I Bronzi di Brindisi, 30 anni fa la storica scoperta a Punta del Serrone

di Alessandro Caiulo

Sono passati esattamente trent’anni da quando, fra il 6 agosto ed il 2 settembre del 1992, si è svolta la campagna di scavo che ha fatto riemergere dai fondali del Serrone, quelli che ora sono universalmente noti come i Bronzi di Brindisi e che, dopo sapienti e certosine opere di restauro, fanno bella mostra, da una dozzina di anni a questa parte, in un’apposita sezione ad essi dedicata presso il Museo Ribezzo di Brindisi.
La storia ufficiale del loro ritrovamento fa risalire la loro scoperta a poche settimane prima, precisamente al 19 luglio 1992, quando l’allora Maggiore dei Carabinieri Luigi Robusto, nel corso di una immersione insieme ad altri subacquei nelle acque antistanti la Punta del Serrone, a circa 16 metri di profondità e a poche centinaia di metri dalla linea di costa, ritrovò un piede bronzeo e riconobbe altri frammenti bronzei, in parte nascosti nella sabbia, in parte incastonati nel costone roccioso che caratterizza morfologicamente quei fondali.
In realtà erano già stati tanti i subacquei brindisini, abituali frequentatori di quel tratto di mare, fra i più belli di tutto il versante adriatico, a notare quei manufatti in una zona dove i ritrovamenti archeologici sono stati davvero molti tant’è che già nel 1972 proprio in quella località, anche se se ne ignorava il punto esatto, era stato ritrovato il piede di una grande statua bronzea.

Merito indiscusso del maggiore Robusto (oggi divenuto generale di corpo d’armata) è stato, ovviamente, oltre alla credibilità ed autorità datagli dalla divisa, l’aver intuito l’importanza del ritrovamento, la circostanza che vi era ancora tanto da poter recuperare e, cosa non secondaria, il sapere a chi rivolgersi.
Prontamente informata l’allora direttrice del museo dott.ssa Angela Marinazzo, in men che non si dica, riuscì a smuovere la Soprintendenza Archeologica della Puglia e lo S.T.A.S. (Servizio Tecnico Archeologia Subacquea) che fra fine luglio e inizio agosto organizzò delle immersioni esplorative avvalendosi della collaborazione di propri tecnici, del Nucleo Carabinieri Subacquei di Napoli e di alcuni sub brindisini esperti nel campo delle ricerche archeologiche subacquee.

Certificata l’importanza della scoperta e la presenza di centinaia di altri frammenti, alcuni dei quali di consistente grandezza, ciò che avrebbe potuto frenare il recupero potevano essere i costi ed i tempi e forte era il rischio, essendo oramai trapelata la notizia dell’importante ritrovamento, che i reperti finissero nelle grinfie dei saccheggiatori
Deus ex machina della situazione fu l’Impresa Fratelli Domenico e Giovanni Barretta, quella dei rimorchiatori, che mise immediatamente e gratuitamente a disposizione, senza lesinare alcunché, uomini e mezzi perché si potesse procedere immediatamente e, infatti, già il 6 agosto 1992 si potè dare inizio alle operazioni. Altrimenti sarebbe stato probabilmente necessario attendere mesi, se non anni, per poter espletare tutte le macchinose procedure burocratiche e dare concretamente avvio alle operazioni di scavo.

Ed è, innanzi tutto, a Rosy Barretta, imprenditrice nota e stimata in città anche per il suo impegno nel sociale e nella cultura, che chiediamo un ricordo personale legato a quei giorni. “Oggi, a distanza di 30 anni dal recupero dei bronzi di “Punta del Serrone”, ricordo ancora molto bene l’intensa emozione di gioia provata durante la fasi di riemersione di questi reperti archeologici. Ritrovare e recuperare reperti archeologici, ma soprattutto bronzi antichi in mare, non è né semplice né comune ed io sono stata una fortunata testimone diretta di tale fantastica esperienza. Ancor di più, è stato incredibile il privilegio vissuto durante le immersioni con gli esperti dello STAS, che hanno coordinato le operazioni di recupero; io ero lì fortunato ed emozionato spettatore di tale prezioso e unico ritrovamento storico. Naturalmente tale successo è stato possibile grazie allo sforzo profuso degli enti coinvolti e, permettetemi, anche alla disponibilità e attenzione dell’Impresa “F.lli Barretta” che oggi mi onoro di presiedere, che per puro mecenatismo seguì tutte le operazioni dal recupero al restauro dei reperti. Tali sinergie, sempre auspicabili, consentono oggi alla nostra città di poter condividere una testimonianza storica tanto importante che il mare aveva restituito e che merita di essere conosciuta in tutto il mondo. Tra i ricordi indelebili di quei giorni, non posso certamente trascurare di riferire che fotografi e giornalisti durante le operazioni di recupero provarono grande disappunto perché i reperti durante la riemersione furono coperti, su richiesta degli esperti della Sovrintendenza, da materassi di gomma per evitare che la luce dei raggi solari potesse danneggiarli.

Tale necessaria prudenza non consentì agli organi di informazione di produrre foto e video, ma ha garantito una migliore conservazione di quei reperti che oggi i visitatori del museo brindisino si beano di osservare. Così come tengo bene in mente lo stato di agitazione e di preoccupazione di tutti gli addetti ai lavori durante le fasi di completo recupero e prima del definitivo trasporto delle due statue bronzee per l’inizio dei lavori di restauro. I restauratori si erano raccomandati di tenere le due statue bronzee sempre bagnate per evitare di danneggiarle,per questo motivo per più di 24 ore ci siamo affannati a gettare continuamente acqua su reperti appena riemersi; nel frattempo gli altri 700 elementi di minore grandezza, compresa una coppia d’ali appartenenti a una Vittoria alata, una Nike alta oltre due metri, non troppo dissimile dalla statua marmorea in esposizione al Louvre di Parigi, furono subito immersi in vasche piene di acqua e trasportati con maggiore tranquillità nelle sale del museo anch’esse per essere restaurate. Tra i bronzi oggi esposti nel Museo Archeologico “F. Ribezzo” di Brindisi, ho provato particolare commozione per il ritrovamento della Testa e il Braccio pertinenti la statua bronzea di bambina dell’età degli Antonini. Intuendo l’importanza dell’eccezionale reperto, di rara bellezza e di specifico valore storico, sono stata “sommersa” da un tale caos emotivo tanto da generare ilarità tra gli altri attori di quella meravigliosa e unica avventura. In ordine al ritrovamento della nave che trasportava i bronzi, mio padre, dall’alto della sua pluridecennale esperienza marinara, mi ha chiarito che difficilmente potrebbe essere ritrovata, perché il fondale nei pressi di Punta del Serrone è quasi del tutto scoglioso, quindi sicuramente la nave affondando si sarà frantumata, diversamente sarebbe stato se il fondale fosse stato sabbioso, come è successo per il relitto d’imbarcazione romana ritrovato ultimamente nei fondali presso Santa Sabina che pare sia il meglio conservato del Mediterraneo. La consapevolezza di aver avuto l’onore e la fortuna di aver partecipato a questo grande evento e di aver contribuito alla consegna di uno storico dono alla città di Brindisi, non appaga l’amarezza provata negli anni, sentita ancora di più oggi, per la mancata maggiore valorizzazione dei bronzi di “Punta del Serrone” La loro preziosità non può essere trascurata. Il loro valore travalica ogni interesse, cerchiamo di rendere più fruibile tali preziosità, testimonianza storica di quello che siamo stati, di perchè il mondo intero ancora oggi ci studia e ci ammira, aiutiamo ancor di più a non dimenticare”.

Per conoscere tutto quanto, dal punto di vista storico ed artistico, riguarda i Bronzi di Brindisi non si può assolutamente prescindere dagli studi, dall’impegno e dall’attività compiuta al riguardo dalla prof. Katia Mannino dell’Università di Lecce che, nell’estate del 1992, quando avvenne la scoperta dei Bronzi di Punta del Serrone, era una giovane dottoranda di ricerca e che, come dalla stessa ammesso, all’epoca della scoperta di questi tesori in mare, mai avrebbe pensato che sarebbe toccato proprio a lei, alcuni anni dopo, la fortuna di studiare le preziose antichità restituite dal fondale marino di Punta del Serrone. Nel 2006 ebbe formale incarico di analizzare il complesso delle sculture di Punta del Serrone in occasione dell’avvio dei lavori di riallestimento del Museo Archeologico Ribezzo coordinati dall’allora direttrice, dr.ssa Angela Marinazzo, e, per la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, dalla dr.ssa Assunta Cocchiaro. Per la prof. Mannino non fu solamente il coronamento di un sogno, ma anche l’inizio di una sfida perché i Bronzi non erano solo opere d’arte da descrivere e datare: bisognava interrogarli così da farli parlare; ogni reperto doveva raccontare la propria storia e tutti insieme dovevano fornire le riposte a tre domande ‘chiave’: da dove venivano i Bronzi? Dove erano originariamente esposti? Dove erano diretti? Grazie al suo certosino lavoro di ricerca si sono trovate le prime risposte, ma gli studi continuano e non sono escluse altre novità.

Ed è sempre alla prof. Mannino che si deve l’identificazione, accettata dal mondo accademico internazionale, della statua di Polydeukion, un giovane del II secolo d.C. scomparso a soli 15 anni che ha permesso di capire che l’area di provenienza del complesso dei Bronzi di Punta del Serrone era la Grecia. Polydeukion era l’allievo prediletto del celebre sofista e miliardario ateniese Erode Attico, maestro dell’imperatore Marco Aurelio e grande mecenate. Fatta eccezione per la statua bronzea di Punta del Serrone, tutte le sculture finora note raffiguranti Polydeukion sono state rinvenute in Grecia sia nelle ville, adorne di capolavori, di proprietà di Erode Attico sia nei grandi santuari, ad esempio, nel Santuario di Apollo a Delfi. A Delfi, in particolare, si conserva una base di statua con un’iscrizione che ricorda Polydeukion come “l’eroe di Erode”: il fanciullo era infatti dotato di saggezza e compostezza, le qualità che si richiedevano all’allievo ideale di un sofista. L’immagine dell’eroe di Erode è proprio la statua di Punta del Serrone che raffigura Polydeukion, con il mantello dei filosofi greci, mentre avanza sobrio e composto reclinando il volto dall’espressione pensosa e malinconica.

A questo punto le domande relative alla fruizione pubblica ed alla valorizzazione di questi reperti di grandissima importanza è opportuno rivolgerle alla Direttrice del Museo Ribezzo, l’arch. Emilia Mannozzi, in prima fila proprio su questo fronte .

Architetto, a trent’anni dallo loro scoperta i Bronzi del Serrone conservano intatto il fascino ed il mistero legati alla loro incerta provenienza ed alla destinazione di quel carico di metallo e credo, senza nulla voler togliere all’importanza di tanti altri reperti custoditi a Brindisi, rappresentino i pezzi più conosciuti dal grande pubblico anche, se non soprattutto, forestiero, presenti nel Museo di cui Lei è direttrice. Cosa ci può dire al riguardo?
“In un’afosa giornata di fine luglio 1992, la fantasia di molti brindisini fu colpita dal rinvenimento, in località Punta del Serrone, di statue in bronzo dall’inestimabile valore storico-artistico, restituite da quello stesso mare che, secoli prima le aveva inghiottite, preservandone una memoria fatta di contatti, scambi e contaminazioni, effetto della storia millenaria di Brindisi-Porto e Porta d’Oriente, fino alla loro musealizzazione nel Museo Ribezzo. A tal proposito così scriveva l’illustre accademico Sabatino Moscati sulla rivista “Archeo”, a conclusione della campagna di scavo: “E’ la più grande scoperta archeologica dell’estate che muore, in Italia e, per quanto ne sappiamo, anche fuori d’Italia. Rivela antiche opere d’arte ammirevoli, se pur frammentarie, che riemergono dal fondo del mare…sono gli ormai celebri ‘Bronzi di Brindisi”. Mai intuizione può definirsi prodromica quanto questa, di quel che sarebbe diventato per Brindisi un carattere identitario forte.”

Cosa si può fare, a suo avviso, per valorizzarli maggiormente e far si che i brindisini, siano essi i semplici cittadini ma anche chi li amministra, li sentano non come semplici pezzi da museo ma, appunto, come beni identitari di cui andare fieri?
“Il Codice dei Beni Culturali, sia all’art 3(Tutela) sia all’art 6(Valorizzazione), finalizza la conoscenza del patrimonio culturale alla fruizione pubblica. In tal senso, il Museo Ribezzo ha operato grandi migliorie ampliando l’orario di apertura gratuita per tutti (da martedì a domenica ore 9:00-19,15 e lunedì pomeriggio ingresso straordinario approdi crocieristici), nonché organizzando visite guidate, percorsi espositivi a tema per le giornate celebrative locali e nazionali, laboratori ludico-didattici, performance teatrali a tema, convegni di archeologia subacquea, attività scientifica e tecnica con UniBa, UniSalento e UniFg nell’ambito del Centro Euromediterraneo Archeologia Paesaggi Costieri e Subacquei (ESAC), di cui il Ribezzo è sede, ecc. purtuttavia, l’ottenimento dei massimi riscontri, a tutt’oggi, è stato raggiunto con gli Istituti scolastici, che rimangono gli interlocutori più attivi. Per il resto, bisognerebbe riuscire ad operare un’inversione di tendenza culturale sulla cronica disaffezione dei nostri cittadini alla cosa pubblica, richiamando l’accezione latina del termine “Res Publica”, ossia di “tutti”. Questo processo richiederebbe l’inevitabile accompagnamento di rappresentanti politici ed istituzionali che fattivamente potrebbero favorirne il processo attraverso il proprio esempio e con la diligenza del buon padre di famiglia”.

La storia ufficiale del ritrovamento dei Bronzi tende, probabilmente a torto, a sottovalutare il ruolo avuto da alcuni sub brindisini, fra cui Fernando Zongolo, Derio Camassa, Vanni Meneghini, Sandro Mariano e Gino Zongoli, nella scoperta di questi e tanti altri reperti che hanno arricchito la collezione del Museo Ribezzo. Cosa si può fare per impedire che la memoria di ciò non vada persa e far conoscere, specie alle nuove generazioni, l’importanza ed il ruolo che hanno avuto questi veri e propri antesignani dell’archeologia subacquea?
“Ho avuto il privilegio di conoscere personalmente i componenti del Gruppo Ricerche Archeologiche Sottomarine di Brindisi (GRAS), coadiuvati dal prof. Nino Lamboglia del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina di Albenga, considerati i pionieri dello sviluppo della ricerca archeologica sottomarina che ha indagato in maniera sistematica i fondali del litorale brindisino e non solo, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Circa 10 anni fa, quando nei Convegni di Archeologia subacquea non era scontato ricordarli, alla presenza dell’allora Soprintendente Luigi La Rocca ebbi a definirli “Eroi Invisibili”, definizione personale a cui resto a tutt’oggi affezionata. Quello che deve passare alla memoria e soprattutto alle nuove generazioni, è lo spirito che ha motivato gli allora giovani subacquei, mossi dalla passione e dalla curiosità verso la “conoscenza”. In nome e per conto della quale non hanno esitato a scegliere di tutelare quel patrimonio archeologico trasferendolo nei Musei e nelle sedi pubbliche deputate, sottraendolo, di fatto, al ricco e diffuso mercato clandestino, spesso mercé delle mafie, e che facendo razzia dei nostri reperti, cancellava la nostra storia e il nostro DNA”.