Quattro persone sono finite in carcere e undici risultano complessivamente indagate nell’ambito dell’operazione denominata “Argan”, condotta all’alba dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Taranto. I militari hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip Anna Paola Capano del Tribunale di Lecce, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia leccese, in coordinamento con la Procura della Repubblica di Taranto.
Il procedimento riguarda un presunto sodalizio criminale attivo nella parte orientale della provincia jonica, accusato, a vario titolo, di estorsione e incendio aggravati dal metodo mafioso, porto e detenzione di armi da fuoco, intralcio alla giustizia, evasione continuata ed esercizio abusivo della professione. Contestualmente agli arresti, il pubblico ministero ha disposto perquisizioni personali e domiciliari finalizzate alla ricerca di armi e di materiale ritenuto utile alle indagini.
In carcere sono finiti Anselmo Venere, 54 anni, Nicola Casucci, 34 anni, Emidio Galeandro, 58 anni, e Gennaro Migliorini, detto “Augusto”, di 69 anni.
L’indagine
L’operazione rappresenta l’esito di una lunga attività investigativa avviata nell’ottobre 2023 e conclusasi nel settembre scorso. Le indagini si sono sviluppate attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, servizi di osservazione, pedinamenti con dispositivi GPS e riprese video, consentendo agli inquirenti di ricostruire un quadro indiziario ritenuto solido.
Secondo quanto emerso, il gruppo avrebbe messo a segno numerose estorsioni ai danni di imprenditori della provincia di Taranto, costretti a versare somme di denaro anche con cadenza periodica.
Intimidazioni e incendi
Le richieste estorsive sarebbero state precedute da azioni intimidatorie sistematiche, in particolare incendi dolosi delle autovetture delle vittime. Gli investigatori hanno accertato che tali episodi non erano improvvisati: prima di agire, gli indagati effettuavano sopralluoghi per studiare abitudini, orari e sistemi di videosorveglianza, individuando il momento più favorevole per colpire senza essere identificati.
Le vittime, in molti casi, sono imprenditori operanti nel settore turistico-ricettivo – come lidi balneari e strutture alberghiere della fascia costiera – oltre che titolari di attività commerciali di varia natura.
Le armi e il clima di intimidazione
Nel corso dell’inchiesta è stato inoltre accertato il possesso di armi da fuoco da parte del gruppo. In un episodio specifico, uno degli indagati avrebbe esploso colpi di pistola dopo un banale incidente stradale, con l’unico scopo di intimidire l’altro automobilista e dissuaderlo dal contattare le forze dell’ordine.
Figura centrale dell’organizzazione sarebbe Anselmo Venere, gravato da precedenti per reati di particolare gravità, tra cui omicidio, traffico di stupefacenti e associazione a delinquere finalizzata alle estorsioni. Nonostante fosse prima detenuto in carcere e successivamente agli arresti domiciliari, l’uomo avrebbe continuato a dirigere le attività del gruppo, mantenendo contatti con l’esterno grazie a una rete di collaboratori fidati.
Dalle intercettazioni emerge uno stato di forte assoggettamento psicologico delle vittime, che in alcuni casi arrivavano a definire Venere «un uomo d’onore».
Intralcio alla giustizia e pressioni sui testimoni
Gli investigatori hanno documentato anche condotte volte a ostacolare il corretto svolgimento di procedimenti penali. In un processo a carico del 54enne, la vittima di un’estorsione sarebbe stata intimidita per impedirle di costituirsi parte civile. Le pressioni avrebbero coinvolto anche due testimoni, uno dei quali, visibilmente intimorito, avrebbe chiesto indicazioni su cosa dichiarare in aula, manifestando una totale sottomissione.
I “pizzini” e la falsa avvocata
Tra i reati contestati figura anche l’esercizio abusivo della professione forense. Una 35enne di Pulsano, priva di abilitazione, si sarebbe presentata come avvocato del Foro di Taranto, assumendo il ruolo di difensore di fiducia di uno degli indagati. La donna, praticante in uno studio legale, avrebbe avuto accesso al carcere di Lecce per incontrare Venere, fungendo da tramite per la trasmissione all’esterno di messaggi e disposizioni sotto forma di “pizzini”.
Le indagini hanno inoltre evidenziato come l’attività criminale non si sia mai interrotta, neppure durante la detenzione del presunto capo del gruppo. Un ruolo rilevante sarebbe stato svolto dalla compagna dell’uomo, incaricata di organizzare incontri con le vittime in luoghi pubblici e apparentemente insospettabili, utilizzando un linguaggio criptico.
Emblematiche alcune espressioni intercettate, nelle quali gli imprenditori che decidevano di pagare venivano definiti “persone educate”. Il clima di omertà emerge anche da episodi in cui le vittime, pur colpite da gravi intimidazioni, fornivano versioni di comodo alle autorità. In una conversazione, un imprenditore edile avrebbe confidato tutta la propria disperazione affermando: «Questi mi stanno togliendo la vita».
Infine, gli inquirenti hanno accertato che il 54enne avrebbe simulato uno stato di invalidità durante la detenzione, vantandosi con la compagna delle proprie capacità di recitazione per ottenere benefici penitenziari, arrivando a definirsi ironicamente un possibile vincitore dell’Oscar.