Brindisi, la voce dei migranti nei dipinti di Bakary

di Marina Poci

La parola che utilizza più spesso per definirsi e dare voce alla sua storia è “fortunato” e, in quelle quattro sillabe scandite con la genuina purezza di chi alla propria buona sorte fa ancora fatica ad abituarsi, ci sono l’amore per il fratello che lo ha sottratto ad un destino che appariva già dato, la riconoscenza per l’uomo di nazionalità araba che lo ha salvato da chi voleva sfruttarlo, il rispetto per gli operatori della cooperativa SAI “Rinascita” di Mesagne, l’affetto per gli amici e i compagni di classe, l’orgoglio per il riconoscimento ricevuto qualche settimana fa direttamente dal questore di Brindisi Annino Gargano, che ne ha premiato la capacità di integrazione nella comunità mesagnese.
Fortunato, dunque, si definisce… eppure Bakary Manneh, giovane uomo di origini gambiane arrivato a Brindisi il 12 giugno 2016 e adesso a tutti gli effetti cittadino messapico d’adozione, la generosità che la vita gli ha riservato l’ha conquistata con morsi coraggiosi e risoluti e intende continuare a meritarla.

Se vale il detto classico che la fortuna favorisce coloro che osano, infatti, il giovane Bakary ne incarna alla perfezione lo spirito: come non essere degno di un futuro migliore quando, ad appena tredici anni, è salito su una barca malconcia sopportando per quattro interminabili giorni il rischio di morire in mare, pur di approdare su una costa più propizia di quella abbandonata?
Con il desiderio di imbarcarsi per raggiungere l’Italia, una volta che avessero racimolato il denaro sufficiente, il giovane è arrivato in Libia dal suo amato Gambia a bordo di pullman e furgoni di fortuna insieme al carissimo fratello maggiore con il quale il destino, così prodigo con Bakary, non è stato altrettanto benevolo: “Mio fratello purtroppo non ce l’ha fatta, è morto in Libia”, confida tutto d’un fiato. “Ha lavorato molto duramente per mettere insieme i soldi che servivano per pagare il nostro viaggio, poi un giorno non è rientrato a casa. All’inizio non mi sono preoccupato più di tanto, poteva capitare che si assentasse per una giornata o due. Poi ho saputo la verità. Abitavamo in un posto il cui proprietario, sino a quando mio fratello era in vita, è stato correttissimo con me. Non appena ha saputo della sua morte, ha iniziato a trattarmi male. Così sono scappato, con l’aiuto di un uomo arabo che mi ha preso con sé e mi ha permesso di salire sulla barca che mi ha portato da voi”, continua.

Affidato dapprima ad una comunità sanvitese per minori, successivamente alla cui chiusura è stato trasferito in una struttura brindisina del rione Perrino, Bakary è arrivato quando è iniziato lo “smistamento” (espressione scellerata, ma tant’è…), in altre province e regioni, degli ospiti lì trattenuti. A lui è toccata in sorte una destinazione piuttosto vicina, la cooperativa mesagnese “Rinascita”, appartenente al Sistema Accoglienza Integrazione, costituito dalla rete degli enti locali che realizzano progetti di “accoglienza integrata” per richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione sussidiaria o umanitaria. Il lavoro degli enti SAI va molto oltre la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico: è quanto è stato fatto per il giovane Manneh, che si è diplomato al liceo artistico “Edgardo Simone” di Brindisi, attualmente lavora presso una paninoteca di un grande centro commerciale della zona ed è in attesa di iniziare a frequentare le lezioni del suo primo anno accademico presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce.

“Quando ripenso alla mia vita in Gambia, non mi sembra vero di aver realizzato così tanto. Nel mio Paese non esiste la scuola pubblica: se le famiglie non sono in grado di sostenere le rate semestrali, i figli vengono mandati a lavorare anche se sono ancora molto piccoli. Io ho frequentato la scuola sino a quando mio fratello non mi ha fatto il grande regalo di darmi l’opportunità di cambiare completamente la mia vita”, prosegue Bakary, il cui racconto grondante di gratitudine tocca con timida fierezza anche la sua esperienza scolastica italiana. Diplomatosi con il lusinghiero voto di 81, descrive un esame di maturità molto temuto che alla fine si è rivelato appagante, in virtù di una prima prova di italiano (ha svolto la traccia di attualità: “Elogio dell’attesa nell’era di WhatsApp”) il cui esito è stato estremamente gratificante. La passione vera, però, resta la pittura, attraverso la quale riesce ad esprimere pienamente il suo mondo interiore. La sua arte, nella quale emerge anche la traumatica esperienza di migrante e le storie di vita delle persone che gli sono care, è arrivata persino al commissariato di Mesagne, in cui ha realizzato un’originale riproduzione del logo della Polizia che campeggia sulle pareti dell’ingresso della sede. “Ho da sempre la passione per la pittura, perciò, una volta in Italia, la scelta della scuola superiore è stata quasi obbligata. I professori delle medie, che avevano intuito le mie potenzialità e mi hanno aiutato a valorizzarle, sono stati d’accordo. Ho un ricordo bellissimo dei miei anni liceali: non ho soltanto appreso la lingua italiana e un sacco di cose che mi saranno utili per tutta la vita, ma ho anche imparato a interagire con persone delle quali non conoscevo la cultura e temevo il giudizio. Per chi arriva da fuori in età adolescenziale, l’ambiente scolastico è fondamentale, perché facilita l’inclusione e lo scambio. I miei compagni mi hanno aiutato tantissimo e non li ringrazierò mai abbastanza per questo. Così come devo ringraziare tutti gli operatori del centro “Rinascita”, che hanno lavorato per la costruzione del mio avvenire e ancora adesso mi supportano in ogni esigenza, anche nella richiesta, che ho appena presentato, di borsa di studio per l’Accademia. Chi è stato destinato a vivere in semplici dormitori, o a frequentare progetti meno inclusivi, sicuramente non può parlare con il mio stesso entusiasmo dell’arrivo in Italia. Però il primo grazie va a mio fratello: senza il suo coraggio la mia storia sarebbe stata diversa”.
Il sacrificio del fratello, dunque, è ciò che ha messo in moto quel circolo virtuoso di eventi fortuiti, possibilità colte al volo, forza di volontà, coraggio e impegno che è adesso la vita di Bakary Manneh, il cui sogno, quando ha lasciato patria e affetti, non era ancora perfettamente definito: “Non saprei dire quale fosse il mio sogno quando mi sono allontanato. Pensavo che sarei tornato presto a casa e avrei avuto bei ricordi da condividere con i miei amici. Prima di allora non avevo mai viaggiato fuori dal mio piccolo paese, ero entusiasta di poter dire a tutti di avere visto un pezzo di mondo. Mio fratello non mi ha spiegato tutto immediatamente, temeva che io spifferassi il suo piano a nostra madre e non voleva che lei si preoccupasse. Che la sua intenzione era quella di lasciare l’Africa, per garantire a entrambi un futuro migliore, l’ho capito soltanto quando siamo arrivati in Libia. Però posso dire cosa sogno adesso: voglio completare gli studi in Italia, per questo sto cercando di modificare il mio permesso di soggiorno, ottenuto per motivi lavorativi, sostituendolo con il documento per soggiornanti di lungo periodo, di durata decennale. Poi, una volta laureatomi, voglio mettere a disposizione del mio popolo tutto quello che avrò imparato qui. Vorrei veder crescere il mio Paese, in tutti i sensi possibili”, precisa Manneh.

In Gambia ci sono ancora la mamma e la sorella maggiore, con le quali ha contatti quotidiani tramite videochiamate su WhatsApp e che spera di vedere di persona al più presto. Cominciano ad essere davvero troppi, gli anni di lontananza dalla famiglia e dall’Africa, per questo giovane uomo partito bambino, che nel suo Paese vuole tornarci per scriverne una storia migliore. Adesso che studia in Italia, lavora per garantirsi un sostentamento dignitoso e coltiva la sua passione per la pittura, il sogno di Bakary Manneh si chiama Gambia.