Tra i 33mila preti diocesani segnaliamo in Puglia, Don Antonio Andriulo, parroco a San Vincenzo de’ Paoli in Villa Castelli, nella provincia di Brindisi, costruttore di relazioni nella comunità per dare il senso della Chiesa che accoglie.
Ogni giorno ci offrono il loro tempo, ascoltano le nostre difficoltà e incoraggiano percorsi di ripresa: sono i nostri sacerdoti che si affidano alla generosità dei fedeli per essere liberi di servire tutti.
Per richiamare l’attenzione sulla loro missione, torna domenica 18 settembre la Giornata nazionale delle offerte per il sostentamento del clero diocesano, che sarà celebrata nelle parrocchie italiane.
Un impegno costante come quello di Don Antonio Andriulo, nato a Francavilla Fontana, nel brindisino, e tornato da qualche anno a fare il sacerdote proprio nella sua terra. Ordinato poco più che trentenne, oggi è parroco a San Vincenzo de’ Paoli in Villa Castelli, nella Diocesi di Oria. Per Don Antonio l’appartenenza alla comunità è un valore da costruire e custodire attraverso la cura della parrocchia.
“Io non sono la parrocchia – spiega Don Antonio Andriulo e infatti dico sempre che i ragazzi non devono legarsi a me, ma alla parrocchia che è comunità e soltanto così è possibile dare il senso di Chiesa. Io mi sento parte integrante di questa realtà che vive di gesti e di umanità: si dice che il prete deve essere l’uomo delle relazioni, perché è importante stare tra la gente, vivere con loro e in mezzo a loro”.
Dalle parti di Villa Castelli, un borgo di novemila abitanti suggestivamente collocato nella parte sud-occidentale dell’altopiano delle Murge, il senso di comunità è vivo e rigoglioso, alimentato dalle azioni di una realtà parrocchiale particolarmente attiva e attenta ai bisogni dei più fragili. Un pensiero confermato dalle parole di Giulio: “Le parrocchie sono gli ultimi baluardi di comunità nella nostra società, nelle nostre città”.
La Chiesa è stata un approdo sicuro anche nel periodo complicato della pandemia, dell’emergenza sanitaria e dei lockdown. I ragazzi parlano di “anni bruttissimi dal punto di vista scolastico” e delle difficoltà di “stare chiusi in casa per tutto quel tempo” eppure a volta bastava “fare una chiamata a Don Antonio per scherzare e stare un po’ meglio, lo sentivamo vicino anche se eravamo lontani”. La parrocchia, tra la paura e le chiusure, c’è sempre stata anche quando non era nelle condizioni di poter fornire i suoi spazi di aggregazione e socialità, perché è un conforto e un supporto che supera le barriere materiali. “I ragazzi hanno bisogno di riferimenti adulti – spiega Don Antonio – e in qualche modo noi cerchiamo di essere lì con loro, pure quando non possiamo fisicamente”.
Una presenza che si palesa anche attraverso la Caritas parrocchiale. “Il Centro ‘Il Sorriso’ è una realtà straordinaria- spiega Mariangela – che si integra con la parrocchia, nasce nella parrocchia e vive con la parrocchia”. Creato nel 2003, quando era parroco Don Lorenzo Elia, opera su tutto il territorio di Villa Castelli come sostegno alle famiglie con figli diversamente abili. A rendere possibili le iniziative de “Il Sorriso” sono un gruppo di operatori volontari che mettono a disposizione della comunità tempo, abilità e competenze. I fruitori del progetto sono inoltre direttamente coinvolti in tutte le attività della parrocchia. “In realtà – aggiunge il Don – sono loro il nostro sorriso, sia per me, come prete, ma anche per tutta la nostra esperienza di parrocchia perché aiutano tutti noi a vivere quel senso di accoglienza che è vero ed è incontro tra le persone. E sono sempre loro che ci aiutano a essere quello che siamo, non dobbiamo mascherarci, dobbiamo essere normali così come loro sono normali”.
Un incontro tra persone che avviene quando tutti riescono a trovare il proprio posto ed è in questa reciproca accoglienza che si svela la grande forza di una parrocchia che si riconosce innanzitutto come comunità: “Lodo quelle mamme – conclude Don Antonio – che portano i loro bimbi in Chiesa, però non solo i bimbi si devono educare a vivere la comunità ma è anche la comunità che si deve abituare a questo tipo di accoglienza”.