di Lucia Pezzuto per IL7 Magazine
La mattina prima di uscire da casa guardo dallo spioncino della porta, controllo se c’è qualcuno, poi prendo per mano mio figlio e lo accompagno a scuola, dentro di me prego che non ci fermi nessuno. Cammino e mi guardo intorno perché so che lui mi osserva e mi fotografa di nascosto. Così per il resto della giornata, se tutto va bene” questa è la storia di una donna perseguitata dall’ex marito, un incubo lungo tre anni e mezzo, esattamente da quando lei ha chiesto la separazione. Angela (il nome ovviamente è di fantasia) ha 35 anni e due bambini piccoli, vive a Brindisi , o come dice lei “sopravvive” perché da quando si è separata dal marito la sua vita è diventata un inferno. “Ho sempre la sensazione che da un momento all’altro possa accadere l’irreparabile- racconta con le lacrime agli occhi- mi ha minacciata, mi ha aggredita, mi ha rotto l’auto e mi segue, mi segue ovunque. E’ come se avessi un’ombra”.
Il rapporto tra Angela e il suo ex marito nasce tra i banchi di scuola, crescono insieme e quella che sembra una cotta tra adolescenti con gli anni si trasforma in qualcosa di più profondo. A 25 anni, dopo essersi laureata, Angela si sposa e dopo qualche mese resta incinta. La coppia è felice tanto da decidere qualche anno dopo di avere un altro figlio. “I primi anni di convivenza sono stati sereni- racconta Angela- lui all’inizio del matrimonio si è comportato bene con me e i bambini. Certo aveva le sue manie, io non mai potuto truccarmi, non potevo indossare le scarpe alte e le gonne se non con lui presente. A volte si ingelosiva se parlavo con i suoi amici maschi.
Ma alla fine non mi faceva mancare nulla. Una volta gli ho detto che avevo trovato lavoro in uno studio di un ingegnere ma lui non ha voluto, mi ha sempre detto che i bambini avevano bisogno che fossi presente a casa. Il fatto di non lavorare mi è mancato, non mi sentivo indipendente e poi avevo studiato, per cui mi sarebbe piaciuto mettere a frutto la laurea. Così non è stato e oggi mi pento di non aver insistito”. Man mano che trascorrono gli anni, però, la vita matrimoniale di Angela cambia, il marito diventa più scontroso e incostante e la sua gelosia si fa soffocante. “Lui tornava da lavoro sempre nervoso, urlava con me e i bambini. Pensavo : sarà stanco, fa i turni- dice Angela- Ogni volta però che tentavo di chiedergli qualcosa si scagliava contro e diceva che era colpa mia perché lo innervosivo. Così usciva da casa sbattendo la porta per poi rientrare la sera dopo cena”. Un giorno però accade qualcosa che rompe quell’equilibrio che Angela con tanta fatica cerca di mantenere: “Erano le 10 del mattino, non lo dimenticherò mai, e mi trovavo al mercato, era giovedì. Ero ferma ad una bancarella quando mi si avvicina una vecchia amica di famiglia e mi dice: Angela, per fortuna ti ho incontrata, è da tanto che volevo parlarti. Ti devo dire una cosa importante su tuo marito”.
Da quel giorno la vita della donna si capovolge e tutto il castello che si era costruita crolla all’improvviso come fosse di sabbia. Angela scopre che il marito ha una relazione con un’altra donna, una giovane donna che incontra la sera in un bar. La storia secondo l’amica di famiglia, andrebbe avanti da mesi. “A questo punto non potevo più stare zitta e la sera quando torna da lavoro lo affronto- dice Angela- Lui non nega, anzi si mostra dispiaciuto e pentito. Mi chiede di perdonarlo”. Quella è l’ultima volta che il marito chiede scusa ad Angela perché nei mesi che seguono la situazione degenera. Lui la maltratta e la aggredisce anche davanti ai loro bambini. Continua a far tardi la sera e Angela si convince che la relazione extraconiugale sia ancora in piedi. “Una sera ero sul divano, lui era seduto accanto a me. Stavamo guardando alla tv quel programma sulle donne “Amore criminale”, quello che racconta storie di violenza. Mi prende l’ansia, in ogni passaggio del racconto mi ci rivedevo. Ad un certo punto mi volto guardando lui, mio marito. Resto pietrificata, lui stava ridendo. Una donna era stata uccisa dall’ex e lui rideva”. Angela a questo punto prende la sua decisione e dopo l’ennesima lite chiede la separazione. I bambini sono in casa quando lui fa le valige e si trasferisce da sua madre. Angela pensa che sia finita ma in realtà quello è solo l’inizio. “Messaggi, telefonate anche nel cuore della notte. Ogni frase che mi scriveva era un cumulo di offese e parolacce di ogni tipo. Diceva che era colpa mia, che avevo sfasciato la famiglia e che ero io ad avere una storia con un altro. Diceva che mi prostituivo, che ce l’avevo nel sangue visto che mi piacevano le scarpe alte e il trucco, cose che in verità con lui non potevo fare. Non solo comincia anche a seguirmi e a fermarmi, ora davanti alla scuola dei bambini, ora davanti alla palestra che frequenta il più grande. Anche qui urla e offese”. Angela così comincia ad avere paura, l’ex marito che ovviamente continua a frequentare i figli quando non può incontrare lei si sfoga con i bambini che puntualmente tornano a casa piangendo. Lei non risponde alle sue telefonate e allora chiama i piccoli e a loro riferisce le stesse offese che avrebbe voluto dire alla donna. L’incubo dura da tre anni e mezzo, due anni fa Angela ha deciso di rivolgersi alla polizia e presentare le prime segnalazioni.
Da allora il suo fascicolo è custodito negli uffici dell’Anticrimine. “Mi ha pedinata, mi ha scattato foto e rotto l’auto- dice Angela- mi ha detto che mi ucciderà perché io sono una cosa sua e non posso decidere niente. Ora è anche più arrabbiato di prima perché il giudice ha stabilito che mi deve gli alimenti. Io faccio lavori saltuari e non riesco a garantire il necessario ai bambini.
Ma lui non vuole saperne. L’ultima volta mi detto: ti faccio sparire per sempre”. Dopo le segnalazioni presentate da Angela alla polizia, il questore di Brindisi, Maurizio Masciopinto, ha firmato un ammonimento affinchè l’uomo “non ponga più in essere comportamenti lesivi della libertà, della salute, dell’equilibrio psico-fisico”. Se così non dovesse essere per lui si aprirebbero le porte del carcere. “Anche dopo l’ammonimento non mi sento più tranquilla, direi una bugia se affermassi il contrario- ammette Angela- lui ora è più arrabbiato di prima perché sa che basterebbe poco per rovinarsi la vita. E di questo mi ritiene responsabile. Però al tempo stesso sono consapevole che questa è l’unica strada da percorrere per ritrovare un senso di vita e dare speranza ai miei figli. Se oggi mi chiedessero se sono pentita o meno di essermi rivolta alla polizia io risponderei di no. No, non sono pentita, perché in un certo qual modo la mia vita è in pericolo ugualmente. Io non posso sapere con passa per la testa di questo uomo e forse non riuscirò a proteggermi dalla sua furia, non lo so, ma di una cosa sono certa io assicuro alla giustizia una persona colpevole senza neppure dover affrontare un processo penale. Oggi non ci sono procedure diverse. Ora vorrei solo ritornare a vivere, non voglio neppure i suoi soldi, troverò un altro modo per crescere i miei bambini. L’importante è che possano ritrovare la serenità e l’infanzia che in questo momento gli è stata rubata”.
OGNI ANNO ALMENO TRENTA DENUNCE A BRINDISI
Ogni anno almeno trenta donne, tra Brindisi e Provincia, si rivolgono alla polizia segnalando l’ex compagno per stalking, ossia per condotta reiterata di minaccia e molestia. Oltre la metà di questi casi si chiudono a seguito di una denuncia o di un decreto di ammonimento da parte del questore, solo una minima parte, invece, sfocia in un processo penale e una sentenza di condanna. Questo accade quando o la vittima cambia idea e chiede di non procedere più nei confronti dell’ex, o quando la persona che assume questi atteggiamenti persecutori desiste.
“Spesso quando c’è un’istanza noi partiamo subito con le indagini per verificare il caso e siccome è un procedimento amministrativo e normalmente segue delle regole di diritto amministrativo, abbiamo il dovere di avvisare l’altra parte- ci spiega Francesco Barnaba, dirigente della sezione Anticrimine, Questura di Brindisi- Questo in molti casi fa si che le azioni della parte in causa, soprattutto se non sono azioni particolarmente violente e ripetute, cessino immediatamente. Noi siamo molto attenti anche alle richieste di remissione, ossia quando la vittima decide di non procedere, a verificare effettivamente le motivazioni, e che quindi se alla base ci sia realmente una cessazione di quei comportamenti che hanno indotto le persone a rivolgersi a noi”.
Il reato di stalking (dall’inglese to stalk, letteralmente “fare la posta”) è entrato a far parte dell’ordinamento penale italiano mediante il d.l. n. 11/2009 (convertito dalla l. n. 38/2009) che ha introdotto all’art. 612-bis c.p., il reato di “atti persecutori”, il quale punisce chiunque “con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Oggi è uno reati più diffusi, c’è grande attenzione da parte delle forze dell’ordine che tuttavia hanno il compito di verificare ogni circostanza. “Molto spesso le persone che ci troviamo dinnanzi non sono di particolare pericolosità- sottolinea Barnaba- le reazioni sono istintive soprattutto quando finisce un rapporto allora ci può essere il tentativo da parte di uno dei due di ricucire, l’atteggiamento insistente provoca quello stato di ansia nella persona che poi si rivolge a noi. Ma quando poi c’è l’intervento della autorità la persona di solito capisce la situazione e desiste” .
Quando una donna perseguitata e molestata si rivolge alla polizia vi sono diverse procedure che si possono intraprendere: la denuncia querela che rimette gli atti nelle mani del magistrato, l’ammonimento verbale e in subordine il decreto di ammonimento del questore. In particolare il richiamo verbale è il primo step rivolto allo stalker che viene diffidato dal tenere una condotta contraria alla legge: tanto onde evitare di essere successivamente indagato o imputato per il reato di stalking. Insomma: si tratta di un avvertimento che evita al colpevole un processo penale e alla vittima di doversi avventurare nelle lungaggini della giustizia.
“Quest’ultima sarebbe la soluzione migliore se la situazione non è di particolare gravità , chiaramente se la persona in questione persevera si arriva al decreto del questore che ammonisce la persona- aggiunge il dirigente- Le conseguenze sono queste: che la persona qualora dopo l’ammonimento verbale il soggetto dovesse reiterare il comportamento persecutorio la procedibilità non è più a querela ma è di ufficio e questo comporta, tra l’altro, nel procedimento penale un aggravamento della pena.
“Quando iniziano le attività moleste è consigliabile appuntarsele, registrando giorno, circostanza, la eventuale presenza di testimoni. Spesso le persone ci raccontano di essere perseguitate da anni ma poi non ricordano con precisione gli episodi e questo non ci aiuta a ricostruire la storia”