Il “pentimento” di Cascione: ecco cosa ha detto al pm. Una pietra tombale sulla lobby della tangente

“Non ho più intenzione di rimanere nello scenario politico di Cellino San Marco, desiderando esclusivamente vivere, per il futuro, con la mia professione di avvocato”: con queste parole Francesco Cascione ha chiuso le sette ore d’interrogatorio cui si è sottoposto volontariamente davanti al pm Antonio Costantini (assistito dal suo legale Giuseppe Guastella) per ammettere tutto. Le tangenti, i concorsi truccati, gli appalti pilotati. E lo fa mettendo una pietra, quasi tombale, sulle speranze dei suoi coimputati di uscire indenni da un’inchiesta che, per altro, lasciava poche speranze di suo, visti i dettagli raccolti dagli investigatori.
Cascione ha messo il timbro a ogni pagina dell’ordinanza di custodia cautelare, arricchendo le prove raccolte con ulteriori riscontri: date, orari, luoghi in cui le tangenti erano state incassate e persino le auto in cui erano avvenuti i passaggi di denaro.
Il sestetto di comando, quello che gestiva tutti gli affari, era composto – oltre che da lui – dal suo vicesindaco Corrado Prisco, dagli assessori Gabriele Elia, Gianfranco Quarta, Gianfranco Pezzuto e dal bancario Omero Molnedini, grande amico della madre del sindaco Pierina Metrangolo: “Avevamo previsto tra noi la spartizione delle tangenti in parti uguali. Il patto tra noi è intervenuto poco dopo l’insediamento della mia giunta”.
Ne era rimasta fuori l’unica donna della giunta, Marina Del Foro, delegata all’Urbanistica: “Aveva un pessimo rapporto con Pezzuto e Prisco tanto da non volersi sedere neanche allo stesso tavolo durante le riunioni di lavoro anche se durante le giunte ero io a chiamarla per farla intervenire, anche per poter raggiungere il numero necessario per l’approvazione delle delibere”.
Cascione ha confermato che ogni progetto, ogni concorso, ogni pietra che si muoveva a Cellino, aveva come primo obiettivo quello di fruttare una tangente a chi amministrava il paese. Una avidità che portava la banda a compiere scelte estreme come quella di organizzare un concorso per consentire al figlio di un “amico” in grado di procurare centinaia di voti di diventare comandante della polizia municipale, pur non avendo egli mai ottenuto la laurea: “E’ vero, sapevamo che non l’aveva mai conseguita – ha ammesso candidamente Cascione – ma pensavamo che il padre, che è uno storico amico della mia famiglia e che gestisce una scuola privata a Casarano, sarebbe riuscito a fargliela ottenere”.
Nel corso delle sette ore di interrogatorio, dalle 3 di pomeriggio alle 10 di sera, Cascione ha ammesso punto per punto, man mano che il pm scorreva i capi d’imputazione contestati nell’ordinanza, tutte le accuse, arricchendole di particolari. A iniziare dal suo rapporto con Francesco Francavilla, il pregiudicato cui aveva consentito di allacciare il suo chiosco alla rete elettrica del Comune e cui aveva concesso sedie e gazebo del Comune. Era proprio da qui che aveva preso il via l’inchiesta, dai rapporti che Cascione aveva mantenuto con il pregiudicato, ben oltre le sue mansioni di avvocato difensore: “La ditta di Francavilla diventò fiduciaria del Comune con l’insediamento della mia giunta. Lo feci per timore di una persona e per un debito che ritenevo di avere per il sostegno che mi aveva dato durante la campagna elettorale”.
Cascione conferma che, oltre alla brama di denaro, il suo cammino è stato condizionato dalle sue ambizioni politiche: “”Purtroppo erano in tanti a chiedere favori e non ho avuto la forza di dire di no anche perché era mia intenzione quella di crescere politicamente e dunque accontentarli mi poteva essere utile nelle successive elezioni regionali e comunali”.
E poi la sfilza di rapporti illeciti con gli imprenditori. Quello con l’impresa Cozzoli di Brindisi il cui titolare in cambio di appalti si diceva disponibile a offrirgli il solito “caffè”. “Utilizzava questa espressione facendo chiaramente intendere che sarebbe stata poi data a me, che avrei diviso con gli altri, una tangente”.
Cascione ha confermato che le fatture erano sovrastimate per consentire poi agli imprenditori di ricavare il denaro necessario per il pagamento della tangente. E che era al corrente che i lavori di ristrutturazione del campo sportivo non erano stati effettuati a regola d’arte: “Ma avevo fretta perché volevo che la stagione del Cellino iniziasse con regolarità visto che la struttura era stata dichiarata inagibile”.
Legata, ma solo formalmente, allo sport era anche la tangente che Cascione conferma di aver ricevuto dall’imprenditore Tommaso Ricchiuto che a Cellino doveva realizzare un’isola ecologica che poi venne sequestrata: “Ci incontrammo nella sua auto alle spalle del bar Raphael di Lecce. Mi consegnò la somma di 10 mila euro che avevo richiesto quale formale sponsorizzazione delle squadre di calcio, basket e pallavolo. In realtà la somma fu divisa tra me, Omero, Gabriele Elia e Gianfranco Quarta perché quello della richiesta per motivi di sponsorizzazione fu solo un pretesto perché non avevo il coraggio di chiedergli esplicitamente il pagamento della tangente”.
Cascione poi chiarisce anche che Albano Carrisi, presso le cui tenute si erano avuti incontri intercettati dai carabinieri, è all’oscuro di tutto: “Per la sistemazione del verde pubblico, Gabriele Elia incontrò un imprenditore nella piscina della tenuta di Albano. Tengo a precisare che Albano era assolutamente all’oscuro di tutto quanto di illecito facevamo in quel periodo e l’incontro tra noi avvenne presso la sua tenuta solo perché Elia, in quel periodo, abitava in un residence situato all’interno”.
Su una cosa però Cascione smentisce i carabinieri: “Posso escludere che i rumori individuati nelle intercettazioni ambientali come di soldi trattassero di ciò poiché non ricordo di aver suddiviso le tangenti in auto. La quota a ognuno veniva consegnata in busta anche presso le rispettive abitazioni: distribuzione che facevo io personalmente”. Ai fini di ottenere una condanna più mite, questa precisazione non sembra granché migliorativa.
Gianmarco Di Napoli