Don Vittorio Papadia: il mite in «Mito»

Percorrendo gli ampi spazi vuoti dell’aula liturgica e soffermandosi, magari ad osservare le fantastiche figure di putti angelici musicanti o attraversando la muta sacrestia, in cui troneggia, incelofanato, il bellissimo armadio settecentesco, il pensiero richiama alla memoria, colui il quale ha dedicato la sua vita di Pastore e la sua illuminata figura di intellettuale, alla cura delle anime e del luogo sacro.
Don Vittorio Papadia, mi racconta Tommasina Bottone, la signora che le è stata vicino in tutti questi anni e che lo ha assistito sino alla morte, rimarca come lui abbia vissuto per la Chiesa di San Paolo. Nel 1981 scelse di diventarne il rettore, lasciando l’incarico di parroco della Cattedrale, cui lo avrebbe voluto destinare l’Arcivescovo Settimio Todisco.
Don Vittorio, già religioso dell’ordine dei frati Cistercensi, finissimo erudito ben al di sopra delle sue tante lauree umanistiche, da quella in filosofia a quella in lettere, da quella in teologia alle specializzazioni in latino medioevale e filologia romanza, preferì restare educatore dei giovani, insegnando lettere e storia all’Istituto “O. Flacco”, dove di lui, i vecchi colleghi ed i suoi studenti conservano una delicatissima ed intensa ammirazione. “Un mito, mite – mi testimonia una sua ex allieva”. “Professore severo al punto giusto, diventava “giocherellone” – mi dice la Signora Tommasina – una volta lasciata la scuola. Don Vittorio era pronto al sorriso accogliente, al dialogo amichevole, ma capace di guidare ogni approfondimento e la Chiesa di San Paolo era il luogo privilegiato, dove si è costituita una comunità che condivideva, oltre la preghiera, anche la passione per la cultura.
In casa, trascorreva il suo tempo a leggere in continuazione, amava approfondire ed aggiornarsi, ma quotidiano era il suo impegno per gli animali, in particolare i suoi cani, che ospitava nella sua campagna. Non esisteva alcuna ragione che lo fermasse e nonostante negli ultimi tempi, consumato dalla sofferenza, ma senza mai lamentarsi, ero io a guidare la sua auto, per andare ad accudire i suoi amici a quattro zampe. Nonostante i dolori, ha rispettato la celebrazione della messa in San Paolo sino a poche settimane prima di morire. La sua ultima Alfa Romeo, una “Mito”, che come le precedenti alfa, guidava non per il piacere della velocità ma con la consapevolezza e la misura che gli suggeriva la prudenza. Ricordo ce neppure me ne accorsi e superai i limiti di velocità senza accorgermi, ma decisi da quel momento, che era meglio che la fermarsi ed accompagnare don Vittorio con la mia utilitaria. Per la Chiesa metteva mano ai suoi risparmi che produceva col suo lavoro di insegnante. Le necessità erano tante e le opportunità di riuscire a definire un progetto di restauro, si allontanavano ogni volta che sembravano realizzarsi. Ricordo che i primi soldi li destinò al recupero della Cappella del Santissimo Sacramento e al rifacimento dell’impianto elettrico.
Oggi certamente dall’alto gioirà per la riapertura della “sua” Chiesa, e sarà molto contento della scoperta dell’affresco di Maria a cui era devotissimo, ritrovato dietro l’altare”.
Nonostante le disponibilità economiche, risalissero al suo stipendio, è riuscito negli anni a preservare dall’oblìo alcune tradizioni collegate all’antica Chiesa di San Paolo Eremita e alle confraternite che vi facevano riferimento. Da un articolo apparso sul quotidiano on line “SenzaColonne news” così scriveva nel 2014 in memoria di Don Vittorio, il collega Alessandro Caiulo: “A Don Vittorio si deve lo sforzo di tenere vivi antichi riti religiosi ed antichissime devozioni che si perdono nella notte dei tempi, come il settenario in onore della miracolosa Madonna del Terremoto, in ricordo di un episodio accaduto in occasione del rovinoso sisma del 1743 quando la statua della Madonna, allargò le braccia al cielo e sollevò lo sguardo davanti a decine di fedeli che, rifugiatisi in chiesa, pregavano ai suoi piedi.
Particolarissima è anche la tradizione, riscoperta da don Vittorio, condita da canti medioevali di derivazione tardo latina, della via Crucis svolta ogni sabato, anziché venerdì, di Quaresima e, per rimanere alle celebrazione pasquali, dopo la processione dei Misteri del Venerdì Santo, cui partecipa da sempre la confraternita di San Paolo con i tradizionali confratelli incappucciati, la statua dell’Addolorata ed il cataletto con Cristo morto, quella che è, probabilmente, la peculiarità, verrebbe da dire il pezzo forte, delle tradizioni conservate dalla chiesa di San Paolo grazie anche a don Vittorio: la cosiddetta “Matonna fuci fuci” cioè la statua della Madonna portata di corsa dal fondo della chiesa all’altare verso la statua di Cristo risorto al momento del Gloria nella messa della mattina di Pasqua, il tutto in mezzo al clamore di antiche trenule in legno in un clima rovente quasi da stadio”.
Per parlare di Don Vittorio, incontro Sua Eccellenza Mons. Caliandro che mi racconta: “Ho conosciuto Don Vittorio, quando era già ammalato e l’ho seguito fraternamente sino alla morte. Lui ci teneva moltissimo alla Chiesa di San Paolo Eremita, direi le riservasse un amore viscerale e non voleva che si perdesse la messa della domenica. Don Vittorio è certamente una bella figura di sacerdote, proveniva da una famiglia in cui ben tre suoi cugini erano sacerdoti ed era anche un uomo di cultura elevata, che ha insegnato sempre e che ha dato un bell’esempio di testimonianza della fede.
(4 – continua)