lucido, palazzo storico del municipio, lenta si muove la gente, tra l’ufficio postale e la vicina piazza con la colonna e la statua della Santa che ha donato il nome alla cittadina.
Entro per chiedere informazioni nella sede locale dell’Associazione Combattenti e Reduci, lo faccio ad ogni tappa di questo viaggio di provincia.
Anziani, intenti attorno ad un tavolino di plastica, a seguire idee e racconti, mi indicano le cose importanti del paese.
Il mio passo, lento per necessità, mi porta nei luoghi simbolo e se il castello è uno degli edifici più rilevanti dell’architettura civile, la cui costruzione ebbe origine nel secolo XVI per divenire nel secolo successivo di proprietà dei Conti Filo della Torre, particolare rilievo, riveste l’architettura religiosa con due esempi molto significativi, la Chiesa Matrice, dedicata alla Ss Annunziata e titolata a San Nicola ed il Santuario della Madonna di Galaso.
La maestosità della Chiesa matrice è nella compostezza di un prospetto romanico su cui risalta un rosone finemente lavorato. Rilevante è la superbia delle tre navate. Risalente al principio del 1300, a quando, cioè, la popolazione cominciò ad insediarsi nel nuovo agglomerato urbano, la chiesa matrice conserva diverse tele, tra le quali degna di nota è quella relativa a San Carlo Borromeo, dipinta dallo squisito tratto del pittore mesagnese Gian Pietro Zullo. Di scuola veneta è la tela, anch’essa di grande formato, dei santi Medici.
Molto suggestiva ed inattesa per le emozioni che riesce a trasmettere è il Santuario della Madonna di Galaso, ubicata nel centro cittadino. La sua storia nasce con il ritrovamento di un’immagine di una Madonna con Bambino di origine basiliana, affrescata in una grotta.
Tale immagine fu strappata dal suo luogo originale e fu posta sull’altare principale, quale pala d’altare. L’operazione avvenne nel secolo XV sulla cripta basiliana che era annessa ad una cisterna degli antichi fortilizi romani, l’acqua della cisterna era ritenuta miracolosa. Oggi il santuario si presenta su due livelli, quello inferiore è il vero e proprio Santuario, mentre quello a piano stradale costituisce lo spazio riservato all’ingresso, da questo piano si scendono ben 13 gradini per arrivare al piano della navata dell’edificio. L’altare maggiore, pregevole esempio d’arte barocca, opera dello scultore di Muro Leccese Carluccio del 1727, custodisce nella nicchia centrale l’originale affresco basiliano.
Nello storico palazzo tirato a lucido, dell’ex municipio, oggi – “Palazzo della Cultura” – ha sede la biblioteca civica titolata a Caterina Formosi, colei che si adoperò per la sua istituzione. Per comprendere di più il portato storico culturale di Torre è importante ricordare che, forse il primo significativo accenno all’esistenza in Torre Santa Susanna, di una raccolta pubblica di libri, anche se privata, è testimoniato dalla delibera di Consiglio comunale n. 97 del 23 dicembre 1897 che respingeva la richiesta di un contributo ad un circolo letterario, riservandosi tuttavia di concederlo a condizione che l’istituenda biblioteca fosse davvero popolare e non riservata solo ad una ristretta classe di persone o ai soci del Circolo.
Nello stesso palazzo trovano sede anche una pinacoteca, l’archivio storico comunale ed il museo della civiltà contadina.
A Torre anche la presenza di un teatro comunale, ex cinema “D’Andria” che ha una capienza massima di 316 posti, ospita interessanti ed importanti rappresentazioni teatrali inseriti nei programmi stagionali del Consorzio Teatro Pubblico Pugliese di Bari a cui il Comune di Torre ha aderito nel 2008. Dal 2010 é divenuto anche sede di una delle dodici Residenze Teatrali pugliesi inserite nell’ambito del progetto triennale “Teatri Abitati” finanziato dalla Regione Puglia e gestito attraverso esperte compagnie teatrali regionali.
La laboriosità culturale e la sua operosità, non sono facili da percepirsi al primo impatto, ma bisogna sostare, camminare lenti tra le stradine e ascoltando il vissuto che qui si è impadronito di diritto, semmai lo abbia lasciato, dello spazio urbano che è punteggiato di iniziative commerciali e di somministrazione.
È tarda mattinata e dalle vie d’ingresso alla cittadina, comincia il rito di rientro dai vasti oliveti dei mezzi e degli operai che stanno provvedendo alla raccolta dell’oro giallo, della nostra terra.
Trattori che portano a traino rimorchi carichi di olive, sono la testimonianza verace di un’economia che nel Salento si misura in tomoli, (unità di misura delle olive) non in quintali. Misura di un’economia che vive e si alimenta di un duro rapporto tra la fatica e la resa in olio di ogni drupa succulenta di oliva.
Non è un caso che tra le istituzioni scolastiche torresi, si annovera anche la sezione staccata dell’Istituto Agrario di Ostuni, qui la terra è cultura, realtà presente e futuro.
Attorno al bivio che si realizza sotto la possente colonna di Santa Susanna, il transito dei veicoli a motore, dei trattori e di altri mezzi di trasposto non mi distolgono, anzi mi invitano a dare un ultimo sguardo al monumento simbolo di Torre Santa Susanna.
Questo monumento fu edificato nel 1837 e segna il punto geografico esatto dove sorgeva l’antica torre angioina costruita nel Medioevo. A causa dei terremoti del 1627 e del 1743, Il manufatto era divenuto pericolante, quindi demolito agli inizi del XIX sec. Il progetto del monumento è opera di tale Sardella da Cursi e come tutte le opere, di quel periodo, è stato realizzato in tufo e lavorato con motivi a rilievo. Il basamento è di forma ottagonale di cinque gradini, su cui si appoggia la base della colonna. Si vuole che l’opera sia nata per ringraziare Santa Susanna, del miracolo che operò in occasione del colera della prima metà dell’ottocento, che causò molti morti nella vicina Erchie, facendo rimanere immune la cittadina di Torre. L’opera, alta 12 metri e la statua che la sovrasta, alta circa due metri, invitano lo sguardo a elevarsi verso il cielo, in uno sforzo che simultaneamente porta in alto anche il pensiero e, come fosse preghiera, per chi crede, come fosse riflessione, per gli altri, verso una considerazione che vuole Torre Santa Susanna, sorta di testimone di un processo storico che lento e costante, sovrappone esperienze, come la pasta di olive tra le fiscole, che sotto la pressione del tempo, come il torchio, rilascia l’olio.
Per ultimo intendo dare memoria di Gregorio Missere o Messerio nato a Torre S. Susanna, 15 novembre 1636 e morto a Napoli, 19 febbraio 1708. Sacerdote, filosofo, poeta, filologo, insegnò lingua greca presso l’Università di Napoli. Fu uno dei primi a far parte del gruppo degli Arcadi e scrisse sonetti madrigali ed epigrammi. Ricevuti i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli
frequentare il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per lo studio. All’età di 24 anni, fu ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natio, dove divenne un maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche alla musica e al canto. Il Messere si applicò allo studio della lingua greca, per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Gregorio Messere partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di affinare e approfondire i propri studi. La grande conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che mantenne fino all’anno della morte, presso l’Università degli studi di Napoli. Morì nel 1708, ai suoi funerali parteciparono tutti i professori dell’Università e altri illustri personaggi; fu sepolto nella cappella dove riposano le ceneri del letterato Giovanni Pontano. Giambattista Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo ver Argeo Caraconasio.