Una Graziella, Superman e la passione smisurata per la libertà (in beneficenza)

di Marina Poci

Dopo qualche anno di decantazione nel cassetto dei sogni, “Superman ha una Graziella” uscirà il primo settembre e racconterà un decennio abbondante della sua vita tra ciclismo, viaggi e impegno benefico: l’autore Mimmo Ciaccia, cinquantaseienne consulente del lavoro carovignese, alla sua prima prova letteraria, ne parla con un gradevole misto di modestia e orgoglio, felice di poter consegnare ai lettori, in una prosa semplice ma incisiva, la cronaca minuziosa di una scelta di vita nella quale l’amore per la bicicletta, esploso all’inizio degli anni Settanta montando una Graziella celeste sulla scalata ostunese di Montecaruso, si lega alla volontà di dedicarsi a giuste cause.
Tra beneficenza, promozione della legalità, tutela del territorio, presentazioni di libri, spettacoli di musica e teatro, con l’associazione “Bici & Solidarietà”, della quale è tra i soci fondatori, Ciaccia ha macinato chilometri su chilometri partecipando ad eventi di ogni tipo, impegnandosi in prima persona nelle raccolte fondi spesso legate alle manifestazioni cui presenziava e incontrando donne e uomini a cui ha portato non soltanto assegni, ma anche empatia e condivisione di intenti.
“Superman ha una Graziella”, curato e rivisitato da Adalberto Scemma (storico giornalista sportivo e docente di Letteratura Sportiva all’Università di Verona), il quale lo ha inserito in una collana di dieci volumi denominata “La Coda del Drago” edita da Artifices – Edizioni – Zerotre”, vanta la prefazione di Saturno Brioschi, storico organizzatore di eventi meneghino, dell’ex ciclista Marzio Bruseghin e di Giovanni Storti, l’attore comico del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, che ha concesso l’utilizzo della sua immagine in copertina. L’intero ricavato delle vendite sarà devoluto alla “Fondazione Nadia Toffa” e in particolar modo, per volontà della madre della Iena bresciana scomparsa nel 2019 proprio per un tumore, al reparto di Oncoematologia Pediatrica “Nadia Toffa” dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto.
Nel libro, racconto dettagliato di salite e discese, panorami stupefacenti, abbracci, strette di mano, epiche tavolate imbandite in ogni parte d’Italia, soddisfazioni (tante) e delusioni (qualcuna), la bicicletta, oltre ad essere occasione di socialità e possibilità di sviluppo di progetti di beneficienza e volontariato, diventa strumento narrativo e mezzo di comunicazione, mentre il ciclismo, lungi dal limitarsi a sport, assurge a filosofia di vita che consente una speciale simbiosi con i territori attraversati e la gente che li abita.
Sino al 2009 eravate soltanto un gruppo di amici cicloamatori: poi la svolta, nel 2009, con la nascita dell’associazione “Bici E Solidarietà”. Perché avete deciso di darvi forma associativa?
“Nel 2009 Saturno Brioschi, che noi affettuosamente chiamiamo Brio, un milanese molto ben integrato a Carovigno, organizzò uno dei suoi spettacoli a Menfi, in provincia di Agrigento. Brio è stato tra i fondatori dello storico locale di cabaret Zelig ed è un eccezionale organizzatore di eventi, specialmente finalizzati a raccolte fondi. Quell’anno mise in piedi uno spettacolo a sostegno della “Vida a Pititinga Onlus”, un’associazione che si occupa di una piccola comunità di pescatori situata a 65 chilometri da Natal, capitale del Rio Grande nel nord est del Brasile. Io e il mio amico Enzo Greco decidemmo di partire per andare ad assistere allo spettacolo in Sicilia. Fu un viaggio elettrizzante e, una volta tornati, decidemmo di costituire l’associazione per ripetere l’esperienza insieme ad altri amici, cercando di unire l’amore per il ciclismo alla beneficienza e all’impegno”.
Il titolo va assolutamente spiegato.
“C’è una bella storia dietro questa scelta e sono contento di poterla condividere: il titolo l’ha coniato Serena Brioschi, figlia di Saturno. Ovviamente si rifà alla mitica Graziella, la bicicletta in voga a partire dagli anni Sessanta, e a un ciclista che qualche anno fa sfoggiava un paio di mutande azzurre con il logo di Superman. In questo modo, abbiamo unito i ricordi alla goliardia”.
Lei ha visitato tutta l’Italia: c’è un luogo che l’ha molto colpita e che ritiene non sufficientemente valorizzato?
“Non ho dubbi: l’Irpinia. Avevo ricordi legati al tremendo terremoto del 1980, per cui pensare a quelle zone, che immaginavo disastrate, mi metteva sempre una certa tristezza. Quando ci sono stato, invece, ho cambiato completamente opinione: sono luoghi bellissimi, particolarmente adatti ad essere visitati in bicicletta. Spero davvero che la ricostruzione vada avanti e che diventino mete turistiche frequentate”.
Lei scrive: “Viaggiare in bici è sorprendente: ti permette di staccare con il quotidiano, con lo stress del lavoro, si entra in un’altra dimensione che non è solo fisica”. Cosa c’è in questa dimensione?
“C’è il piacere incredibile di godere dei luoghi ad una velocità (diciotto, massimo venti, chilometri all’ora) che permette di osservare i dettagli geografici e nello stesso tempo di poter interagire con le persone. Nessun altro mezzo di trasporto può garantire questa soddisfazione. Spesso si associa l’idea della bicicletta alla fatica fisica e alla stanchezza di fine viaggio, ma non è così. Anche perché noi non facciamo un ciclismo atletico, di potenza. Siamo cicloamatori che cercano di usare questa bellissima invenzione per attraversare i luoghi e dare la nostra testimonianza di impegno e solidarietà”.
Mi sembra che l’intenzione sia quella di privilegiare l’impegno sociale, civile e culturale, più che gli aspetti agonistici.
“Nessun agonismo: siamo un gruppo di cinquantenni, alcuni dei quali in sovrappeso! Scherzi a parte, il ciclismo ci dà il pretesto di raccontare storie e di sentirci utili, nessuno di noi pedala con il cardiofrequenzimetro. Non ci interessa superare limiti fisici, ma alimentare il senso civico”.
Da sempre “Bici & Solidarietà” riserva particolare attenzione alle vittime delle mafie, organizzando itinerari ciclistici nei luoghi simbolo e incontrando i familiari e le associazioni che si battono per preservarne la memoria. Qual è l’incontro che l’ha più segnata?
“Abbiamo incontrato moltissima gente: soltanto per fare qualche esempio, la famiglia di Angelo Vassallo, conosciuto come “il sindaco pescatore”, le figlie della nostra Renata Fonte, che ha pagato con la vita la sua onestà di amministratrice pubblica, la comunità di Parabita, scossa per la morte della piccola Angelica Pirtoli, la più giovane vittima della SCU. Gente che ogni giorno si allena a tutela della legalità. Ma, su tutti, sono rimasto molto colpito dalla forza e dalla compostezza della signora Rita Borsellino, sorella del giudice Paolo, e dalla tenacia dei genitori del giovanissimo Michele Fazio, ucciso a Bari Vecchia da un proiettile vagante a sedici anni. Pinuccio e Lella Fazio sono i veri responsabili della rinascita del centro storico del nostro capoluogo di regione, che prima era quasi una proprietà esclusiva dei clan e adesso è diventato di noi tutti. Ogni pugliese deve molto al loro impegno”.
Quanto avete sofferto durante i lockdown dovuti alla pandemia?
“Moltissimo. Anche se non abbiamo mai smesso di sentirci, attraverso telefono e social network, è stata durissima non poter organizzare viaggi, eventi, incontri. Però è cresciuto, in un gruppo che era già molto unito, un fortissimo senso di coesione: di questo sviluppo inaspettato siamo molto felici, sicuri che sia il valore aggiunto per tutti i nostri impegni”.
C’è attenzione per il ciclismo da parte delle giovani generazioni?
“Non tantissima, purtroppo. Servirebbe una buona campagna di comunicazione che illustri i benefici di questo sport, per il corpo e per la mente. E poi servono esempi positivi di tutto quello che con il ciclismo si può fare. Noi siamo disponibili a impegnarci, se qualcuno fosse interessato a diffondere ai giovani la bellezza del pedalare e l’importanza, anche storica, della bicicletta per il nostro Paese. Lo sanno, i giovani, che la Resistenza è passata per la bicicletta e che senza le donne in bicicletta la liberazione dal nazifascismo non sarebbe mai avvenuta? La partigiana Tina Anselmi, ad esempio, pedalando per cento, a volte centocinquanta, chilometri al giorno in tutto il Veneto, portava materiale, messaggi e dava allarmi. Ecco, io sono convinto che raccontando queste storie si possa suscitare l’interesse dei giovani per questo sport che noi di “Bici E Solidarietà” amiamo tanto”.
Dal punto di vista politico, l’attenzione ai ciclisti, con percorsi dedicati, stalli per i parcheggi, è aumentata negli ultimi anni o resta ancora molto da fare?
“Credo che il problema non sia tanto di infrastrutture, quanto di mentalità. Penso ai Paesi Scandinavi o, per restare in Italia, a regioni come la Toscana e l’Emilia Romagna, in cui la bicicletta è un mezzo di trasporto utilizzatissimo. La questione è culturale, secondo me. Non voglio essere presuntuoso, ma mi illudo che la lettura di questo libro, anche nelle scuole magari, possa aiutare a comprendere il valore di questo sport”.
L’antropologo francese Marc Augé ha detto: “Sarebbe bello se la bicicletta potesse diventare lo strumento silenzioso ed efficace di una riconquista delle relazioni e dello scambio di parole e sorrisi!”: lei ci crede?
“Per la nostra associazione è già così. È questo il senso dell’impegno di “Bici & Solidarietà”: la bicicletta come simbolo di libertà, di giustizia, di solidarietà e, ovviamente, scambio di parole e sorrisi”.