Dal Moplen al Pulivetro: la plastica trovata sulla spiaggia diventa archeologia

di Sonia Di Noi per il7 Magazine

Quando gli odori acri della pineta si tramutano in folate di vento freddo, verso la fine dell’estate, e il maestrale spira forte da nord, il mare si gonfia di ricordi che non t’immagini – è proprio il caso di dirlo -, rovinando sulla battigia. Questo è il tempo in cui entrano in azione gli operatori e i volontari del progetto Archeoplastica, che si possono senz’altro definire i rigattieri del Mare Nostrum, in paziente perlustrazione di spiagge libere dai bagnanti per raccogliere e catalogare veri e propri reperti di inquinamento da plastica: esemplari dal deep spazzatura che solo nei secoli dei secoli potranno essere smaltiti nel ciclo di degradazione naturale. Tutti quelli recuperati dal 2018, tuttavia, compongono una serie di spazi espositivi virtuali del museo in 3D pubblicato sul sito web www.archeplastica.it., con l’obiettivo di sensibilizzare sui temi dell’inquinamento e promuovere un uso più consapevole e responsabile del materiale plastico.

Ideatore e fondatore del progetto di “antiquartiato marino” è l’ostunese Enzo Suma, 41 anni, guida naturalistica certificata, escursionista, fotografo e cercatore di ulivi secolari, con una laurea in Scienze Ambientali presso l’Università Ca’ Foscari a Venezia, tornato in Puglia dopo una serie di esperienze professionali e di studio che ha inteso mettere al servizio della valorizzazione delle aree rurali della propria terra, impegnandosi nell’associazione Millenari di Puglia, che, dal 2013 ogni fine settimana organizza escursioni naturalistiche in Valle d’Itria, e in un’estensione territoriale dal nord al basso Salento, in luoghi spesso poco conosciuti ma di grande valore anche paesaggistico e archeologico.

Quattro anni fa, Suma si è appassionato a questa caccia al pattume plastico, in una sorta di tracciamento temporale attraverso le tipologie di rifiuti che il mare restituisce, denunciando, sì, l’insistenza di un degrado ambientale che inficia l’intero ecosistema, nonostante le attuali ampie campagne di sensibilizzazione in merito, ma realizzando più o meno consapevolmente uno studio sociologico, sui mutamenti e le tendenze che hanno interessato costume e società negli ultimi decenni. Se la nostra coscienza si modella sugli esempi genitoriali ricevuti nei “tempi morti” della loro funzione educativa, rifletteva Umberto Eco, possiamo ipotizzare che siamo anche il prodotto di ciò che consumiamo, e per ciò stesso, buttiamo via? Siamo stati, siamo ancora, i nostri rifiuti? Secondo Archeoplastica, pare proprio di sì, visto che ha trovato e raccolto sulle spiagge dell’Adriatico pugliese, da Bari a Lecce passando per Brindisi e relative province, prodotti di vario tipo risalenti a oltre cinquant’anni fa, all’alba quindi dell’epoca storica del “mastica e sputa” salutata dal boom economico, dai primi anni Sessanta, e poi ai Settanta e Ottanta, per arrivare ai giorni nostri. Un tripudio, quindi, di flaconi di detersivi e bevande, prodotti di bellezza, oggetti di uso quotidiano e contenitori di ogni foggia e colore, vecchi giocattoli spiaggiati che, non di rado, sui bagnasciuga si accompagnano pericolosamente a esemplari di fauna marina; plastiche di mezza età che portano fin troppo bene i propri anni, molte delle quali rimaste completamente intatte, tanto è vero che dalle tracce sulle confezioni si è potuto risalire, a volte con qualche difficoltà, a quando sono state prodotte, finanche pubblicizzate.

Ed è così che il mare rimanda schegge di un immaginario da tv in bianco e nero, che si colora man mano di nuovi languori pubblicitari, catodici e da rotocalchi. Chi negli anni Sessanta si spalmava beatamente le lozioni solari Coppertone, con sulla confezione la bimba cane munita, sappia che noi qui, ora lo sappiamo, per esempio. I vari tipi di creme solari sponsorizzate nel corso dei decenni precedenti sono infatti il pezzo forte delle teche del museo di Archeoplastica, abbandonate in tutta probabilità da bagnanti per i quali il problema del trattamento dei rifiuti non era nemmeno un’ipotesi (non che adesso…). L’avventura di Enzo Suma inizia proprio dal ritrovamento di una bottiglia integra di crema solare da cui si rilevava il prezzo in lire, scoprendo successivamente che risaliva all’inizio degli anni Settanta. La pubblicazione della foto del reperto sul suo canale Facebook ha suscitato immediato interesse e da lì è iniziato un tourbillon di operazioni di intelligence incrociato da più zone del Paese, soprattutto Toscana, Sicilia e Sardegna, appassionando sempre più gente al pattugliamento delle coste e alla ricerca storiografica di esemplari di plastica.

Il rischio di questa attività così come si è via via strutturata è quella di una specie di operazione nostalgia, indulgendo in una punta di inevitabile sentimentalismo: le confezioni di Vim rimandano a stanze da bagno e cucine odoranti di clorex, come pure quel sentore un po’ aggressive dell’ammoniasol contenuto nel lucidante vetri Ajax, alla modica cifra di lire 150, sul finire degli anni Sessanta; e quanti bimbi saranno stati “impanati” nel classico borotalco della premiata ditta Manetti e Roberts – Firenze; il profumo avvolgente dei capi delicati lavati con Lip e Neutro Sole con la forma del gomitolo rosa sulla bottiglia, nella reclàme del 1981; quante fidanzate, mamme, sorelle hanno amato le fragranze dei prodotti per il corpo della linea Avon in preziose confezioni rosa antico, e come non gingillarsi con la morbidezza frizzante delle chiome deterse con lo shampoo Campus, alla mela verde, negli anni Ottanta; la lacca Libera e Bella à la page nel 1973, quella col pallino magico, poi, ha probabilmente chiuso il cerchio tossico, vaporizzando propellenti chimici nell’aere prima di varare in mare il suo flacone, rinvenuto in ottimo stato di conservazione come tanti suoi omologhi. In tali non troppo chiare, fresche e dolci acque, a dispetto delle foto vacanziere che vediamo ogni anno su ogni social network – “lasciatemi qui”, con fondali cristallini su piedi – si sono arenati quindi profumi e balocchi, giocattolini d’antan, omini Playmobil e calciatori dispersi da chissà quale biliardino, forse proprio da un lontano bar sul litorale; contenitori di gelati e yogurt ed eserciti di cannucce. Veri e propri contenitori di memorie. Non solo, le mareggiate portano sovente rifiuti d’immigrazione, dalle coste greche e balcaniche. Come pure curiosi rinvenimenti di conserve, bottiglie contenenti verdure in salamoia, usanza tipicamente albanese, come si apprende.

Sorpresa e nostalgia per queste tracce di storia del consumismo costituiscono, però, essenzialmente un volano alla vera mission di Archeoplastica, ossia elaborare e realizzare progetti di educazione ambientale con le scuole del territorio, codificando questi strumenti di disturbo della vita del pianeta per “insegnare la delicatezza degli ecosistemi e il rispetto per l’ambiente”, spiega il fondatore.
Il progetto di Enzo Suma, intanto, procede speditamente dallo scorso anno, creando connessioni in tutta Italia attraverso ogni canale social disponibile, in particolare è lanciatissimo grazie ai video che realizza su Instagram, dove conta quasi 240 mila followers, ma è presente da poche settimane anche su TikTok, dove ha già raggiunto i 100 mila contatti. Sempre nel 2021 sono state allestite le prime mostre di rifiuti archeologici, esposti al castello di Bisceglie (Bat), nella torre costiera di Torre Colimena (Ta), nelle riserve naturali del litorale tarantino, alla fiera del salone nautico di Puglia a Brindisi, in un centro culturale a Palagianello (Ta) e in altri luoghi sparsi per la regione.
In questi giorni, Archeoplastica è presente nel celebre Palazzo Blu a Pisa, all’interno della mostra Oceani Ultima Frontiera, organizzata dal National Geographic; per quanto riguarda le collaborazioni con le scuole di alcuni comuni della provincia brindisina, già avviate l’anno scorso a Ostuni, Carovigno, San Vito dei Normanni, San Michele Salentino e Mesagne, sono riconfermate per l’anno scolastico 2022/2023. Gli istituti scolastici di Brindisi città, dove la raccolta differenziata è attualmente attestata al minimo storico, non è pervenuta in alcun modo.

Peccato, perché il Mare magnum dello spiaggiamento dei rifiuti in plastica sul nostro litorale si può perfettamente accostare a un paradigma efficace per i più piccoli, ma che anche i quarantenni di oggi ricorderanno volentieri: Conan il ragazzo del futuro, serie animata giapponese del 1978 ideata da quel genio del cinema mondiale d’animazione che è Hayao Miyazaki. Scenario post-apocalittico ambientato in un ipotetico 2030, al termine della Terza Guerra Mondiale che ha quasi totalmente cancellato la Terra a causa di un uso altamente spregiudicato della scienza e della tecnologia, ma il protagonista, nato dopo la catastrofe, vive su un’isola dove di tanto in tanto emergono resti dell’umanità ante guerra. Dalla consapevolezza dello scempio perpetrato dall’incoscienza di chi lo ha preceduto, nascerà la speranza di una vita nuova, in armonia con la natura.
“E mo’? Mo’ (anche meno!) Moplen!” semicit.