
Di Gianmarco Di Napoli per il numero 385 de Il7 Magazine
La prima frase che il cronista si sente dire, e poi ripetere più volte è “Qui non era mai successo”. E la pronunciano con sincera sorpresa, come se ci trovassimo davanti alla violazione di un diritto sacro, consolidato nel corso dei decenni. Come se fosse una profanazione, un affronto, un evento incomprensibile. A Tuturano, paese-frazione di Brindisi, per la prima volta viene compiuto un attentato. Eppure è un’isola tutt’altro che felice. Da almeno trent’anni, una lunga serie di sentenze penali hanno stabilito che Tuturano, quasi al pari di Mesagne, è stato uno dei cuori pulsanti della Sacra corona unita. Alla fine degli anni Ottanta la masseria “Il formaggio” del capostipite Giovanni Buccarella, detto “Balla”, era stata la base operativa del clan brindisino della Scu del quale il figlio Salvatore, detto Totò, è stato uno dei mammasantissima, inserito nella lista dei fondatori dell’organizzazione e con un rapporto di quasi comparanza con Pino Rogoli, il capo di tutti i capi. Ora quella masseria in parte appartiene ancora ai Bucarella, in parte è stata confiscata dallo Stato che l’ha affidata a “Libere terre di Puglia”.
Tuturano, che fa tremila abitanti (gran parte dei quali onesti lavoratori e persone per bene, questo va sottolineato), ha coltivato una sua generazione di malavitosi spietati e protagonisti spesso di azioni violente e sanguinose. A loro, alla fine degli anni Novanta, si aggiunse un’intera colonia di pregiudicati brindisini parcheggiati nelle nuove case popolari costruite all’epoca dall’Amministrazione comunale, parte dei quali detenuti agli arresti domiciliari. Una “contaminazione” che venne assorbita senza troppi problemi, rimanendo così Tuturano un fortino inespugnabile e solidale.
Solo una persona ebbe il coraggio di violarlo, ma qui parliamo dell’assassino più spietato della storia brindisina: Vito Di Emidio, detto “Bullone”, autore di oltre venti omicidi, una notte, si presentò in una casa alla periferia di Tuturano, prelevò dalla stanza da letto, davanti a moglie e figli, un uomo che aveva avuto una discussione con il fratello, lo portò in campagna e gli sparò alla testa. Nessuno osò torcergli un capello.
Ma in trent’anni mai una volta un esercizio commerciale era stato colpito dagli attentatori e non ricordiamo – a memoria – neanche una rapina. Ecco perché l’altra notte, quando la piccola comunità locale è stata svegliata di soprassalto dalle sirene di vigili del fuoco e forze dell’ordine, e una coltre di fumo si è alzata sul paese mentre le fiamme divoravano un bar, la prima reazione è stata la sorpresa.
Anche perché il “Domus Cafè”, il quale davanti all’ingresso ha il semaforo che regola il transito in via Vittorio Emanuele, la strada più trafficata del paese, ma anche troppo stretta per consentire il passaggio contemporaneo nei due sensi di marcia, quel bar non ha proprio nulla a che spartire con la malavita: la pasticceria prodotta nei suoi laboratori è una delle più rinomate della provincia e il locale non è tra quelli frequentati dai pregiudicati.
Cosa è cambiato dunque nella criminalità locale da decidere di far cadere questo velo di inviolabilità che esisteva nel piccolo perimetro di Tuturano? Perché appare chiaro che a sfondare con un sasso una finestra laterale del bar e a incendiarlo dall’interno, con il palese obiettivo di provocare il maggior numero di danni possibile, è stato qualcuno del posto. Da questo punto di vista appare davvero improbabile infatti che un forestiero abbia osato affacciarsi a Tuturano per compiere un gesto così eclatante. Sono affronti che si possono pagare con la vita.
Che si tratti di un atto intimidatorio appare improbabile: appiccare il fuoco all’interno di un bar significa voler punire in maniera perentoria, non intimorire soltanto. Sembra essere stata più una ritorsione, una dura punizione, forse da ricercare in quel mondo di mezzo in cui la gente per bene spera di poter lavorare nel rispetto dei propri diritti e i malavitosi pretendono invece di fare ciò che credono, magari anche non pagare.
L’attentato di Tuturano è preoccupante perché rappresenta un altro segnale di una fibrillazione anomala all’interno della criminalità organizzata che, anche a Tuturano, ha imboccato un percorso di riaffermazione che, in quanto tale, può cancellare le vecchie regole e sceglierne di nuove.
Non è un caso che tutto ciò stia avvenendo proprio in quelle che furono le piazze storiche della criminalità organizzata. Recentemente abbiamo parlato delle scarcerazioni di importanti boss della Sacra corona unita e di altre che arriveranno molto presto. Anche a Tuturano, nel periodo di Natale, due personaggi di altissimo calibro – già condannati all’ergastolo – hanno usufruito di permessi premio e sono stati notati in giro per il paese. Anche questi sono segnali di cambiamento, o di ritorno al passato.
Arrestare l’incendiario del “Domus Cafè” sarebbe così un risultato importante per comprendere la matrice del primo attentato della storia a Tuturano.
Magari si scoprisse che è solo un criminale autonomo che ha agito per interesse personale. Magari, ma probabilmente non è così.