Il 20 febbraio 1991 per protesta anticomunista a Tirana viene abbattuta la statua di Enver Hoxha, il dittatore capo della patria comunista albanese. Prendevano l’avvio le azioni di aspro conflitto che sfociarono nell’esodo di decine di migliaia di giovani albanesi attratti dalla fame di libertà.
Il successivo 25 febbraio cominciavano a prendere la rotta verso il porto di Brindisi le prime imbarcazioni e sarà il destino, ma la prima a giungere in porto, proprio nei pressi della stazione marittima fu una piccola nate mercantile, carica fino all’impossibile e stipata della merce più preziosa dell’umanità. Giovani, donne, bambini, anziani, che dopo 64 ore di digiuno inneggiavano alla libertà e alla sete che li stava attanagliando. Sorridevano e gridavano la loro disperata voglia di quel bene che il regime comunista gli aveva tanto vietato, da farlo diventare miraggio da guardare, in privato, attraverso i canali della televisione italiana, che regalava sogni appresso ad una ruota della fortuna. L’immaginario che ne derivava lo conoscemmo nei mesi a seguire, con le istanze scomposte di beneficiare “agratis” di brandelli di quei privilegi di cui loro credevano si concretizzasse la libertà.
Se vedi in TV che i soldi si regalano solo rispondendo quanti fagioli ci sono in un vaso, ne consegue, che chi da 40 anni faceva la fila nottetempo per acquistare ciò che il partito concedeva, è difficile far comprendere che la realtà occidentale è molto più complessa e che la tragedia della disoccupazione qui a Brindisi, nel meridione, in Italia, era ed ahinoi resta, una piaga endemica.
Pochi ricorderanno che nella primavera del ’91 Brindisi era il centro pulsante dell’Italia solidale e le cronache televisive raccontavano le grandi privazioni a cui erano sottoposti quelli che fino a qalche mese prima, erano solo dei lontani dirimpettai di cui non si conosceva nulla.
I brindisini confermarono la loro innata vocazione alla generosa ospitalità e si moltiplicavano le azioni ed i gesti di sostegno per questi fratelli ritrovati.
Nelle famiglie brindisine, nelle loro case, si moltiplicarono i posti letto e nessuno negò ospitalità ed opportunità di una vita migliore a chi di sofferenza ne aveva pieno il DNA.
Se il flusso, durato anni ed ancora persistente, privilegia la rotta dai porti albanesi verso gli approdi pugliesi, si registra da qualche anno anche il potenziamento del traffico turistico vero l’Albania, alimentato da una attrazione guidata dalla bellezza e dalla economicità dei costi di permanenza.
Le relazioni commerciali, quelle istituzionali sono diventate in 30 anni solide e dinamiche e non è un caso che sia da anni celebrata una regata velica che unisce la città di Brindisi con la città di Valona.
Da Paese retrogrado, l’Albania ha fatto importanti passi e se la Francia, lo scorso anno ha fermato il percorso di avvicinamento del Paese delle Aquile alla Unione Europea, l’Italia resta partner privilegiato.
Colpì tutta Europa, lo scorso 29 marzo l’intervento in italiano del premier albanese Edvin Rama che in un italiano fluente accompagnava la missione di 30 medici albanesi verso gli ospedali italiani, per contribuire alla lotta al CoronaVirus. “Noi stiamo combattendo lo stesso nemico invisibile e le risorse umane e logistiche non sono illimitate, ma oggi non possiamo tenerle, le forze di riserva, in attesa che siano chiamate, mentre in Italia, dove si stanno curando negli ospedali di guerra, anche albanesi, feriti dal nemico, hanno un grande bisogno di aiuto. È vero che tutti sono rinchiusi nelle loro frontiere ed anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse perché noi, non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non dimentichiamo l’amico in difficoltà”.
Parole e gesti che dette dal leader di un Paese che ancora paga per il difficile e frastagliato cammino verso il progresso democratico e che vede a tutt’oggi fibrillazioni di piazza che denunciano il precario equilibrio socio-politico, capaci di regare il sogno della speranza ed il gruppo di sanitari albanesi si portano principalmente negli ospedali del nord, in prima linea e lì vi rimarranno per mesi.
“Quest’anno ricorre il 30° anniversario dello sbarco degli albanesi in Puglia. Un popolo fuggiva dalla dittatura, e una intera regione apriva braccia e cuori per accoglierlo”. – scrive il presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Adriatico meridionale, il prof. Ugo Patroni Griffi – “Se l’episodio più famoso (anche per le sue trasposizioni cinematografiche) è lo sbarco della Vlora a Bari, altri imponenti sbarchi avvennero quell’anno in Puglia”. “E Brindisi accolse amorevolmente e fraternamente una fiumana di gente disperata”. Lungo sarebbe l’elenco dei volontari che si prodigarono, dalla Croce Rossa al CISOM, alla Caritas, tanto per citare. “È giunto il momento di ricordare adeguatamente questo gesto di grandissima umanità e compassione. Con il Console Generale di Albania Gentiana Mburimi abbiamo deciso di titolare il portico della stazione marittima “PORTICO DEGLI ALBANESI”, chiedendo al Premier Rama di inaugurarlo”.
Nacque quel portico con la destinazione del suo ampio terrazzo a imbarco diretto al ponte delle navi passeggeri. È luogo di antiche suggestioni, di forti emozioni e la vista, non è l’ultima. Al tunnel si accede da Viale Regina Margherita, che ne successivo tratto, tutto interno all’area di competenza dell’Autorità portuale, prende il nome di Regina Giovanna di Bulgaria.
Interdetto all’accesso e al traffico, è area adibita alle funzioni di governo del porto e di chi vi opera. Lontano è il tempo di quando si poteva passeggiare e ci si permetteva una passeggiata a bordo banchina al coperto di quella pilastrata austera ma idonea al bisogno e donarle oggi quella denominazione che ha il sapore antico dell’arte dell’ospite che ti accoglie sull’uscio di casa è promessa nata nella speranza di chi s’appresta affannato alla ricerca di un approdo. Chi vi arriva da mare, lo interpreta così, come il riparo immediato e funzionale, predisposto ad abbracciare ancor prima di domandarti chi sei, cosa vuoi, da dove vieni.
Una iniziativa che non costa niente e le cui autorizzazioni toponomastiche sono in testa al medesimo rappresentante dell’Autorità Portuale.
Non ha porte chiuse la città di Brindisi, ma portici e a ripensarci quello che sarà inaugurato, somiglia nella sua austera pilastrata a quelli di via Filomeno Consiglio (sindaco di Brindisi tra il 1878-1883 e tra il 1888 e il 1890) sotto i quali scorre buona parte della vita cittadina.
Arriva la inaugurazione del Portico degli Albanesi, in un tempo straordinariamente assurdo, nel quale, la pandemia sta consumando ogni forma di pensiero positivo e la comunità si macera attorno a temi che si affraternano più con le azioni del conte Ugolino che si ciba dei figli, che di Laocoonte che assalito da serpenti marini, cerca di attirarli a se nel tentativo di salvarli i propri figli.
Verrà il 6 marzo e scandirà sull’orologio della storia il trentennale di un tempo che a rileggerlo fa brillare gli occhi e commuovere il cuore.
Le autorità si daranno legittimo convegno per ricordare la ricorrenza, magari Rama scoprirà che la città è pure in alto nella classifica del basket nazionale e lui che di quello sport è stato campione, forse s’innamorerà di questa ulteriore suggestione per programmare qualche incontro internazionale proprio sulle rive accoglienti.
Il giorno prima sarà a Bari e incontrerà la dirigenza regionale e magari consoliderà nuove opportunità per due realtà affratellate dal medesimo abbraccio del mare adriatico.
Io, come tanti che abbiamo vissuto quei momenti, oggi abbiamo la barba bianca e la memoria ci accompagna. L’esperienza cittadina dell’esodo albanese è stata e resta stella polare. Le TV del pianeta vennero a Brindisi e la RAI si mosse in forze. Collaboravo con la trasmissione “Samarcanda” e furono accesi interessanti spunti di riflessione. Certo che seppur potrei dire il contrario é pure responsabilità mia e mi sia consentito, di tanti altri più capaci di me e per titoli e funzioni, fare sintesi. Le dirette quotidiane della trasmissione” CHI L’HA VISTO” dalla scuola Perasso non le abbiamo dimenticate, ma tra i disperati, mancammo noi a far risaltare che avevamo da cercare le ragioni della nostra dignità e dei nostri diritti e che quel poco che avevamo lo avevamo condiviso con dei fratelli che capimmo fino al dolore. La fidelitas brindisina produsse il miracolo ma a Bari o a Roma madama la convenienza non volle riconoscerla.
Su quei tavoli, allora, come oggi, la “fidelitas brundusina” forse troverebbe anche ascolto, ma qualcuno deve pur rappresentarla.