di Gianmarco Di Napoli
L’arresto di don Giampiero Peschiulli ha provocato un’ondata di sdegno nell’opinione pubblica, legittimato dalla gravità delle accuse raccolte dai carabinieri nei confronti dell’ex parroco della chiesa di Santa Lucia. Ma sarebbe un errore gravissimo considerare il caso chiuso, limitandosi a inveire contro il prete pedofilo e auspicare per lui una pesante condanna, pensando che una volta allontanato don Giampiero dalle sacrestie il problema sia stato risolto.
Le indagini condotte per trovare conferma alle sue deviazioni sessuali hanno aperto scenari inquietanti sull’intero sistema ecclesiastico brindisino e le intercettazioni telefoniche effettuate per incastrarlo sembrano aver scoperchiato, abbastanza casualmente, scenari che meritano approfondimenti. Mentre don Giampiero si sfogava con la sua perpetua, e con un altro amico sacerdote, tratteggiava (di certo inconsapevole del fatto di essere intercettato) un quadro a tinte più che fosche dal quale si intuisce per quale motivo egli abbia potuto muoversi per decenni da una parrocchia all’altra, seguito da una scia di allusioni spesso per nulla velate sui suoi “vizi”, senza che nessuno dalla Curia intervenisse. Un intoccabile.
Un quadro nel quale, secondo quanto le conversazioni dell’ex parroco fanno emergere, la chiesa brindisina sarebbe controllata da una lobby di sacerdoti omosessuali che di fatto coprirebbe – per questioni di comprensibile autotutela – possibili magagne avvenute all’interno delle sacrestie. Peschiulli fa anche i nomi di quei sacerdoti, alludendo a una possibile ricattabilità di ognuno di loro. Perché coinvolti in tresche che quantomeno ne minerebbero la credibilità religiosa (non fosse altro per il voto di castità alla base del loro ministero).
“Se fosse rimasto Rocco Talucci avrebbe preso in mano la situazione”, lamenta il sacerdote indagato con la sua perpetua. E aggiunge: “Come l’ha presa in mano con uno di (…) adesso sta a (…) a fare il parroco”. Peschiulli invece è molto risentito nei confronti dell’attuale vescovo, Domenico Caliandro, al quale – racconta sempre al telefono – aveva denunciato la pratica degli esorcismi a pagamento – autorizzati dalla Curia – che aveva ripreso piede a Brindisi dopo la partenza di Talucci il quale invece – pare – le aveva sempre ostacolate: “Le offerte sono poche, levami il demonio da dentro, tieni 50 euro. E facciamo soldi”, commenta don Giampiero con la sua perpetua. “Lo dissi al vescovo (Caliandro, ndr) e cosa ne ho avuto? Mi sono messo pure gli esorcisti contro”.
Sono due le parrocchie nelle quali periodicamente si svolgono celebrazioni, alcune anche di gruppo, durante le quali presunti posseduti dal demonio vengono liberati dal sacerdote autorizzato dalla Curia: quella della Rosa e quella del Paradiso.
La perpetua racconta di averne parlato anche con don Adriano Miglietta, parroco della Cattedrale: “Ho detto a don Adriano, l’ho detto apposta: don Giampiero ha dato fastidio a voi “colleghi”. Iniziamo già con l’esorcista del “Paradiso” che non ci stanno più offerte e con 50 euro ti levano il demonio. Non fu don Giampiero a dire: “E a lui chi glielo leva?”. Don Adriano è sbiancato”, ricorda la donna parlando al telefono con Peschiulli.
Ai tempi di Talucci, don Giampiero si sentiva invece ben visto. L’arcivescovo del resto aveva compiuto la sua prima visita pastorale a Brindisi proprio nella parrocchia di Santa Lucia. Chissà se aveva già ricevuto l’accorata denuncia dei genitori di due bambini che, nel 2002, si erano presentati per raccontare degli abusi del parroco e che aveva invitato a tacere. Gli esposti rimasero nei cassetti di piazza Duomo sino a quando non li hanno tirati fuori i carabinieri.
Quando Talucci era andato in pensione, comunque, don Peschiulli era rimasto al suo posto. Domenico Caliandro, nonostante avesse rimesso mano a molte parrocchie, rivoluzionando – anche in maniera dolorosa per molti fedeli – l’intera organizzazione ecclesiastica brindisina, non aveva mai pensato di spostare don Giampiero dalla chiesetta di via Lata. Aveva letto quegli esposti Caliandro?
Anche quando è esploso lo scandalo nato dal servizio delle Iene, l’attuale arcivescovo ha mantenuto una posizione molto “prudente”. Non fu lui a sospendere il sacerdote, ma diffuse un comunicato con il quale sosteneva che era stato Peschiulli a rassegnare “le sue dimissioni dall’incarico, per essere maggiormente libero di seguire il procedimento in corso”. Ma, si scopre ora dalle intercettazioni, in realtà don Giampiero non aveva alcuna intenzione di andare via e aveva scritto una lettera all’arcivescovo con la quale faceva sottili allusioni ad altre situazioni: “Eccellenza, non si preoccupi degli scandali, che se scandali ci dovessi essere, in quante parrocchie. E poi ce li ha in casa, ce li ha lei”.
Considerata piuttosto morbida anche la seconda nota diffusa da Caliandro, all’indomani dell’arresto per pedofilia del suo parroco. “Ove accertati fatti del genere, la ferita inferta alla dignità umana e cristiana delle vittime è veramente grave, ancor più se proviene da chi avrebbe dovuto custodirle e farle crescere nel bene”. Toni ben diversi da quelli utilizzati quando, qualche mese fa, decise di “scomunicare” Mario D’Ignazio, l’ex seminarista che sostiene di parlare con la Madonna, e di inibire dalla chiesa tutti i fedeli che avessero avuto l’ardire di partecipare alle preghiere nella villetta di contrada Santa Teresa. Molto più pericoloso il veggente del prete pedofilo.
Nel mese di gennaio 2014, primo vescovo in Italia, Caliandro era stato condannato quale responsabile della diocesi Nardò-Gallipoli a risarcire la somma di 20 mila euro alla vittima di abusi sessuali perpetrati da un sacerdote della sua diocesi, a sua volta condannato penalmente e sospeso. Ovviamente monsignor Caliandro non aveva avuto nessun ruolo diretto nella vicenda, ma venne comunque citato per responsabilità civile e condannato al risarcimento per quella violenza sessuale.
Insomma, sarebbe banale ritenere che con l’arresto di don Giampiero Peschiulli il capitolo sia chiuso. E il suo silenzio nel primo interrogatorio davanti al giudice per le indagini preliminari potrebbe essere solo una scelta dettata dalla necessità di individuare la migliore strategia difensiva. Ma è chiaro che quando si andrà a processo, l’ex parroco potrebbe davvero svelare l’esistenza di un meccanismo che va ben oltre le sue orribili deviazioni sessuali.
E che si spera ancor oggi, in questo momento, nella sacrestia di un’altra nostra parrocchia, non stia ancora determinando qualcosa di atroce. Senza che nessuno abbia voglia di intervenire. O non sia nelle condizioni di farlo.