di Alessandro Caiulo per il7 Magazine
Giovedì 2 giugno, approfittando del giornata festiva, ho potuto rispondere presente all’invito congiunto fattomi da Angela Marinazzo e Maria Ventricelli, per Legambiente e Italia Nostra, di partecipare, contribuendo col racconto di qualche fatterello più o meno inedito, alla visita ad alcune masserie fra Mesagne e Brindisi, sull’ipotetico e ormai quasi invisibile tracciatodella parte terminale della Via Appia la strada consolare che rese quello di Brindisi il maggior porto del mondo allora conosciuto.
Anche se il gruppo dei partecipanti era numeroso e il mezzo di locomozione prescelto era la quattro ruote, anziché i miei amati scarponi, ho accettato con entusiasmo, consapevole dell’importanza della divulgazione della conoscenza del nostro patrimonio storico e culturale sia ai fini della tutela delle vestigia rimaste che per farne tornare alla luce altre. Era presente anche Daniele Pomes, solitamente fautore del turismo lento, amante qual è della bicicletta, ma che nell’occasione si è mostrato molto sollecito nel rispetto del “cronoprogramma” in ragione dei tanti luoghi da visitare.
Si comincia da Villa Pignicedda, la residenza estiva del podestà e benefattore Serafino Giannelli, la quale meriterebbe già da sola una visita di un’intera giornata, ma anche un’attrezzatura da esploratore ed uno spirito di avventura, in quando sommersa da rifiuti e circondata da una fitta vegetazione quasi inestricabile, che fa venire alla mente la foresta cresciuta in cento anni di abbandono attorno al castello della bella addormentata nel bosco. La sosta è di pochi minuti, una semplice presa d’atto della situazione, prima di risalire a bordo delle auto in direzione della Masseria Masina, dove ci attende il dott. De Carlo, la cui famiglia ne è proprietaria da tempo. Notevoli sia la chiesetta che la bella Torretta cinquecentesca, attorno alla quale fu edificata la masseria, ma ciò che più ha affascinato è stato lo scoprire all’interno dei locali già adibiti a stabilimento vinicolo, antichi macchinari e perfino una minicentrale a carbone, risalente a fine Ottocento, che generava il vapore con cui si dava energia e calore agli ambienti. Personalmente mi ha molto colpito il marchingegno, fatto di contenitori in rovere e setacci in bronzo, per filtrare, a caduta, il vino, assai simile a quella che nell’infanzia vedevo nello stabilimento vinicolo della mia famiglia, che rendeva i filtrati di Brindisi un unicum al mondo.
Da Masina ci spostiamo alla masseria Torre Mozza, dove ci limitiamo ad ammirare dall’esterno l’antica torre a cui la località deve il nome: anche questa, come quella precedente, ha almeno 500 anni vita e testimonia l’utilità anche difensiva di queste strutture, al cui interno si rifugiavano, in caso di attacco, proprietari e contadini, in attesa che dalla città giungessero gli aiuti.
La quarta tappa è alla masseria Casignano, che sorge vicino al fiume Cillarese, un tempo circondata da una grande bosco di querce da sughero, ma di cui, dopo l’opera distruttrice dell’Ente Riforma Fondiaria di metà secolo scorso, non rimane traccia. Questa masseria, davvero bella e particolare, da alcuni anni versa in stato di abbandono e i primi segni di vandalismo non mancano, tant’è che è stato addirittura abbattuto il robusto cancello di ferro che era posto al suo ingresso. Anche questa masseria meriterebbe un’accurata visita, sia alla struttura principale, che alla Torre posta alle sue spalle, oltre che alla recinzione in pietre che ne farebbero ipotizzare una origine addirittura medioevale, ma occorre rispettare i tempi previsti per cui, dopo aver raccontato un episodio di brigantaggio collegato proprio a Casignano, all’epoca di proprietà del Capitolo Ecclesiastico, che fece finire sotto processo per favoreggiamento l’allora vescovo di Brindisi Mons.Ferrigno, l’arcidiacono e archeologo Giovanni Tarantini ed il celebre matematico Raffaele Rubini, risaliamo in auto per percorrere la penultima tappa, la Masseria Masciullo, di recente rimessa a nuovo, nel cui piazzale antistante, oltre ad alcune querce secolari, vi è anche una bella chiesetta sormontata da un bassorilievo raffigurante il Cristo.
Tutto quanto, secondo le migliori tradizioni, finisce a tarallucci e vino, in quanto ci si ferma alle tenute Lu Spada per una degustazione di ottimi vini locali e, ovviamente, tarallini! A fare gli onori di casa c’è l’arch. Tonino Bruno che illustra le peculiarità dell’azienda e quello che sta facendo per recuperare gli antichi e rinomati vitigni brindisini, in una zona pregna di storia e cultura agricola.
Ho voluto sentire al riguardo quello che ritengo essere il maggiore studioso e conoscitore non solo delle masserie ma anche delle antiche strade che giungevano a Brindisi o da qui partivano, il prof. Giacomo Carito, storico, scrittore, presidente della sez. di Brindisi della Società di Storia Patria per la Puglia, direttore del Centro Studi per la Storia dell’Arcidiocesi di Brindisi ma, soprattutto, brindisino profondamente innamorato della sua città.
Professore, il territorio di Brindisi, la sua provincia e, in genere, il Salento sono pieni di antiche masserie, alcune fortificate, altre che addirittura appaiono come manieri, che sembrano essere qualcosa in più di semplici fattorie in cui ci si dedicava alla coltivazione ed alla trasformazione dei prodotti agricoli: qual è la loro origine e cosa rappresentavano queste strutture nella nostra civiltà?
“Il modulo d’organizzazione territoriale che ha come punto di riferimento le masserie s’impone, progressivamente, a partire dal XII secolo. Sostituisce l’altro fondato sui casali, piccoli villaggi che in qualche caso si riducono a masserie, in altri evolvono divenendo attive cittadine. Il casale si fondava sull’ampio utilizzo di manodopera servile, obbligata a operare sui fondi del signore (pars dominica); per l’autoconsumo dei contadini restavano terreni marginali. La masseria si fonda invece sull’operato di salariati e rappresenta, in certo senso, un momento di passaggio da un’economia feudale ad altra di tipo capitalistico. Il forte sviluppo delle masserie si dovette a due fattori concomitanti: l’inurbamento e la necessità d’incentivare la produzione agraria al fine d’assicurare costanti rifornimenti ai presidi cristiani nell’area siro palestinese. Eloquente, per il primo aspetto, la vicenda che riguarda San Pancrazio Salentino; il casale si era spopolato per il trasferimento dei contadini in Brindisi e l’arcivescovo della città adriatica, che ne era signore feudale, per assicurarne il ripopolamento assicura a quanti vi si fossero trasferiti gli stessi diritti di cui godevano in città. Ciò permise a San Pancrazio di proporsi quale centro urbano; quando questo non accadde i casali si ridussero, come già detto, a masserie. Il declino delle masserie avviene con le grandi trasformazioni del periodo post unitario; lo svecchiamento imposto dall’arrivo di grandi imprenditori europei che acquistano all’asta i beni sequestrati agli enti ecclesiastici determina lo spostamento dei processi di trasformazione dei prodotti agricoli dalla campagna alla città. Brindisi allora vede sorgere oltre le mura e in prossimità della ferrovia, stabilimenti vinicoli, tabacchifici, mulini. Un mondo nuovo accompagna il declino di quello vecchio”.
Molte di queste antiche masserie, siano esse di proprietà privata o pubblica, come quelle tuttora nella disponibilità dell’ex Ente Riforma, versano in stato di completo abbandono ed in preda ai vandali, altre non hanno perso la loro vocazione agricola ma, stante gli enormi costi che comporterebbero i lavori di risanamento e ristrutturazione, sono abbastanza malmesse; alcune di esse, invece, sono state trasformate in Resort anche di lusso o in ricche residenze, a volte attraverso lavori che le hanno snaturate non poco. Cosa si potrebbe fare per meglio tutelare e salvaguardare questo immenso patrimonio della nostra terra?
“Le masserie stanno subendo la stessa sorte dei centri storici; il turismo le trasforma ricreando stereotipi che, se a volte e non sempre salvano la struttura edilizia, ne distruggono identità e valori. Lo stesso avviene nei centri storici che, abbandonati dagli abitanti, divengono rivendite di paccottiglie o d’improbabili offerte gastronomiche fondate su una dieta mediterranea che è recente invenzione come lo stesso cosiddetto stile mediterraneo. Ciò detto va ricordato che esiste una legge regionale sulle masserie e che su quella bisognerebbe insistere; in particolare le masserie didattiche paiono un’ottima scelta: rendono memoria del duro lavoro che vi si svolgeva, offrono un quadro attendibile delle effettive produzioni locali e degli avvicendamenti culturali e colturali intervenuti”.
In quest’ultimo periodo si fa un gran parlare del tracciato della Via Appia Antica e, specialmente nel tratto che da Mesagne porta a Brindisi, si ipotizzano diverse possibilità, ma avendo sempre come punto di riferimento indicativo il passaggio nei pressi di importanti e antiche masserie. Qual è, a suo avviso, il tracciato più corretto da proporre come originale?
“La Brigata Amatori Storia e Arte, sorta nel 1921 a iniziativa del canonico Pasquale Camassa, dal 1935 sezione di Brindisi della Società di Storia Patria per la Puglia, ha prodotto al riguardo molti studi e ricerche sia con dedicate pubblicazioni che con saggi editi in “Archivio Storico Pugliese” e “Taras”. A questi vanno aggiunti i lavori pubblicati in “Ricerche e Studi”, prestigiosa rivista a suo tempo edita dal museo “Ribezzo”. Che la via Appia, nel tratto fra gli attuali centri di Mesagne e Brindisi, insistendo su preesistenze messapiche, coincidesse con l’asse viario noto come strada vecchia per Mesagne, attraverso le contrade di Campistrutto, Mazzetta, Belloluogo, Cantalupi, Baroni, Casignano, Spada, Scalella, Cillarese, è dato acquisito dalla ricerca storica almeno dal XVI secolo; Andrea della Monaca, riprendendo una tesi avanzata già da Giovanni Maria Moricino (1560-1628) e Girolamo Marciano (1571-1628), rilevava: “Vogliono alcuni, che su la via Appia lungi da Brindisi intorno a diece miglia su certi colli, che hoggi chiamano Campiediisfatto, sia stato il pretorio militare; accompagnano e confermano, questa tradittione molte rovine antiche che vi si veggono, e un numero grande di pozzi, che vicinissimi l’uno all’altro vi si vedono sin’al presente giorno, e appare ciò esser vero dall’istesso nome di Campie, quasi alloggiamento campale, o del Campo, o Esercito, che è l’istesso; oltre che il sito è ottimo per soldatesche, per esser abbondantissimo di vettovaglie, d’acque, e di quanto vi era di bisogno, per mantenimento d’eserciti, la strada anco, che di là conduce a Brindisi, è piana, commoda e facile, e si fa in poche hore, non solo da’ cavalli, ma anco da’ pedoni”. Da masseria Cillarese, l’Appia dirige verso Brindisi con asse di penetrazione costituito dall’odierna via Cappuccini ai cui margini era un’estesa necropoli, molto ben documentata anche se con scarse persistenze a vista. In quest’ultimo tratto l’Appia era affiancata dall’acquedotto che traeva origine da Pozzo di Vito; insieme alla Regina Viarum dirigeva verso il decumano principale costituito dalle attuali vie Santabarbara-Tarantini. L’acquedotto, all’altezza dell’aragonese torrione dell’Inferno, piegava per raggiungere, in pendenza, le vasche limarie i cui resti sono tuttavia osservabili su via Cristoforo Colombo. L’Appia proseguiva invece, dopo aver fiancheggiato l’anfiteatro, verso il già citato decumano attraverso la porta occidentale forse sul sito della medievale ianua Sancti Sepulchri. L’antica via per Mesagne, su un tracciato messapico su cui si svilupperà quello romano, è, con tutta evidenza, di grandissimo interesse, archeologico, storico, paesaggistico, enogastronomico e può costituire il fulcro di un cammino di grande suggestione. I beni culturali, espressione del rapporto dell’uomo col territorio, trovano compiutezza in un asse che, ancora una volta, focalizza la funzione della città. Mi riferisco al viaggio: le consolari romane, l’Appia e la Traiana con la loro prosecuzione verso Valesio e Otranto, sono state percorse per secoli da pellegrini, mercanti, guerrieri diretti o provenienti da Oriente. Sull’altra sponda su una direttrice transbalcanica quale l’Egnazia, i prodotti dell’Adriatico penetravano nell’interno della penisola balcanica e nell’Oriente, e quelli d’Oriente a loro volta scendevano verso l’Adriatico e l’Occidente”.
Dal momento che lei è non solo un grande conoscitore delle masserie in agro di Brindisi ma, grazie all’opera scritta in due volumi quasi trent’anni fa con il compianto Angelo De Castro, edita dagli “Amici della De Leo”, ha contribuito in maniera determinante a diffonderne la conoscenza ed a far si che la memoria di molte di loro, di cui restano poche tracce, non andasse smarrita, quale antica masseria andrebbe salvaguardata per prima e perché?
“Mi sia consentito intanto di cogliere questa opportunità per ricordare l’amico e valentissimo studioso prof. Angelo De Castro, instancabile operatore culturale; molte sono le masserie che proporrei per un recupero. Limitandomi a quelle di pubblica proprietà in agro di Brindisi, segnalerei Pignicedda e Belloluogo che documentano come, nel periodo post-unitario, venendo progressivamente meno il ruolo delle masserie nei processi di trasformazione della produzione agricola, venissero spesso a rideterminarsi quali residenze per i proprietari, in questo caso i Cocotò per Belloluogo, ove potrebbe aver sede un centro di documentazione sull’Appia, e i Giannelli per Pignicedda. Sotto altro aspetto masseria Villanova, già parte del grande complesso abbaziale italo-greco di Santa Maria de Ferorellis, restaurata ma non utilizzata, potrebbe diventare un punto di riferimento per l’area delle Saline come masseria Colemi potrebbe esserlo per il bosco di Santa Teresa. Va ricordato che in altri complessi, potrebbe finalmente aver sede un museo di arti e tradizioni popolari che in Brindisi manca. Vorrei sottolineare l’importanza dei centri di documentazione perché tracciare un percorso non significa semplicemente mettere un cartello”.