Settant’anni fa come oggi, il naufragio del piroscafo Oria: morirono 4.200 soldati italiani. Tra i pochi corpi con un nome, tre brindisini. Ricordiamoli

di Giancarlo Sacrestano

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, furono fatti prigionieri dai tedeschi circa 700mila soldati italiani. In 80mila non hanno più fatto ritorno. A questi soldati, cui non fu riconosciuto lo stato giuridico di prigioniero di guerra, i tedeschi affibbiarono la condizione di internato militare, una sorta di “prigioniero volontario” ironico appellativo riservato agli ex alleati in forza di un trattato in precedenza sottoscritto tra Mussolini ed Hitler. Qui ogni soldato fu richiesto, per evitare la deportazione nei campi di concentramento in Germania, principalmente in Germania e nella Polonia occupata, di aderire alla Repubblica di Salò rinnovando l’alleanza con il nazismo.

La risposta fu netta: il 95% oppose un secco NO. Resistendo alle lusinghe degli emissari del fascismo e del nazismo respinsero ogni possibilità di ottenere la libertà alle loro condizioni. I soldati italiani fatti prigionieri, deportati nei campi di internamento nazisti, principalmente in Germania e Polonia, spersonalizzati, tormentati dalla fame e dal freddo, costretti a lavorare nelle fabbriche tedesche, dettero un’alta prova di grande coraggio e di piena integrità morale. Fu, la loro, una espressione nobile di Resistenza che purtroppo è rimasta inspiegabilmente sepolta per anni negli archivi del distretti militari ed è stata ignorata sostanzialmente da tutta la storiografia della seconda guerra mondiale.

“Quanti, sotto il profilo storico o politico, hanno studiato e scritto della guerra di Liberazione non hanno espresso dubbi sulla legittimità di inserire nella storia della Resistenza la lotta degli internati nei campi di concentramento, e un qualche cenno, una qualche attenzione hanno in realtê dedicato all’odissea degli oltre 600 mila italiani gettati dalla vicenda dell’armistizio del settembre 1943 nei lager tedeschi. Se non altro perchè nella prigionia si concluse la prima rapida e tragica ribellione antitedesca della Resistenza, quella rivolta di una parte dell’esercito che dall’Egeo alla Corsica, dalla Grecia alla Francia, dall’Albania alla Jugoslavia indicò immediatamente la possibilità e l’esigenza di una lotta del nostro popolo contro il nazifascismo e la Germania hitleriana”. (Alessandro Natta “L’altra resistenza” (Einaudi, Torino 1997)

Quanto dramma è espresso nelle parole lo si capisce rileggendo quello che accadeva esatti 70 anni fa. Nei pressi dell’isola di Creta veniva affondato il piroscafo “Petrella”, che i tedeschi avevano caricato di prigionieri italiani con l’intento di trasferirli nei campi di internamento nazisti.

Poche ore dopo essere salpata, fu affondata dal sottomarino inglese Sportsman al largo della baia di Suda. Il numero delle vittime fu altissimo: 2.700 di 3200 prigionieri italiani che si trovavano a bordo. Il pomeriggio di giorno 11 febbraio, salpava da Rodi il piroscafo “Oria”, nave norvegese destinata solitamente al traffico merci, ma che quel giorno “stivava” un carico di oltre 4200 soldati italiani, destinati anch’essi ai campi di internamento nazisti.

Nella notte tra l’11 e il12 febbraio, l’Oria (foto in basso), mentre imperversava una tempesta, affondò a sole 25 miglia a sud di Atene con il suo carico di uomini che non ebbero scampo, stipati nelle stive della nave. L’urto contro lo scoglio di Capo Sounion, prospiciente l’isola di Patroklos provocò la morte di oltre 4.000 soldati. In quei giorni di febbraio perirono circa 6500 ragazzi italiani che la memoria collettiva ha dimenticato come gli altri 70,000 circa periti nei campi di internamento nazisti. Solo negli ultimissimi anni, le ricerche, avviate da alcuni discendenti dei caduti, hanno reso possibile il recupero della lista degli imbarcati e la precisa localizzazione del relitto.

Un lungo lavoro di ricostruzione ha permesso anche di realizzare un “muro della memoria” con i volti, i dati e i luoghi di provenienza di 176 degli oltre 4000 soldati italiani andati dispersi. Tre di essi anche tre ragazzi, “mai divenuti padri” che provenivano dalla provincia di Brindisi: Angelo De Mitri di San Donaci, nato il 4 dicembre del 1917; Angelo Antonio Felle di Villa Castelli, nato il 25 gennaio 1920; Crocifisso Lavota di Francavilla Fontana, nato il 17 settembre 1918.