di Alessandro Caiulo per il7 Magazine
A volte capita che leggendo vecchie carte, per meglio poter trattare un argomento, gli occhi cadano su qualcosa che costringe l’umana curiosità a deviare il percorso stabilito e a scoprire aspetti meno noti che meritano di essere approfonditi e fatti conoscere e che ben si legano, colorandolo ulteriormente, al tema principale.
In questo caso l’argomento prefissato è quello di celebrare, il 7 ottobre, i 260 anni del ritrovamento dell’Ercole brindisino, una statuetta alta nemmeno un metro, di fattura artistica sicuramente non eccelsa, ma pregna di valore simbolico ed identitario per la Città – fondata secondo la leggenda da Brento, figlio di Eracle – che da nove anni, dopo un lungo periodo di esilio a Napoli, è finalmente esposta in maniera continuativa nel nostro Museo Provinciale.
Dopo essermi recato ad effettuare qualche scatto alla statua ed al suo dipinto che fu realizzato subito dopo il ritrovamento, ed aver consultato alcuni documenti, gentilmente messimi a disposizione dalla direttrice Emilia Mannozzi e dalla collaboratrice Adele Totaro, ho sfogliato un mio vecchio libro, scritto nel 1934 dal canonico Pasquale Camassa, il quale oltre ad essere un sacerdote colto ed arguto, era anche il direttore del Museo Civico e il fondatore della ancora oggi esistente Brigata Brindisina Amatori Storia ed Arte, dall’accattivante e per me irresistibile titolo “La romanità di Brindisi attraverso la sua storia e i suoi avanzi documentali”, alla ricerca di qualche cenno al nostro Ercole di cui, dopo due secoli di oblio, sembrava se ne fosse ricominciato a parlare solo intorno al 1962, quando la allora direttrice del museo, Benita Sciarra, ne invocò la restituzione.
Riporto integralmente, a beneficio dei lettori, il brano che mi ha letteralmente folgorato ed in cui il Camassa, dopo aver ripercorso la storia del ritrovamento della statua di Ercole nei pressi della Chiesa di San Paolo ed il suo trafugamento a Napoli, così continua: “Si è creduto opportuno rievocare quel rinvenimento per quanto segue. E’ noto che, per rendere più romanamente maestoso il Foro Mussolini, tutte le province d’Italia furono invitate a farsi rappresentare in esso con altrettante statue marmoree, riproducenti o un atleta o un pugilatore, un discobulo, un gladiatore, un reziario, un mirmillone e via dicendo. In tale occasione la Brigata Brindisina Amatori Storia ed Arte espresse un’idea, che raccolse subito la generale adesione, quella cioè che la Provincia di Brindisi fosse rappresentata, non da un atleta senza nome, ma dalla statua di Ercole, appunto per ricordare l’Ercole brindisino, e il culto che Brindisi prestava a quell’eroe, a cui si vuole avesse consacrato le colonne terminali dell’Appia. Il desiderio della Città e Provincia è stato pienamente appagato. Su quel plinto del Foro dove si legge BRINDISI, sorge ormai maestosa la statua di Ercole. Ma per la romanissima Brundisium è argomento di legittimo orgoglio il fatto stesso che anche Roma ha voluto essere rappresentata nel Foro Mussolini con una statua di Ercole. Ed è supremamente notevole che l’Ercole romano e l’Ercole brindisino si trovino a pochi metri di distanza, l’uno a destra e l’altro a sinistra della scalinata. Il destino (n.d.r. probabilmente Mussolini in persona) ha voluto che le due città, già unite da vincoli storici, si trovassero vicine per mezzo di quei due simulacri, che rappresentano la Forza, in quel foro che porta il nome di un vero Ercole non dalle dodici ma dalle mille fatiche, il Duce della nuova e forte Italia”.
Probabilmente a causa degli inneggiamenti al fascismo, del tutto normali a quell’epoca, di questo libro del Camassa, dopo la Liberazione, se ne è parlato poco o nulla, ma ciò che scrive è davvero importante per far conoscere l’esistenza di un altro Ercole brindisino, questa volta di dimensioni e proporzioni adeguate, realizzato, in marmo bianco di Carrara, nel 1931 dal noto scultore Silvio Canevari, il quale, oltre alla statua in rappresentanza di Brindisi scolpì anche l’Ercole di Roma, il pugilatore per Viterbo, l’arciere per Rovigo, il rematore per Genova ed il David per Pisa ma che, morto giovane, all’età di 38 anni, poche settimane dopo aver completato le sue opere, non potè assistere nemmeno alla inaugurazione del Foro Mussolini, oggi Stadio dei Marmi, dove sono state disputate nel 1960 le Olimpiadi di Roma ed in cui le grandi statue fanno, da oltre 90 anni, suggestiva mostra attorno alla pista di atletica da pochi anni intitolata a Pietro Mennea.
Va detto che il progettista architetto Enrico Del Debbio aveva manifestato più di qualche dubbio riguardo l’opportunità di collocare nel Foro due statue raffiguranti lo stesso eroe e temeva di essere criticato se avesse consentito a Brindisi di “copiare” la statua che rappresentava Roma, ma la specularità fra Roma e Brindisi, unite in un unico destino dalla grandezza dell’Impero, era un tema assai caro ai governanti dell’epoca, per i quali Brundisium – e forse solo Brundisium fra le tante città d’Italia – aveva titolo per farsi, in qualche modo, eguale all’Urbe.
La decisione di inserire per ultima la statua di Ercole donata da Brindisi e per prima quella dell’Ercole romano, fu presa non solo per fare in modo che i due Ercole fossero posizionati uno di fronte all’altro in cima alla scalinata, ma anche a simboleggiare che, dopo aver attraversato tutte le altre città d’Italia, “della lunga via Brindisi è il fine”, come punto terminale della via Appia ma, al tempo stesso affaccio sul resto del mondo di un’Italia che guarda ad est, vale a dire al sole che sorge.
Non è stato, poi, difficile, reperire sul web la scheda del Ministero dei beni Culturali relativa a questo mastodontico Ercole brindisino, che certifica non solo il valore storico ed artistico dell’opera e della importanza del suo autore, ma avalla anche lo scritto del Camassa nella parte in cui evidenzia che si tratta proprio della statua di marmo bianco donata dalla città di Brindisi, sul cui basamento vi è inciso BRINDISI / CANEVARI ANNO IX ROMA.
Il fatto che la statua donata a Roma abbia la clava in mano e non i pomi delle Esperidi come quella che vediamo oggi al museo è perché a quell’epoca, l’unica immagine che ispirò l’autore era quella riveniente dal dipinto settecentesco che lo raffigura in quel modo in quanto nessuno di quella generazione aveva mai visto l’originale segregato nei depositi napoletani.
Importanti sono stati, a questo proposito, gli studi condotti agli inzi degli anni sessanta dalla dott.ssa Benita Sciarra, pubblicati su “Napoli Nobilissima” rivista di arti figurative, archeologia e urbanistica, diretta da Roberto Pane, storico, architetto e accademico di fama internazionale, che fugavano ogni dubbio riguardo la circostanza che la statua conservata a Napoli fosse quello rinvenuto a Brindisi il 7 ottobre 1762 e che le differenze rispetto al dipinto settecentesco custodito nella Biblioteca Provinciale erano dovuti a un cattivo restauro della mano destra compiuto alla fine del XVIII secolo ad Ercolano, per cui furono inseriti i pomi delle Esperidi in luogo della originaria clava andata, evidentemente, smarrita)
Siamo così ritornati al nostro “Ercolino” – tale non solo per le dimensioni ridotte del manufatto di appena 95 centimetri di altezza, ma anche per il fisico più smunto e mingherlino, meno “statuario” insomma del marcantonio di quattro metri, pieno di muscoli collocato su un blocco cilindrico di due metri di diametro ed un metro e mezzo di altezza ai Fori Imperiali – va detto che alcuni studiosi ritengono che possa rappresentare più che il mitologico eroe, un giovin rampollo della Brindisi bene del II secolo dopo Cristo che, secondo le consuetudini dell’epoca e ad ulteriore dimostrazione della devozione verso il culto di Ercole che vi era in città, era stato rappresentato in questo modo in una statua da esporre in una ricca casa e non certo presso un edificio religioso.
Abbiamo rivolto in paio di domande a Danilo Schifeo che, negli anni passati, tanto si è speso per far si che l’Ercole brindisino tornasse in città per essere esposto, come è giusto che sia, nel museo di piazza Duomo, ad appena 200 metri dal luogo del suo ritrovamento.
Sappiamo che la statua dell’Ercole brindisino fu ritrovata il 7 ottobre 1762 durante degli scavi dalle parti della Chiesa di San Paolo Eremita, per cui celebriamo in questi giorni i duecentosessanta anni dalla sua scoperta. Se il nostro Ercolino può festeggiare questo compleanno nella sua città e non nel polveroso scantinato-deposito del Museo di Napoli dove è stato rinchiuso per secoli, lo dobbiamo, senza voler sminuire il lavoro e lo studio degli addetti ai lavori, soprattutto a te ed alla tua tenacia che ti ha consentito, per dodici anni, di non mollare mai la presa. Ci vuoi raccontare come è andata?
“Intorno al 2001, io ed il mio collega consigliere circoscrizionale Pietro Caprioli, passando dalla via che fiancheggia il palazzo della Provincia e scende ripidamente verso largo San Paolo, leggemmo che era denominata Ercole brindisino; incuriositi da quel toponimo, venimmo a sapere del ritrovamento di una statua di Ercole durante lo scavo di una costruzione di una casa lì vicino, insieme a un gran numero di monete d’argento risalenti al periodo dell’Imperatore Antonino Pio.
La statua fu subito trasferita a Napoli, per volere di Re Ferdinando di Borbone e per lungo tempo se ne persero le tracce in quanto era andata a finire nei depositi del Museo Archeologico Nazionale.
Il senatore Specchia formulò un’interrogazione parlamentare per chiedere la restituzione della statua, ma il Ministero si oppose in quanto, a parere della Sovrintendenza, la statua proveniva da scavi effettuati alla fine del XVIII secolo ad Ercolano. La risposta non ci convinse e da ricerche fatte in archivio venne fuori che una badessa di Brindisi, Suor Albina Montenegro, del convento di San Benedetto, in una missiva inviata al padre di una novizia raccontava, pochi giorni dopo il ritrovamento, della scoperta della statua raffigurante Ercole, insieme a delle monete e dell’imminente trasferimento d a Napoli per volere del Re. Felici di questa prova documentale la esponemmo al Sottosegretario ai Beni Culturali e fu il Ministero stesso a concedere il prestito temporaneo della statua al nostro Museo Provinciale.Ci fu un piccolo giallo, in quanto il Museo di Napoli non sapeva dove fosse andata a finire la statua, in quanto era stata stipata in uno dei tanti depositi e solo dopo alcune settimane ci comunicarono che stavano provvedendo alla pulizia prima di inviarla. Ricevetti anche una lettera dell’ex vice Ministro ai Beni Culturali, Carlo Scarascia Mugnozza che si congratulava in quanto eravamo riusciti in una impresa che nemmeno a lui, nonostante la carica ricoperta, era riuscita.
La statua rimase a Brindisi per tre anni, fino a quando il museo partenopeo, affermando di volerla esporre al pubblico, la richiese indietro, ma ciò, nei fatti, fu solo una scusa e non appena l’Ercole rientrò a Napoli, finì nuovamente nei depositi dove era rimasta a marcire per oltre due secoli. Per questo non mollai la presa e, nel 2012, mi recai nuovamente a Napoli per parlare con la Dirigente del settore archeologico del Museo alla quale espressi la volontà della Città di Brindisi di riottenere la statua, possibilmente a titolo definitivo.
Una volta constatato dalla documentazione che effettivamente il ritrovamento avvenne a Brindisi si concordò che in caso di richiesta ufficiale sarebbe stata restituita. Il che avvenne e dal giugno 2013 l’Ercole brindisino è tornato da noi”.
Visto l’impegno che hai profuso per far tornare Ercole a casa sua, cosa rappresenta per te questa statua e cosa potrebbe e dovrebbe rappresentare, a tuo avviso, per i brindisini?
“Per me è stato sicuramente un modo di servire la mia amata città, è stata una grande battaglia, all’insegna della brindisinità, sono orgoglioso di aver potuto dare il mio contributo alla storia ed alla cultura di Brindisi. Detto questo, vorrei che l’Ercole brindisino fosse uno spunto a che tutti i brindisini siano più legati alle nostre origini ed alla nostra comune identità storica e culturale”.