Dall’acquario marino didattico ai reperti del ‘500 riemersi da Punta Penne

di Alessandro Caiulio per il7 Magazine

L’occasione per tornare a visitare la sezione di archeologia subacquea del Museo provinciale Ribezzo, quella da me preferita, mi è stata data dalla inaugurazione del nuovo allestimento dell’acquario marino didattico – personalmente preferisco utilizzare il termine di acquario tematico – consistente in uno spaccato del fondo marino brindisino tipico della zona di Punta del Serrone, dove cinquant’anni fa fu recuperato un enorme piede bronzeo e venti anni dopo numerosi altri reperti, alcuni di spiccato valore artistico, oltre che storico, ormai universalmente conosciuti come i Bronzi di Brindisi.
Il caso, la fatalità o, forse, il dio Nettuno, l’antico signore dei mari, ha voluto che sotto al porticato del Ribezzo, nel mentre affluivano le autorità ed il pubblico interessato alla cerimonia di inaugurazione, giacessero poggiati, in attesa di essere spostati nel laboratorio/deposito del museo, i due falconetti (bocche da fuoco) recuperati nel mare di Punta Penne, a nemmeno dieci metri di profondità, lo scorso fine settimana. Altri reperti erano già all’interno a ricevere le prime cure del caso, in attesa delle più meticolose opere di restauro che verranno effettuate in seguito presso qualche istituto specializzato; fra questi due grossi anelli metallici di alcune decine di centimetri di diametro, due mascoli, cioè la parte posteriore amovibile degli antichi cannoni a retrocarica, ed altri pezzi metallici riconducibili ad un qualche armamentario vecchio di quattro o cinque secoli da meglio identificarsi da parte degli esperti cui saranno sottoposti. Il fatto che, da un primo esame, le cariche fossero inserite, lascia intendere che la nave in cui questi pezzi erano in dotazione, era nel bel mezzo di una battaglia o aveva l’intenzione di cannoneggiare la torre costiera quando si andò a schiantare/spiaggiare, sugli irti ed insidiosi scogli di Punta Penne, su cui hanno avuto infausto destino, nel corso dei secoli ed anche ai giorni nostri, decine e decine di imbarcazioni di ogni genere e stazza.

i due falconetti, ancora incrostati, in attesa di ricevere un primo trattamento di conservazione nei laboratori del museo

A lavorare attorno questi reperti l’archeologa di fama internazionale dell’Università del Salento prof.ssa Rita Auriemma – autrice di numerose pubblicazioni, saggi, cataloghi e vere e proprie carte archeologiche sottomarine di tutta la costa salentina – attorniata dal suo staff e da membri della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo, che ha la sua sede nazionale in quel di Taranto.

Va doverosamente precisato che il recupero in mare è avvenuto grazie al lavoro della sezione pugliese dell’ESAC, acronimo inglese che sta per Centro Euromediterraneo per l’Archeologia dei paesaggi costieri e subacquei, la quale ha avuto il supporto logistico della “Pelagia”, l’imbarcazione normalmente utilizzata dall’Università del Salento a fini scientifici, ma non nuova ad avventure e viaggi nel tempo e nella storia. Ad indossare maschera e pinne e con la bombola in spalla, anche la prof.ssa Rita Auriemma la quale, come spesso ama fare, ha seguito da vicino le delicatissime fasi del recupero in mare.
A dire il vero ed anche per chiarire ciò che impropriamente è stato detto da qualche parte, non si è trattato di una scoperta nuova effettuata in questi giorni, ma del recupero di pezzi segnalati in mare già da qualche anno, una decina almeno, in una zona in cui già negli anni ottanta erano stati riportati in superficie pezzi di artiglieria probabilmente riferiti allo stesso naviglio e che si trovano tuttora nei depositi di piazza Duomo. Un subacqueo di lungo corso, non nuovo a scoperte e segnalazioni archeologiche, già me ne aveva parlato da tempo ed anche io, personalmente, ho avuto occasione di vederli in fondo al mare, a lato del Lido Oktagona, con alla mia destra la scogliera semisommersa che porta verso la torre di Punta Penne; un luogo iconico, assieme alla vicina punta del Serrone, dove sono evidenti i tanti segni di antichi naufragi.

Stante la presenza dei reperti seicenteschi in bella vista è stato pressocchè inevitabile che, prima di salire verso il padiglione del museo dedicato all’archeologia subacquea, per l’inaugurazione dell’acquario marino, una piccola folla di curiosi a cui non si sono sottratte nemmeno le autorità presenti, ha voluto darvi una sbirciatina e la prof.ssa Auriemma ha personalmente illustrato a Sua Eccellenza il Prefetto di Brindisi, Carolina Bellantoni, non solo l’importanza di questo ritrovamento, ma anche la ricchezza sterminata, da questo punto di vista, del mare di Brindisi, segno tangibile della grandezza e fama della città e del suo porto, fin dagli albori della civiltà.

il recupero di uno dei falconetti a bordo della Pelagia

Ed è stato proprio il Prefetto Bellantoni, pochi minuti dopo, invitata dalla direttrice del museo, arch. Emilia Mannozzi, a togliere il velo che celava allo sguardo dei presenti sia l’acquario che la targhetta in cui si specificava che la riattivazione dell’acquario era stata resa possibile dall’Enel, nelle persone del Direttore della Centrale a carbone di Cerano, ing. Stefano Liguori, e del responsabile regionale degli affari istituzionali, dott. Angelo Di Giovine, oltre che per la promozione effettuata a questo scopo sia dall’ex direttore della stessa centrale, ing. Concetto Tosto, che dall’attuale Comandante della Capitaneria di Porto di Brindisi, il capitano di vascello Fabrizio Coke.

All’interno dell’acquario, separato dal resto della scenografia da una lastra di cristallo di adeguato spessore, a nuotare, per ora, solamente una donzella “Coris Juris” (volgarmente denominata cazzo di re per i variopinti colori della sua livrea), due sciarrani “Serranus scriba”, impropriamente denominati anche “perchie”, ed una Bavosa gattorugine, seminascosta sotto una pietra. Giustificabile sia la presenza, per ora, di pochi pesci in quanto l’acqua marina deve “maturare” per almeno un paio di mesi prima di poter essere in grado di ospitare in maniera salubre un’altra dozzina di esemplari di pescetti mediterranei. La loro estrema timidezza li ha portati, non appena la gente si è avvicinata all’acquario, a cercare un rifugio, in quanto non dobbiamo dimenticare che anche i pesci sono animali senzienti ed hanno bisogno di un giusto tempo per abituarsi alla cattività ed alla presenza delle faccione umane che si avvicinano per osservarli da vicino; il tutto nella speranza che non ci siano gli idioti di turno a spaventarli battendo con le nocche sul vetro ritenendo, in tal modo, di interagire con loro.

E’ evidente che questo acquario rappresenta solo una bozza, un’idea dell’ecosistema marino del litorale nord di Brindisi che, oltre ad accendere, come è giusto che sia, la fantasia dei bambini, può aiutare gli studenti ed i visitatori a meglio comprendere il contesto in cui sono stati scoperti e poi riportati alla luce alcuni dei tanti reperti conservati e messi in mostra nel museo. L’ideale resta sempre quello di andare a darci un’occhiata di persona, mettendo la testa sotto il pelo dell’acqua armati, quanto meno, di maschera e boccaglio.
Subito dopo l’inaugurazione gli ospiti si sono spostati nella sala dei bronzi dove, oltre ad essere stato allestito un piccolo buffet augurale, le autorità presenti hanno potuto ammirare questi famosi reperti, avendo la possibilità di interloquire con lo staff del museo e ricevere adeguate e soddisfacenti risposte sia riguardo i tempi del ritrovamento e le modalità dello scavo sistematico che riguardo la catalogazione e “l’identità” di alcuni dei reperti, come la statua di Polydeukion, identificata con certezza dalla prof. Katia Mannino, quella del console Lucio Emilio Paolo e le teste femminili di Annia Regilla, la moglie di Erode attico, il celebre e ricchissimo filosofo sofista ateniese di cui Polydeukion era l’allievo prediletto, e della bambina riconosciuta come Atehenias, che ne era la figlia.

Suggestiva e molto apprezzata è stata anche la ricostruzione in scala di una prua di nave al cui interno sono state adagiate una ventina di grosse anfore.
A fare da padrona di casa, ovviamente, l’arch. Emilia Mannozzi, la quale, sentita al riguardo, ha evidenziato, a beneficio dei nostri lettori, quanto segue: “L’intervento di ripristino funzionale dell’Acquario, oramai in disuso da oltre 10 anni, è stato fortemente richiesto sia dai visitatori sia dagli studenti. Attraverso l’ intervento di Mecenatismo culturale di Enel, ora è nuovamente fruibile al pubblico. L’acquario è parte integrante l’originario allestimento della Sezione subacquea, adiacente la Sala Bronzi. Riproduce una porzione dell’ecosistema marino del Mare Nostrum, in particolare quello di località Punta del Serrone. L’Italia possiede il 70% del Patrimonio culturale mondiale, spesso antico e quindi bisognoso di cura, conservazione e valorizzazione. Va da sé che anche le Amministrazioni Pubbliche più virtuose, possano riscontrare difficoltà nel reperimento delle risorse necessarie. In questo quadro, il Mecenatismo culturale delle Aziende in attivo diventa importante, non solo unilateralmente come mero sostegno economico, ma anche come reciprocità. Per l’Azienda potrebbe significare ricercare un nuovo brand, attraverso una nuova identità e riconoscibilità, migliorando la propria reputazione aziendale, quale chiave per il consenso ed il miglioramento o consolidamento dei risultati ottenuti. Fortunatamente il legislatore con la L. 83/2014 sull’Art Bonus, ha favorito la filantropia culturale prevedendo la defiscalizzazione al 65% ed il recupero delle somme attraverso crediti d’imposta. Per chi come il Polo BiblioMuseale di Brindisi/Museo Ribezzo, ha come obiettivo la Fruizione Pubblica ai sensi del Codice dei Beni Culturali, mi sembra che riuscire a soddisfare un maggior numero di visitatori o più semplicemente riuscire a suscitare l’incanto dello sguardo di un bambino, sia già un bel risultato!”