Pistole, fucili, perfino ordigni esplosivi. E poi la droga, un fiume di cocaina sempre in piena; le estorsioni, in danneggiamenti, gli incendi, gli attentati. Questo, e molto peggio, è stata la nuova Scu. Quella che ha operato per anni principalmente a San Pietro e Cellino San Marco, ma anche nel resto della zona sud della provincia di Brindisi, e in quella a Nord di Lecce e Bari. A muovere i fili del gruppo, di cui avrebbero fatto parte 63 persone, 43 delle quali finite in carcere o ai domiciliari, il sanpietrano Raffaele Renna, alias “Puffo”. Un referente, secondo gli inquirenti della Dda di Lecce, di uno dei due clan che assieme costituiscono la Sacra Corona Unita di Brindisi: quello dei “tuturanesi”, capeggiato da Francesco Campana e Salvatore Buccarella, contrapposto, seppur in un clima di relativa pace, a quello dei “mesagnesi”, facente capo a Massimo Pasimeni e Antonio Vitale, e ai loro due luogotenenti Ercole Penna e Daniele Vicientino.
La contesa tra “mesagnesi” e “tuturanesi”, brace che ha continuato ad ardere sotto la cenere nonostante il patto di non belligeranza fra i due clan, è venuta alla luce nella seconda metà degli anni 2000 a San Pietro, dove i due gruppi si sono fronteggiati per il controllo di quella fetta di territorio. Da un lato Lucio Annis, uomo dei “mesagnesi”, dall’altro Raffaele Renna, luogo tenente di Campana, Rogoli e Buccarella.
Alla fine l’ha spuntata lui, il “Puffo”, con i suoi ragazzi. Non lo hanno fermato i contendenti di malavita prima, né le sbarre del carcere poi. Dalla sua cella ha continuato a dirigere gli affari dell’associazione grazie alla moglie Pamela Fortunato e alla zia Maria Carmela Rubini, che alla stregua di portalettere recapitavano i messaggi e gli ordini di Renna durante i colloqui in carcere, per consegnarli a chi di dovere una volta a casa.
Ma non saranno i loro, gli unici nomi femminili a comparire nell’ordinanza spiccata questa mattina dal tribunale di Lecce su richiesta del sostituto procuratore Alberto Santacatterina. Se ne contano ben dieci (sei arrestate e quattro indagate a piede libero): tante, troppe. Ma la Scu, ha ricordato durante la conferenza stampa il procuratore capo della Dda Cataldo Motta, è sempre stata una mafia di donne. La più “rosa” tra tutte le mafie italiane.
Il carcere, come spesso accade, anziché punire e rieducare, funge da scuola e da occasione per allargare gli orizzonti, a chi è animato da sfrenata ambizione. Renna, durante la sua detenzione, ha colto il senso più profondo di quest’altra medaglia della galera, tessendo rapporti con uomini del nord Barese, di Andria in particolare, con i quali ha costituito una seconda organizzazione criminale dedita principalmente allo spaccio di sostanze stupefacenti, di cui si è messo a capo.
Il territorio era controllato, seppur a distanza, col pugno di ferro. La mafia è tale quando crea un clima di indiscutibile terrore. E gli uomini (e le donne) di Renna, o come preferiscono definirsi loro “i ragazzi di Campana”, hanno lavorato molto sull’immagine, sull’intimidazione. Le ritorsioni erano all’ordine del giorno. E nessuno ci andava mai leggero. Era sufficiente scrivere un commento negativo o sgradito al clan sui social network, per pagarne le conseguenze. E’ successo a un ragazzo di San Pietro Vernotico, colpevole d’aver calcato troppo la mano in una sua critica su Facebook. Fu prelevato e pestato a sangue.
E anche le estorsioni erano occasione non solo per tirare su ingenti somme di denaro, da destinare in buona parte agli affiliati ristretti in carcere, ma anche per rafforzare l’immagine del clan sul territorio. Significativa, in tal senso, quella ai danni di Alessandro Fago e della sua famiglia. Fago, come Renna, è un affiliato alla Scu. Ma la sua colpa, come spiega il procuratore Motta, è “di far parte del clan perdente”. Quindi quello dei mesagnesi. Vinta la guerra è iniziato per Fago e la sua famiglia un periodo di terrore. Prima la richiesta di 50mila euro, fattagli pervenire da Domenico D’Agnano tramite gli “ambasciatori” Gianpiero Aula e Antonio Bonetti. Poi le ritorsioni: dalle pistolettate contro la sua abitazione all’incendio del furgone utilizzato per la vendita dei panini, passando per i danneggiamenti al ristorante di Pancrazio Fago “Isola tre fontane”. Un modo insomma non solo per far soldi, ma anche per rimarcare il predominio di una cosca sull’altra, dei vincenti sui perdenti.
E un’altra ritorsione, colpi di fucile esplosi questa volta contro l’abitazione di un altro “avversario”, Giuseppe Litti, ha avviato le indagini che hanno portato questa mattina all’arresto dei 46 indagati. Questi i nomi:
In carcere: Raffaele Renna detto “Puffo”, 34 anni, di San Pietro Vernotico; Giampiero Alula, alias “Boban”, 35 anni, di San Pietro Vernotico; Antonio Bonetti, detto “Elio”, 34 anni, di San Pietro; Davide Bonetti, 37 anni, di San Pietro; Simone Contaldo, 27 anni, di San Pietro; Mario Conte, alias “Pui Pui”, 32 anni di Squinzano; Domenico D’Agnano, detto “Nerone”, 45 anni, di San Pietro Vernotico; Alfredo Epifani, 26 anni, di San Pietro Vernotico; Sebastiano Esposito, detto “Babà”, 25 anni, di Brindisi; Luca Ferì, 28 anni, di Torchiarolo; Cosimo Fina detto “lu biondu”, 43 anni, di San Pietro Vernotico; Pamela Fortunato, di San Pietro Vernotico, 26 anni; Francesco Francavilla, 33 anni di Cellino San Marco; Filippo Griner detto “Tyson”, 31 anni, di Andria; Donato Claudio Lanzilotti, 29 anni, di Carovigno; Giuseppe Litti, di San Pietro Vernotico, 30 anni; Giuseppe Maggio, 29 anni, di Squinzano; Antonio Orofalo, 28 anni, di Cellino San Marco; Silvestro Orofalo, 47 anni, di Cellino San Marco; Fabio Rillo, di Brindisi, 31 anni; Maria Carmela Rubini, di San Pietro Vernotico, 40 anni; Antonio Saponaro, 22 anni, di San Pietro Vernotico; Pietro Saponaro, detto “Pitruzzu”, di San Pietro Vernotico, 40 anni; Maurizio Screti detto “Mau”, di San Pietro Vernotico 27 anni; Salvatore Sergio detto “Rino”, 37 anni, di Andria; Jonni Serra, detto “Pecora”, di Campi Salentina 39 anni; Ivan Spedicati, 23 anni, di Surbo; Carmela Tafuro, 23 anni, detta “Denise”, di San Pietro Vernotico; Cosimo Talò, 42 anni, di Cellino San Marco; Cristian Tarantino, di San Pietro Vernotico 23 anni; Tonio Tauro, di Campi Salentina 49 anni; Maurizio Trenta, 39 anni, di San Pietro Vernotico; Vincenzo Vaccina, di Andria 31 anni; Angelo Orofalo, 21 anni, Cellino San Marco.
Ai domiciliari: Pierluigi Andriani, di San Pietro Vernotico, 25 anni; Marco Asuni, 52 anni, di San Pietro Vernotico; Roberto Colagiorgio, 32 anni, di Surbo. Andrea Conte, di San Pietro Vernotico, 23 anni; Lucia Grassi, 22 anni, di Surbo; Alessandro Guido, 30 anni, di Squinzano; Sabino Roberto, detto “Ranavidd”, 41 anni, di Andria; Ottavio Saponaro, 40 anni, di San Pietro Vernotico; Vittorio Seccia, 52 anni di Cerignola (Foggia); Antonia Serra, 64 anni, di San Pietro Vernotico; Alessandro Spedicati, 27 anni, di Surbo; Debora Valzano detta “Cassapanca”, 26 anni, di Squinzano.
Indagati a piede libero: Simona De Pascalis, 34 anni di San Pietro Vernotico; Raffaella Malatesta, di Torchiarolo, 47 anni; Gianluca Prefetto, di San Pietro Vernotico, 36 anni; Massimo Spedicati, 50 anni di Surbo; Stefano Nuzzaci, 28 anni di Torchiarolo; Giovanni Mariano, ∫25 anni di Taurisano; Patrizia Piccinni, 39 anni, di Cellino San Marco; Roberto Candita, 43 anni, di Torchiarolo; Roberto Napoletano, 27 anni di Squinzano; Saverio Palma, 40 anni, di Carovigno; Massimiliano Perrone, 41 anni, Guagnano; Giuseppe Vitale, 47 anni, di Tuturano; Giovanni Maiorano, 32 anni, di Torchiarolo; Antonio Protopapa, 27 anni di Guagnano; Ester Carlà, 44 anni di Surbo; Cosimo Candita, 47 anni di San Pietro Vernotico; Cristian Cappilli, 27 anni di Presicce; Giuseppe Attanasio, 48 anni, di Arnesano; Maria Soria Cuna, 46 anni, di Monteroni.