Viaggio a San Vito dei Normanni: la forza della Pace

Bisogna essere avanti negli anni per ricordare perché il quadrivio posto all’ingresso di Brindisi è anche detto “incrocio della morte”. La necessità di battezzare, con la famigerata denominazione, anche quello posto all’uscita di Brindisi, risale agli anni ’60, quando un autocarro carico di materiale impattò contro un’autopattuglia che a sirene spiegate era diretta ad assolvere il proprio compito. L’impatto, tremendo, determinò la morte dei quattro occupanti l’autopattuglia. Oggi lo snodo si sviluppa su due livelli e molte corsie e di quell’attraversamento a raso, memoria sino alla fine degli anni ’60, tra la statale 16 – la statale più lunga d’Italia – che unisce la dorsale adriatica da nord a sud e la statale 7 – la più nobile – proveniente da ovest, poco ne rimane. Attraversare questo limite stradale, significava, allora, varcare un confine spazio-temporale che ti faceva diventare parte di una corrente che ti conduceva lontano, ma proprio lontano ai confini della fantasia. Anche di questo percorso emozionale, poco ne resta.
Ecco San Vito dei Normanni era la prima tappa di questo lungo viaggio che “avrebbe potuto portare lontano” percorrendo la strada statale n. 16 che arriva sino a Padova, dopo essere partita, 1000 km a sud da Otranto.
La nostra meta è un centro abitato di poco meno di 20.000 residenti, posto a neppure 20 km, ad ovest, nord-ovest, dal capoluogo Brindisino.
Il tratto stradale un rettilineo lungo 16 km interrotto da un opportuno rondò, per regolare il traffico, all’altezza di contrada Mascava ed aver scavalcato, prima, la linea ferroviaria con un ponte ad archi lungo e sinuoso, vestigia di una modalità costruttiva superata dalla tecnica, ma non dall’eleganza.
Gli appunti di questo viaggio, registrano un luogo fondamentale per San Vito quando ancora siamo circa 10 km e siamo ancora in terra di Brindisi. L’ indicazione stradale recita “Stazione di San Vito dei N.”. Pare assurdo ma dalla sua realizzazione nel 1865, i sanitesi si sono dannati per capire quale fosse la ragione che vide la stazione del Paese distare due ore di cammino. Petizioni, rimostranze, promesse e proposte, ma per decenni i sanvitesi non hanno vista soddisfatta alcuna richiesta di essere facilitati in qualche maniera da questo handicap.
Eppure lì nei pressi e sempre con riferimento a San Vito, la storia recente e passata, racconta di una delle aree più intensamente significative per la storia dell’aviazione. Un’area di circa un chilometro quadrato che agli inizi del XX secolo ha visto nascere uno dei primi campi di volo italiani con la prima stazione di dirigibili a cui seguì la base per i primi aerei a decollo terrestre. Qui, durante la seconda Guerra mondiale si alternarono gli alleati anglo-americani, agli altri alleati, gli italo-tedeschi e qui i primi, realizzarono una importante base logistica, profittando della vicinissima stazione ferroviaria, innestando una deriva a più binari per lo scambio di materiale bellico. Pochi avrebbero immaginato che a partire dal 1960, gli Stati Uniti, avrebbero collocato, sempre lì una delle più importanti “air base USAF” stazione di ascolto ed intercettazione delle comunicazioni dei paesi d’oltre cortina e che dopo la sua dismissione a seguito della caduta del muro di Berlino, la stessa area continuasse la sua evoluzione divenendo un importante deposito del “WFP” dell’ONU (il Programma Mondiale Alimentare) oltre ad ospitare in area protetta una base dell’Agenzia statunitense per la sicurezza.
Pare strano, ma tutto questo è parte della identità di San Vito dei Normanni, una Città (così è titolata con decreto dal 1994) nata dal gene della Pace e di chi vuole farlo sapere ai quattro angoli della terra.
Nata ufficialmente intorno all’XI secolo, per volontà di Boemondo il Normanno che qui fece realizzare una torre per ospitarlo durante le battute di caccia, la città di San Vito, rileva una più antica presenza abitativa. Reperti risalenti all’VIII secolo a.C., ritrovati in contrada “Castello d’Alceste”. La scoperta, risalente a poco più di trent’anni fa, necessita di ulteriori elaborazioni, per offrire un panorama preistorico più solido ed attendibile, per ora l’area ha dato vita ad un museo diffuso anche se risente di lungaggini burocratiche che ne inficiano la comprensione e la promozione.
Risale invece al fine del XVI secolo la Chiesa matrice, voluta dai reduci sanvitesi dalla battaglia di Lepanto e che nella loro città, alleata di Venezia, vollero onorare la Madonna, appellandola con l’attributo “della Vittoria”.
Persino il santo patrono che ha donato il proprio nome alla comunità, assume un significato di forza vittoriosa. San Vito è martire cristiano il cui culto si diffonde anche nelle chiese orientali e qui attorno al X secolo, soppianta tra le regioni dell’Europa dell’Est, il dio pagano della forza e della guerra, “Svetovit” rappresentato con quattro teste, proprio a raffigurarne la divinità che si proietta sui quattro angoli della terra. i monaci benedettini di Korbei nel IX secolo, convertirono le popolazioni slave costruendo la cappella del loro santo patrono . Wita (sancti Viti), dopo una reazione pagana, gli slavi iniziarono ad adorare Saint Wit = Świętowit, il nostro San Vito la cui statua troneggia la piazza antistante la chiesa matrice.
Nei secoli, San Vito fu anche denominata degli “Schiavi” prima e “Schiavoni” poi, proprio per l’immigrazione di popolazioni slave provenienti dalle aree balcaniche, che il latino tardo medievale traduceva con “schiavi”.
Sempre alla diffusione della cultura della forza che ha la pace, è importante fermarsi e sostare dinanzi allo stemma della città che rappresenta un cane con un ramoscello di ulivo in bocca, icona di fedeltà e di vocazione alla cultura di pace e all’olio d’oliva che tanta parte ha nel racconto agro-economico del territorio.
Bisogna attendere ancora perché la città di San Vito diventi dei “Normanni”, ultima e definitiva attribuzione in ragione delle origini del suo primo signore, Boemondo, dopo essere stata denominata nel tempo pure San Vito d’Otranto per riconoscerla dalle tante località col medesimo nome.
Quanta parte abbia avuto per l’economia della città la trentennale presenza della Base USAF, lo sanno e l’hanno vissuta in tanti, a San Vito dove l’inglese era la principale lingua nei locali commerciali.
Nell’ultimo trentennio ed in assenza di importanti investimenti nell’ambito dell’industria ed una discreta evoluzione del settore primario vocato all’agro-industria conserviera, ha visto crescere il settore terziario del commercio e dei servizi con uno sguardo sensibile alla promozione del territorio attraverso la realizzazione di un programma di marketing che ha guardato alla promozione dei circuiti legati ad alcuni siti importanti come il circuito delle cripte basiliane di San Biagio e San Giovanni presenti a pochi passi del Canale Reale, anche se in territorio comunale di Brindisi, ma divenuti da circa trent’anni un punto di riferimento culturale sanvitese o della ospitalità extra alberghiera.
La città della Pace, perché pure questo è ufficialmente riconosciuto a San Vito è luogo che ha dato i natali a chi della pace e del pacifismo ha saputo cogliere il senso della rivoluzione culturale.
Si chiamava Giuseppe, Giovanni, Luigi, Enrico Lanza di Trabia-Branciforte, nato sanvitese è divenuto presto figlio del mondo, discepolo della filosofia ghandiana e a sua volta creatore e motore di comunità che alla pace ha dedicato l’intera esistenza. “Ma che cosa è che rende la guerra inevitabile?”, mi domandavo. Benché giovane avevo capito la puerilità delle risposte ordinarie, quelle che si rifanno alla nostra cattiveria, al nostro odio e al pregiudizio. Sapevo che la guerra non aveva a che fare con tutto ciò. Lanza del Vasto è stato è stato un filosofo, poeta e scrittore e la sua opera continua nelle opere della sua “Arca” con diverse sedi.
San Vitese era pure Annibale De Leo prelato a cui va ascritta la volontà di diffondere la cultura a cui è titolata la biblioteca pubblica Arcivescovile. Sanvitese anche Leonardo Leo, compositore tra i più rilevanti di musica barocca, nomi, come fossero post.it, appunti per un viaggio tra le le vie di San Vito e tra le pagine della sua storia, questo è il senso profondo del luogo che zampilla cultura di pace e di bellezza. Nelle poche decine di metri che separano i luoghi principali, il palazzo Dentice di Frasso, il municipio, la chiesa matrice ed un intorno adagiato su un piano leggero che non rende mai difficile la passeggiata. L’ultimo luogo in ordine di menzione, ma primo per importanza, il monumento ai caduti nelle guerre, sul lato destro di piazza Vittoria. I nomi, le date, i simboli, non semplice enunciato, ma intensa emozione. Ha scritto Lanza del Vasto: “in seguito forse sarei stato ad uccidere inglesi, tedeschi e un giorno avrei avuto dinanzi alla mia baionetta Rainer Maria Rilke. No, la mia risposta era No!”.

(il prossimo viaggio a Carovigno)