Da Storti a Edi Rama: riecco l’Armata «Brancarovigno» nel nuovo libro di Mimmo Ciaccia

di Marina Poci per il7 Magazine

Ci sono i ricordi d’infanzia, i luoghi dell’anima e i succulenti pasti improvvisati durante le soste delle tante trasferte su e giù per l’Italia (e oltre) a consegnare targhe, portare e ascoltare testimonianze, dimostrare concreta solidarietà con le raccolte fondi. Ci sono le ostinate conversazioni sul calcio, i soprannomi improbabili a personaggi bizzarri, il respiro pieno della libertà e gli stravaganti amici con cui nel 2009, fondando “Bici e Solidarietà”, ha deciso di dare forma associativa al sogno di far camminare, sulle due ruote della sua bicicletta, impegno civile, spettacolo, cultura, volontariato e beneficenza. Si intitola “Ci troviamo al Bar del Nord – Storie di biciclette ma non solo” il secondo – atteso – libro del cinquantottenne carovignese Mimmo Ciaccia che, dopo il successo d’esordio di “Superman ha una Graziella”, si cimenta nuovamente con la scrittura per consegnare ai lettori, al termine di una lunga pedalata collettiva che è traversata consapevole nello spazio e nel tempo, una tavola a cui, idealmente, il raffinato Pier Paolo Pasolini, censurato a Grottaglie con il suo “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, siede accanto ai calciatori in erba del quartiere Tamburi di Taranto, ricoperti a fine partita della polvere delle scorie del centro di produzione dell’Ilva.

Il risultato è qualcosa a metà tra il memoriale e la narrativa di viaggio, un viaggio che unisce personaggi di notevole richiamo mediatico (come Giovanni Storti del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo e il primo ministro albanese Edi Rama, incontrato in occasione dell’anniversario dello sbarco dei suoi connazionali a Brindisi,) ai semisconosciuti Angelo Gorgone, Oronzo Lisi, Giuseppe Masciullo, i braccianti salentini uccisi dal regio esercito a Galatina nel 1903 durante le proteste popolari contro lo sfruttamento nei campi.
Con uno sgangherato gruppo di amici in sovrappeso cui scherzosamente ha appioppato l’epiteto di “Armata Brancarovigno” (che è parodia di una già parodia), Mimmo Ciaccia da anni macina chilometri in bicicletta alla ricerca di storie in cui il dolore e l’ingiustizia si concedono la possibilità di evolvere in bellezza, la natura si compenetra con la cultura e la scoperta dell’umanità, nelle sue accezioni più disparate, restituisce senso compiuto alle pedalate.
Descrivendosi da sé in uno dei primi capitoli del libro, l’autore ci solleva dall’impegno di presentarlo: “faccio il consulente del lavoro (chi lo avrebbe mai detto) per professione, il ciclista ignorante per hobby, ogni tanto scrivo e c’è quel mio amico pirla milanese che mi intorta, si fa intortare e mi sprona a raccontare, c’è la famiglia, il lavoro, ci sono gli amici”. Eppure, Mimmo Ciaccia è molto più di questo: è un visionario generoso e fantasioso, capace di ritrovare l’Accattone pasoliniano nello sguardo torbido di vino di un pensionato pugliese che tracanna rosso di prima mattina, uno scrittore spiritoso quanto basta a far curvare all’insù ogni poche righe la bocca di chi legge le sue parole, un uomo sinceramente commosso dall’abbraccio con Matilde, la sorella del caposcorta di Giovanni Falcone, nella periferica “Piazza Antonio Montinaro” di Calimera, ma anche un eterno ragazzino che si emoziona raccontando delle rovesciate di Bonimba.


La sensazione è che, soltanto raccontando dei viaggi già compiuti da “Bici E Solidarietà” ci siano pedalate e aneddoti sufficienti a scrivere altri dieci libri.
“Ci stiamo preparando a girare una fiction! Naturalmente scherzo, ma in effetti abbiamo un’attività talmente varia che di storie da raccontare ce ne sarebbero tantissime. E tutte partono dal Bar del Nord del titolo, di proprietà del mio amico Tonino, anche lui ciclista dilettante, che ha addirittura fondato una squadra ciclistica di pensionati denominata Gruppo Imps”, con la “m”, per cui, come si può immaginare, si sprecano le battute”.

Qual è la storia editoriale di “Ci troviamo al Bar del Nord”?
“La stessa di “Superman ha una Graziella”: il grande Adalberto Scemma, uno dei più grandi giornalisti sportivi italiani, nonché docente di letteratura sportiva all’Università di Verona, lo ha letto e ha deciso di inserirlo nella sua collana “La coda del drago”, che raccoglie belle storie di sport, per la casa editrice “Artifices – Edizioni Zerotre”. Dei diciotto libri che compongono la collana, “Superman ha una Graziella” è quello che ha venduto più copie, per cui abbiamo deciso di riprovarci con questo secondo volume. Mi auguro che anche questo abbia successo, perché, esattamente come la scorsa volta, i proventi andranno in beneficienza: le vendite di “Superman” hanno sostenuto la fondazione “Nadia Toffa” e in particolar modo, per volontà della madre della Iena bresciana scomparsa nel 2019 proprio per un tumore, il reparto di Oncoematologia Pediatrica “Nadia Toffa” dell’ospedale Santissima Annunziata di Taranto. In questa occasione, invece, devolveremo il ricavato all’associazione “Senegol”, in memoria della volontaria Linda Cattaneo, che si occupa di tutelare il diritto al gioco dei bambini e che ha intenzione di costruire in una zona particolarmente povera del Senegal un campo di basket”.

Questo libro arriva a circa due anni dal primo. Il suo rapporto con la scrittura si è modificato nel frattempo?
“Il primo libro è un vero e proprio diario di viaggio, nel quale prevalgono le descrizioni dei luoghi e il racconto della nascita del nostro gruppo. In questo secondo, mi sono soffermato prevalentemente sulle storie delle persone incontrate e dei personaggi che abbiamo ritrovato nei racconti di chi vive adesso nei loro luoghi (per esempio Andrea Pazienza e Carmelo Bene), cercando di comunicare ai lettori le emozioni provate da me e dai miei compagni durante le varie tappe. Penso di essermi aperto di più e di avere dato anche un taglio più goliardico, soprattutto perché alcune storie, davvero tristi, avevano bisogno di essere sdrammatizzate”.

Uno dei capitoli più interessanti e ben scritti è quello relativo alla presunta presenza del Sacro Graal, il calice a cui Cristo bevve nel corso dell’ultima cena e nel quale fu raccolto il suo sangue dopo la crocifissione, in Basilicata, ad Acerenza, dove vi siete recati immaginando di fare lo scoop del secolo. Lei ha trovato il suo Sacro Graal? Possiamo dire che sia la bicicletta?
“Penso di sì: la bicicletta come mezzo, non come fine”.

Mezzo per cosa?
“Per raggiungere le persone, raccontare le loro storie e condividere amore per la natura, divertimento e solidarietà”.

Qualche parola, o un aneddoto, o un soprannome (di quelli che lei è tanto bravo a dare) per ognuna delle persone che le elenco.
“Impegnativo, ma ci provo”.

Giovanni Storti del trio Aldo, Giovanni e Giacomo.
“L’attore della porta accanto. Una star sul palcoscenico e una persona di grande semplicità nella vita quotidiana. Lui e suo fratello Luciano, grande sostenitore di “Bici E Solidarietà” e amico leale e disponibile, sono una risorsa incomparabile per il nostro gruppo”.

Saturno Brioschi, attore e autore teatrale e televisivo, uno dei fondatori dello storico cabaret Zelig di Milano.
“Brio è il nostro grande ispiratore, un vulcano di idee, colui che immagina e organizza la gran parte dei nostri viaggi e che si è dato un gran da fare per la promozione del libro al Nord, dove altrimenti difficilmente saremmo arrivati. È il classico milanese meticoloso e rompiscatole che vuole che ogni cosa sia fatta alla perfezione, laddove noi amiamo improvvisare. Ma senza le sue capacità organizzative e la sua precisione la maggior parte delle nostre iniziative non sarebbe esistita. A parte questo, per me è un amico carissimo da quasi trent’anni”.

Adalberto Scemma, giornalista e ideatore della collana a cui appartengono i suoi due libri.
“Un fuoriclasse. Una persona di immensa cultura e di grande generosità. Quando lessi il suo libro “Gli invincibili di Bonimba”, in cui ricostruisce la sua giovinezza nella squadra mantovana del Sant’Egidio insieme al mio idolo di sempre Roberto Boninsegna, lo contattai per organizzare una presentazione a Carovigno. Fu talmente entusiasta che garantì anche la presenza di Boninsegna, che poi venne meno per un problema di salute. La mia delusione fu infinita. Per farsi perdonare, nonostante non avesse alcuna colpa, Adalberto ci mandò una cinquantina di libri che noi vendemmo destinando il ricavato al reparto oncologico dell’ospedale di Lecce”.

Gianmarco Di Napoli, direttore de Il7 Magazine, una delle persone più citate nel suo libro.
“Il Califano del giornalismo. Duro nella denuncia delle ingiustizie, sensibile, romantico e malinconico nel raccontare le storie delle persone. Mi emoziono ogni volta che lo leggo. Ancora non capisco perché non lavori alla Rai”.

Riesce a fare uno sforzo di immaginazione e a pensare alla sua vita senza la bicicletta?
“Devo ammettere che ultimamente mi capita spesso, sarà perché sto invecchiando e il pensiero di eventuali problemi fisici si affaccia alla mente con più frequenza. Se non potessi più andare in bicicletta? Sarebbe una bella sfida, ma la mia fantasia non ha limiti: inventerei comunque qualcosa che unisca amicizia, divertimento e beneficenza, anche se fossi costretto a stare seduto in casa. Al centro di tutto ci sono e resterebbero le persone, non la bicicletta”.

Le ultime parole di questo secondo libro sono dedicate alla serata di presentazione del primo. Lei chiude scrivendo “Cosa voglio di più dalla vita? A posto così, grazie”. Ma ci sarà un sogno ancora non uscito dal cassetto…
“A costo di sembrare presuntuoso, sono sincero quando dico che va bene così. Cerco sempre di prendere il meglio dalla vita e di godere delle piccole cose. Mi bastano la mia famiglia, i miei amici, la possibilità di andare in bicicletta alla scoperta di bei posti e di storie interessanti”.
Pensavo che avrebbe risposto “portare Boninsegna a Carovigno”, vista la delusione del precedente appuntamento mancato…
“Magari! Non credo che sarà facile convincerlo a venire a Carovigno, so che è molto restio a spostarsi… ma posso sempre prendere la mia bicicletta e pedalare sino a Mantova!”.