Di Marina Poci per Il7 Magazine
L’immaginario collettivo racconta se stesso anche attraverso fotografie che il tempo rende iconiche: così, quando si pensa agli anni Ottanta, alla Milano da bere, alla diffusione del prêt-à-porter e alla leadership femminile che piano a piano è andata imponendosi nel mondo finanziario e aziendale, può venire in mente soltanto una foto, scattata da Aldo Fallai e attualmente esposta nella mostra “Aldo Fallai per Giorgio Armani, 1977 –2021”, allestita nello “Spazio Armani Silos” del capoluogo meneghino sino al 24 agosto, con una scelta di duecentocinquanta immagini rappresentative della collaborazione tra i due.
In quello scatto c’è la modella brindisina Antonia Dell’Atte, all’epoca poco più che ventenne, che dello stile asciutto e basico di Armani, di quegli anni rampanti e del nuovo modello femminile che si affermava è icona, archetipo e paradigma: il suo volto affilato di donna contemporanea che guarda oltre, eppure conserva il legame con il presente, rappresentato dai giornali che stringe tra le mani guantate; il collo snello e affusolato, simbolo di un’estetica anticlassica che più che alle proporzioni punta al carattere; il taglio corto e folto dei capelli scuri, che ne ha fatto un’icona di bellezza risoluta ed essenziale senza sfregiarne la femminilità. Mentre gli uomini, sullo sfondo, appaiono nebulosi e sfumano “nell’indistinto” (cit.), in mezzo alla folla di via Durini, proprio sotto gli uffici della maison, emerge lei con i suoi tratti algidi e definiti, perfetti per indossare i tailleur di taglio maschile e le prime giacche destrutturate create da Re Giorgio.
Quello scatto e i molti altri che lo seguirono, frutto di un sodalizio irripetibile tra il genio di Armani e il maestro fiorentino della fotografia, consegnano Antonia Dell’Atte alla storia della moda mondiale e rendono giustizia a una donna che i tempi li ha non soltanto anticipati ma addirittura plasmati a immagine e desiderio di sé e delle altre donne con cui condivide senso pratico e volontà di ferro, la madre tra tutte.
Partita da Brindisi nel 1980 “con una mano davanti e l’altra dietro” (così definisce le sue precarie condizioni economiche al momento dell’arrivo a Milano) e con una valigia da emigrante gonfia di “sogni, speranze e illusioni”, oltre ad essere stata una delle più grandi modelle italiane, Dell’Atte ha lavorato in televisione sia come attrice (celebre, in Drive In, il suo personaggio della top model elegante e salottiera che ogni tanto si lasciava andare al dialetto delle origini) che come opinionista e giurata in programmi di successo, in Italia e in Spagna. Proprio tra i due Paesi si divide da quando, a metà degli anni Ottanta, ha sposato il nipote del re, il conte Alessandro Lecquio di Assaba y Torlonia, dal quale ha avuto il figlio Clemente Lorenzo, anche lui modello. Il legame con la Spagna, nonostante il matrimonio sia finito da un pezzo (per le infedeltà di lui e un certo atteggiamento possessivo e morboso dell’uomo nei suoi confronti) è comunque fortissimo, testimoniato dalla scheda telefonica spagnola dalla quale ci contatta dopo un primo approccio per messaggi.
Immaginare, con Antonia Dell’Atte, una conversazione tipo in cui l’intervistata a domanda risponde è una pia illusione: è lei che orienta il corso del dialogo e ci conduce dove più le interessa e più le piace. Sentirla raccontare è compiere un viaggio nel tempo: mantiene una connessione potente con la Milano da bere dei favolosi Anni Ottanta, eppure non si è mai allontanata realmente da Brindisi, che torna irresistibile in qualche intercalare simpatico, soprattutto quando deve scandire bene concetti che le stanno particolarmente a cuore.
Facciamo finta che i brindisini non sappiano niente di lei: tre aggettivi per descriversi.
“I brindisini, e non solo, di me sanno parecchio… ma se proprio insiste: autentica, determinata e credibile”.
Cosa c’era nella sua valigia, quando è partita da Brindisi per raggiungere Milano? Sogni? Progetti? I taralli, magari?
“C’erano prima di tutto la mia caparbietà e la mia dignità. E sa che le dico? Dopo tanti anni so con certezza che ci sono ancora. Sono partita con i miei lunghi capelli scuri, come una ragazza di sani principi e ricca dei valori che mia madre mi aveva trasmesso. Nel frattempo sono diventata una donna, i capelli li ho tagliati, ma i valori e i principi sono ancora qui. Mi sono detta: parto e vedo come le cose si evolvono; se non dovesse andare bene, ho sempre una casa a cui tornare”.
Sembra che sia andata molto bene.
“Non immediatamente. Negli anni Ottanta le modelle italiane non erano molto richieste, nell’ambiente spadroneggiavano le top model americane. Prima che nella mia vita arrivasse il grande Giorgio, per mantenermi e mandare a casa due lire, ho fatto anche gli show-room nei negozi. Ma quella palestra mi ha fatta diventare ancora più forte. Non ho mai cercato scorciatoie, ho sempre camminato sulla strada stretta. Posso dire, senza che nessuno lo neghi, che non mi è mai stato regalato niente. Sono sempre stata una donna libera e indipendente, non ho mai avuto padrini. Semmai, angeli”.
Che sembianze hanno questi angeli?
“Li immagino come li descrive Battiato: “esseri immortali caduti nelle tenebre, destinati a errare nei secoli dei secoli fino a completa guarigione”. Nella vita ho incontrato angeli dalle ali benedette, ma anche angeli precipitati negli inferi. Se siamo benedetti, allora è nostro compito curarci e curare gli altri, per tornare al posto da cui siamo arrivati”.
La moda è stata una cura per lei?
“Assolutamente sì. Forse, più che la moda in sé, curativo è stato Giorgio. Quando ho cominciato, non sapevo se ero bella, se ero brutta, sin dove potevo arrivare e quanto potevo chiedere a me stessa: Armani mi ha dato quella sicurezza di cui avevo bisogno”.
Lei di Giorgio Armani è considerata la musa: è la prima cosa che viene fuori quando si googla il suo nome.
“Musa mi sta bene, lo sono stata per molti anni. Quello che non sopporto è quando mi definiscono diva. Piuttosto, direi divina”.
Qual è la differenza?
“Le dive fanno i capricci. Io, venendo da una famiglia umile, i capricci non me li sono mai potuti permettere, né nella moda, né nella vita. Però mi sento divina, spirituale, trascendente”.
E quando si trova davanti a una persona capricciosa, come reagisce?
“Con molta durezza. Che si tratti di uomini o di donne, li metto in riga. In genere i capricci sono l’unico modo che le persone mediocri hanno per farsi notare. Io, fortunatamente, la penso come Giorgio Armani: “La vera eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”. Beh, le posso assicurare che di me si ricordano”.
Cosa ricordano di lei?
“Penso di essere stata una fonte di ispirazione per tutte le donne che non scendono a compromessi e non si fanno calpestare. Ma, più in generale, mi sento un esempio per tutti coloro che sono convinti che nella vita si può avere successo anche restando umili e onesti. Forse non ci si arricchisce, ma ci si può guardare allo specchio con serenità, come mi ha insegnato mia madre. È questa la mia vera modernità”.
Nei suoi ricordi sua mamma è sempre molto presente: è stata una donna che in un certo senso ha precorso i tempi, ha lavorato, ha avuto il coraggio di lasciare il marito, le ha insegnato l’amore e non il rancore. C’è molto di sua mamma in lei.
“Mia madre è stata una pioniera: quando non esisteva il divorzio, in una piccola città del Sud Italia, non si è fatta mettere i piedi in testa. Noi figli l’abbiamo incoraggiata, sostenuta e anche applaudita per il suo coraggio. E le siamo grati perché non ci ha mai fatto odiare nostro padre. Non è stata immortalata da una foto di Fallai come lo sono stata io, ma è una vera donna moderna, alla maniera di Armani”.
La foto di Antonia Dell’Atte sul manifesto di questa mostra così prestigiosa è il vero tributo alla sua modernità di modella e di donna.
“È stato molto emozionante sapere che il volto simbolo della mostra sarebbe stato il mio. È un riconoscimento al mio lavoro, ma anche al rapporto personale che mi lega a Giorgio Armani, un uomo leale e generoso, oltre che un genio della moda. In quelle foto Fallai ha catturato lo spirito dello stile Armani, ma anche molto del mio carattere: l’essenza, non l’apparenza, della donna che è protagonista, e non comparsa, della propria vita. Per questo tengo molto che a vederla siano i ragazzi e le ragazze di oggi: da quelle foto, e da ciò che rappresentano, si può imparare ad e-s-s-e-r-e”.
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