Una super Chirurgia, la grande sfida: “Basta viaggi della speranza”

di Marina Poci per il7 Magazine

Razionalizzazione degli spazi operatori, ottimizzazione dei tempi, migliore gestione delle risorse umane, telechirurgia, approccio multidisciplinare, investimenti più cospicui per tecnologie e formazione, maggiore collaborazione con la medicina territoriale: sono questi, ad avviso del fresco direttore Giuseppe Manca, già a capo dell’unità operativa complessa di Chirurgia generale dell’ospedale Perrino, i capisaldi dell’ambizioso progetto di riorganizzazione del comparto chirurgico della Asl di Brindisi in cui, nel solco delle recenti linee guida sul governo dei sistemi sanitari, è recentemente nato il Dipartimento di Scienze Chirurgiche Generali e Specialistiche.
Il neonato dipartimento, che si affianca a quelli di Area Medica (direttore Pietro Gatti), di Cure Primarie (direttore Angelo Greco) e Farmacologia (direttore Teresa Calamia), avrà il compito di garantire il necessario coordinamento di tutte le attività chirurgiche acute e in elezione, al Perrino così come negli altri plessi periferici della provincia, ripensando in maniera più funzionale, secondo i criteri di efficienza tipici dei grandi poli chirurgici nazionali e internazionali, sale operatorie, risorse umane e innovazioni tecnologiche.
La sfida di rendere la Asl di Brindisi più competitiva (ed impedire così l’emorragia di pazienti verso altre realtà) non è affatto modesta, ma il dottor Manca è pronto ad accoglierla con il dovuto impegno e con l’entusiasmo che caratterizza tutti i nuovi inizi.

Quali saranno i benefici che questa nuova organizzazione porterà nella pratica quotidiana dei reparti?
“Sino a questo momento abbiamo lavorato in una situazione nella quale ogni reparto ha agito sfruttando i propri spazi e le risorse comuni in modo pressoché autonomo. Il coordinamento dato dalla nuova organizzazione in un certo qual modo renderà la chirurgia quasi un unico reparto, indipendentemente dalla specialità, così da migliorare la gestione degli spazi operatori e del personale coinvolto. Questo porterà una maggiore scioltezza anche nei rapporti con la Direzione Generale, che avrà come interlocutore un unico soggetto, cioè il Direttore del Dipartimento, che raccoglierà le esigenze di tutti i primari facendosene portatore e rappresentandole ai vertici dell’azienda”.

Dal punto di vista delle risorse umane e degli spazi, su quali basi concrete avverrà la rimodulazione del comparto operatorio?
“Nel nostro comparto abbiamo una atavica carenza di anestesisti e rianimatori che è comune un po’ in tutta Italia e che dipende da una non ottimale gestione delle scuole di specializzazione. Sicuramente bisognerà lavorare sulle risorse, cercando – laddove sia possibile – di integrare il personale con nuove unità, ma si dovranno anche compiere delle scelte che, a partire dai medici che abbiamo, permettano di sfruttare al massimo la capacità operatoria dell’ospedale. Tanto per fare un esempio: se le liste di attesa di alcune specialità sono più lunghe rispetto alle altre, quelle specialità devono avere una corsia preferenziale e vanno loro garantiti più spazi, senza stare a pensare se le sale che stiamo mettendo a disposizione sono in genere destinate alle esigenze di altri reparti. Se abbiamo più interventi urologici rispetto a più interventi ortopedici, è chiaro che non possiamo tenere una sala ferma soltanto perché generalmente la usiamo per le operazioni del reparto ortopedico. Sogno un grande tabellone su cui gestire spazi e tempi operatori, in modo che il Dipartimento sia sempre in funzione e non ci siano momenti morti. Il collo di bottiglia di ogni polo chirurgico è rappresentato dalle sale operatorie: è inutile avere cinquanta posti di degenza in Chirurgia Generale se poi ho soltanto tre sedute operatorie”.

Ottimizzare gli spazi operatori significa soprattutto ridurre i tempi di attesa, vera piaga sociale, e di limitare i cosiddetti “viaggi della speranza” verso altre realtà meglio organizzate.
“È il nostro primo obiettivo: ridurre i tempi di attesa tra un intervento e l’altro significa operare di più, con la duplice conseguenza di non costringere i nostri pazienti a rivolgersi ad altre strutture e di far risparmiare la sanità regionale. Questo risparmio comporta un beneficio per tutto il sistema, perché quelle risorse economiche possono essere sfruttate diversamente, soprattutto per l’acquisto di nuove tecnologie”.

A proposito di tecnologia, in questa nuova rimodulazione la telechirurgia è una risorsa importante: in che termini?
“È un aspetto a cui ho sempre tenuto molto e che con il passare degli anni diventa sempre più importante. Dobbiamo mettere in pratica ogni sforzo possibile per sfruttare i vantaggi della rete internet. Se il cittadino milanese gode di un’eccellenza chirurgica di cui il cittadino brindisino, per mancanza di mezzi o di professionalità specifiche, non può godere, la soluzione non è la fuga da Brindisi per andare a Milano. Il rimedio migliore è creare una rete che consenta a Brindisi di essere connesso in tempo reale con Milano, in modo che il chirurgo brindisino possa essere avvalersi, per iscritto o vocalmente, delle competenze del collega milanese che lo guida nello svolgere l’intervento. Una sorta di tutoraggio che potrà avvenire attrezzando le sale operatorie con le giuste strumentazioni e creando le giuste condizioni di fiducia tra noi medici”.

Dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, come Direttore di Dipartimento quali interventi auspica?
“La prima cosa che chiederò al Direttore Generale è l’acquisto del robot “da Vinci”. Un polo chirurgico che voglia essere all’avanguardia non può prescindere dall’uso della chirurgia robotica che, specialmente in alcuni campi, è in grado di fare la differenza”.

La creazione del Dipartimento rende sempre più urgente la necessità di implementare l’approccio multidisciplinare alle patologie da trattare chirurgicamente.
“Sicuramente sì. Abbiamo già in atto delle collaborazioni tra equipe chirurgiche in particolari specialità (ad esempio, eseguiamo interventi alla tiroide insieme agli otorini o gli otorini eseguono interventi insieme ai neurochirurghi), così come abbiamo il COrO in ambito oncologico (il centro di orientamento che attiviamo prima di ogni intervento, a cui partecipano, oltre ai chirurghi, i clinici, i radiologi, i radioterapisti e i medici della specialità interessata dall’operazione). Questo tipo di collaborazioni, che andranno incrementate, ci permetteranno quella migliore qualità degli interventi a cui miriamo”.

Per quello che riguarda in particolare la sua specializzazione, la chirurgia generale, a quali livelli si dovrà agire per migliorare il servizio?
“La carenza di spazi operatori adeguati non ci permette di poter fare quello che potremmo. Da qualche anno ci dedichiamo con successo anche alla chirurgia bariatrica, che cura le patologie legate all’obesità. Si tratta di un campo nel quale vanno incrementati gli interventi, perché l’impossibilità di occuparci di questi pazienti, a causa della mancanza di spazi e di una migliore organizzazione dei tempi, determina un numero altissimo di fughe verso altri centri, con tutto quello che consegue a livello di costi per le famiglie e per la sanità regionale. I nostri ospedali sono diventati terreno di caccia per i chirurghi del Nord Italia, che hanno quasi mercificato questo tipo di patologia: io mi occupo di questi pazienti proprio perché credo che sia importante spezzare questa catena”.

In questa riorganizzazione avranno un ruolo, per la dislocazione di un certo tipo di interventi, anche i plessi periferici come Mesagne, Ostuni e Francavilla?
“Lo avranno necessariamente. La mia idea è quella di dare una particolare connotazione agli ospedali della provincia, di modo che al Perrino restino soltanto gli acuti di una certa gravità e, soprattutto, gli oncologici. Ad esempio, Ostuni potrebbe funzionare per gli interventi che tendenzialmente presentano meno complicazioni (tipo ernie, colecisti, emorroidi): noi li invieremmo “d’ufficio” lì, senza passare per Brindisi, in modo da decongestionare il Perrino e poter programmare le operazioni con scadenze sicuramente più brevi. Organizzando in questo modo tutte le specialità, piano a piano riusciremo a migliorare il servizio per tutti, anche perché noi abbiamo medici con un livello di professionalità altissimo: è un peccato che la mancanza di organizzazione possa influire sull’immagine che i pazienti hanno di loro. Per quello che vale la mia opinione, io stesso non avrei difficoltà (anzi, sarei onorato) a farmi curare da alcuni colleghi che lavorano al Perrino, proprio perché li stimo e ne ammiro la serietà e la competenza”.

Durante le fasi più complicate della pandemia ci sono stati in tutta Italia importanti differimenti negli interventi in elezione: al Perrino scontate ancora questo ritardo o è stato almeno in parte recuperato?
“Sento la necessità di tranquillizzare i pazienti: il problema non è risolto completamente, ma è in fase di risoluzione. Soprattutto riattivando Ostuni, che per un certo periodo è stato un ospedale Covid, stiamo snellendo quella lunga lista di attesa che ci preoccupava molto”.

Se una cosa la pandemia ci ha insegnato, è che – laddove è mancato il collegamento tra poli ospedalieri e medicina territoriale – la situazione è sfuggita di mano: come intende ovviare a questo problema?
“A Brindisi abbiamo la fortuna di avere come Presidente dell’Ordine dei Medici il dottor Artuto Oliva, che è un medico ospedaliero, essendo chirurgo vascolare. D’accordo con lui, cercheremo di rinsaldare i rapporti tra gli ospedali e la medicina del territorio, perché spesso la mancanza di dialogo tra questi due poli dell’assistenza medica interrompe la continuità delle cure. La collaborazione con la medicina di base è importante per due motivi: prima di tutto perché il medico di medicina generale che si trova davanti ad una problematica acuta, può contattare direttamente lo specialista ospedaliero e rendere più semplice e più veloce il trattamento; poi perché un paziente in dimissioni, se correttamente seguito da una medicina territoriale attenta e competente, diventa un problema in meno per il chirurgo che, se si fida del collega medico di base, è più tranquillo nel liberare il posto per il prossimo paziente acuto che dovesse presentarsi”.

Secondo lei, l’attivazione del nuovo polo universitario di Medicina presso Unisalento sarà in grado di portare dei vantaggi all’ospedale Perrino? Quali?
“Al momento noi non abbiamo ancora avuto nessun contatto con Lecce, visto che gli ospedali di riferimento sono quelli della sua provincia. Naturalmente io mi auguro che si dia inizio ad una serie di collaborazioni anche con il Perrino: sono convinto che ci siano una serie di professionisti che possono dare una grande mano nel formare i giovani medici che tra qualche anno usciranno dalla facoltà. E, a proposito di formazione, credo che sia necessario investire moltissimo in quest’ambito. Spesso noi vediamo dei laureati preparatissimi dal punto di vista teorico, ma dal punto di vista della pratica chirurgica non eccezionali. Anche in questo aspetto, il nuovo Dipartimento farà la sua parte”.