Un caffè per il commissario Merlo – Racconti al balcone

“Somigli al commissario Ricciardi”, la ragazza gli allungò la tazzina del caffè fuori dalla porta del bar. Andrea Merlo non vide il sorriso sotto la mascherina, ma solo l’arricciarsi degli angoli degli occhi. Non disse nulla e lei tornò dentro. Andò a sedersi sulla panchina di fronte al mare. Non pensava di somigliare al personaggio di De Giovanni. Aveva visto un paio di puntate del tanto decantato sceneggiato, quello con Lino Guanciale dai colori sfumati e il ricciolo scuro sulla fronte. Certamente non aveva nulla in comune con l’attore. Si sentì osservato e si voltò. La ragazza era poggiata al muro al riparo dal vento e aveva acceso una sigaretta. Soffiava via il fumo tenendo gli occhi chiusi, assaporandolo. Ad ogni boccata scostava il ciuffo di capelli che solitamente le copriva metà del volto, per allontanarlo dalla brace. Andrea Merlo si accorse della voglia a forma di cuore sulla guancia destra, a lato del naso. Lei lo guardò, ma senza più sorridergli. Spense il mozzicone sotto la scarpa, poi lo raccolse per buttarlo nel cestino. Si coprì di nuovo il viso, prima di tornare dentro. La seguì con lo sguardo, mentre si disinfettava le mani dopo averle lavate.
Si accorse che non aveva ancora bevuto il caffè. Un’auto svoltò l’angolo e rallentò davanti a lui. “Merlo, dobbiamo andare. Anzi, scendo a prendere un cappuccino anche io. Il morto non se la prende se tardiamo”. Fusco pescò degli spiccioli dalla tasca del giubbotto. “Che le hai fatto?”, chiese mentre si scottava le labbra con il liquido bollente. Andrea Merlo era perplesso. “È amica di mia figlia da quando andavano a scuola, con meno voglia di studiare però. Dice che sei meditabondo. Ha usato proprio questo termine. Meditabondo”, continuò, mentre entravano in auto. Andrea Merlo sapeva di essere taciturno, aveva avuto difficoltà a comprendere le cascate di parole che la gente di quella città gli rovesciava addosso in ogni occasione. Capì che la somiglianza a cui si riferiva la ragazza non era fisica. Anche lui parlava poco e preferiva osservare e riflettere. Non era capace di ascoltare le voci dei morti, ma conosceva l’amore a distanza accontentandosi solo di sguardi. L’aveva già fatto, quando era molto giovane. La nipote dei vicini in vacanza al paese. Aveva capito che passava davanti al suo giardino alla stessa ora di ogni pomeriggio e si faceva trovare sull’altalena, a dondolare pigramente. Le faceva un cenno con la punta delle dita e lei gli rispondeva agitando la mano. Quando finalmente aveva deciso di farsi avanti, era già partita per tornare a casa. Anche la fidanzata che aveva prima di essere trasferito a Brindisi lo aveva lasciato per lo stesso motivo. “Non può reggere un rapporto a distanza con uno al quale si devono estirpare le parole ad ogni telefonata”, si era lamentata. Non le era mancata. Riportarono le tazze nel bar, la ragazza fece un cenno del capo mentre spremeva delle arance. “Un uomo ammazzato in casa” disse Fusco, una volta entrati in auto. Merlo non chiese altro, era abituato a farsi una sua opinione solo davanti ai fatti. La casa era un pianoterra al quartiere Commenda. Entrarono in un piccolo salone dal quale si passava nella cucina. L’uomo era seduto, con un coltello piantato nel petto. Sul tavolo una tazzina vuota, la zuccheriera e un cucchiaino. La porta finestra dava in un ampio cortile dove un gatto continuava ad andare su e giù in attesa che qualcuno gli aprisse per farlo entrare. “Chi l’ha trovato?” Chiese Merlo all’agente che vigilava sulla scena. “Ci ha chiamato la vicina. Ogni giorno gli porta un panino fresco. Ha suonato ma non ha aperto. Allora ha chiamato il marito perché portasse il doppione della chiave. Ci hanno telefonato subito”.
La donna li fece accomodare nel salone. Aveva gli occhi lucidi. “Ci conoscevamo da tanti anni. Quando ho perso mio padre, si è occupato di tutto. Io ero piccola ma mia madre diceva che se non ci fosse stato Luigi non ce la saremmo cavata. Vivevamo solo con la pensione di nonna, perché papà lavorava a giornata e non ci ha lasciato nulla. L’ha aiutata a trovare un impiego e mi ha cresciuto, in un certo senso. Lui pure era rimasto vedovo presto, ma la figlia si era già sposata”. Merlo la interruppe, chiedendole dell’accaduto. “Esco presto la mattina, perché ci piace fare colazione con il pane fresco. Il panificio è proprio all’angolo e sentiamo il profumo appena lo sfornano. Gli busso e gli lascio un panino caldo. Certe volte anche un cornetto, che fanno anche quelli. Mi aspetta dietro i vetri. Invece oggi non l’ho visto e mi sono preoccupata. Tengo una chiave della porta. Ogni tanto, quando va a mangiare dalla figlia, entro e do una pulita, metto ordine. Fa tutto da solo, ma non è mai come la mano di una donna”.
Parlava con il tono tranquillo di chi è preparato agli eventi della vita e non se ne stupisce, anche di fronte alla perdita violenta di una persona cara. “Qualche nemico, ragioni di disaccordo con qualcuno?”, chiese Merlo. “Nemici? Chi gli poteva volere male, non incontrava mai nessuno. Solo noi, la famiglia della figlia e qualche amico che vedeva alla chiesa. Gli piace dipingere. Si è ricavato lo studio nel cortile e passa tutto il tempo lì, con la radio accesa. Vede quello?”, indicò un paesaggio marino appeso alla parete, “l’ha fatto lui. Ecco, certe volte prendeva l’autobus e arrivava fino alla Sciaia. Diceva che il mare lo ispirava”. Merlo notò che la donna saltava dal passato al presente, non riuscendo ancora ad accettare la morte dell’uomo. “Che rapporti aveva con la famiglia?”, chiese Fusco. Era convinto che gli assassini fossero sempre più vicini di quanto si pensasse. Invece la donna sembrò stupita: “Buoni. Abitano a Mesagne perché lavorano lì, ma vengono quando possono. Hanno due figli, il grande deve cominciare l’università. Lo so perché Luigi teneva un salvadanaio proprio per il nipote. Vuole fare l’ingegnere aeronautico a Torino e ci vogliono soldi. Ora potrà andare di sicuro”. Le ultime parole incuriosirono Merlo: “Perché, era ricco?”. “No, una pensione piccola e qualche risparmio. La casa è sua. Una volta era unita alla mia, poi se la divisero fra due fratelli, il padre di Luigi e lo zio. Mio nonno la comprò dallo zio e siamo venuti ad abitare qui. L’anno scorso un costruttore si è interessato alle due proprietà perché voleva costruire un palazzo con dieci appartamenti, l’attico, negozi e garage. Ci aveva offerto una bella cifra. Noi volevamo vendere ma Luigi diceva che voleva morire qua. Io non è che potevo insistere, con tutto quello che aveva fatto per me. Così non se ne è fatto niente. Magari al costruttore interessa ancora. Volevamo chiedere un appartamento nuovo in cambio del terreno. Chissà se è possibile”, lo disse quasi aspettandosi una conferma. Fusco si alzò congedandosi e avvertendo la donna di tenersi a disposizione per altre necessità. “Mi sembra sincera, oppure ha tirato fuori la storia della vendita per portare le mani avanti” Merlo era sospettoso come sempre “un movente per due famiglie, direi”.
(1 – Continua)