di Marina Poci
Qualche volta esorcizzare i timori infantili può essere un esercizio complicato, lungo, doloroso, che spalanca voragini di senso piuttosto che liberare i demoni interiori. In altre occasioni, però, quell’esercizio si trasforma in una divertente pratica artistica che diventa il punto di partenza per una carriera di successo nel cinema. È andata così ai gemelli mesagnesi Gabriele e Vittorio Magrì, classe 1978, che muovendo dalle paure nutrite quando da bambini guardavano i film horror, sono arrivati a lavorare in prestigiose produzioni cinematografiche nazionali e internazionali creando effetti speciali al fianco dei più importanti registi e attori protagonisti della settima arte.
In questi giorni i frutti di quei lavori tornano nel centro storico di Mesagne, alla via Antonio Profilo fu Tommaso numero 26, concentrati nel progetto del Museo Fantasy, collezione attualmente itinerante che comprende due aree tematiche: la prima, quella di “Arte Fantasy”, è costituita da sculture di personaggi di fantasia e iperrealistici a grandezza naturale (in silicone, lattice, vetroresina), a volte meccanici e manovrati dal pubblico stesso; la seconda, quella degli Effetti Speciali Cinematografici, è invece costituita da statue, maschere e numerosi effetti speciali che i gemelli hanno realizzato per oltre 25 film italiani e internazionali. Il Museo, che resterà aperto per tutto il periodo estivo ogni giorno dalle ore 11 alle ore 13 e dalle 18 alle 24 (ad eccezione del mercoledì mattina), è stato fondato nel 2015 (accogliendo in questi otto anni di vita più di 55.000 visitatori) ed è considerato – secondo le opinioni raccolte su TripAdvisor – al quinto posto per gradimento tra i 51 musei d’arte della Puglia.
“L’esperienza itinerante di questi otto anni è stata interessantissima, ma quello che vorremmo adesso è radicare il museo sul nostro territorio. Siamo alla ricerca di finanziamenti pubblici e privati che ci permettano di stabilirci definitivamente a Mesagne: siamo un po’ stanchi di andare in giro e ci piacerebbe mettere a disposizione del territorio la nostra esperienza”, precisano all’unisono.
E pensare che da bambini avevate paura di guardare i film horror.
Gabriele: “Parte tutto da lì. Eravamo attratti, ma anche spaventati, dai film dell’orrore. Facevamo di tutto per guardarli in televisione, poi passavamo notti insonni al ricordo di quello che avevamo visto. Così, in seconda elementare, è nato in noi il desiderio di sfidare questa paura. Il modo migliore per farlo ci è sembrato iniziare a riprodurre tutti i personaggi che ci avevano tolto il sonno, prima disegnandoli e poi costruendoli in 3D con i materiali che normalmente hanno a disposizione i bambini, per esempio la cera pongo. L’arte è stata il mezzo per superare le nostre paure più profonde: è stato così che abbiamo capito che i mostri non esistono e che, esattamente come diamo loro forma, possiamo liberarcene. Arrivati in terza media, abbiamo scoperto che dietro i mostri che guardavamo al cinema c’è un vero e proprio mestiere…”
Vittorio: “E abbiamo capito che era quello che volevamo fare nella vita: effetti speciali. Ci siamo informati, anche perché eravamo nel momento delicato della scelta della scuola superiore. Ma purtroppo abbiamo saputo ben presto che in Italia, almeno all’epoca, non esisteva nessun indirizzo di studi specifico. Nostro padre allora ci ha suggerito di chiedere consiglio a qualcuno che fosse del mestiere. Siccome eravamo informatissimi, abbiamo chiesto l’elenco telefonico di Roma e abbiamo chiamato il più grande realizzatore italiano di effetti speciali, Sergio Stivaletti, proponendogli di lavorare per lui. Naturalmente ha declinato la nostra offerta di collaborazione, visto che eravamo due tredicenni. Però ci ha consigliato di frequentare il liceo artistico. Così ci siamo iscritti al liceo Edgardo Simone di Brindisi, continuando a tenerci in contatto con Stivaletti, al quale abbiamo spedito la pagella alla fine di ogni anno scolastico e le foto dei manufatti che realizzavamo. L’abbiamo corteggiato per cinque lunghi anni e alla fine la nostra tenacia è stata premiata: concluso il liceo, ci siamo trasferiti a Roma e abbiamo iniziato a lavorare con lui nel suo laboratorio”.
Siete entrati nel mondo degli effetti speciali dalla porta principale, senza alcuna gavetta.
Vittorio: “Abbiamo cominciato a lavorare con quello che da bambini era il nostro mito. Il primo film con Stivaletti è stato Il fantasma dell’Opera, di Dario Argento. L’ultimo è stato il Pinocchio di Benigni”.
Gabriele: “Non ci sembrava vero: il set era ogni giorno una scoperta nuova, andavamo a pranzo e a cena con le persone che sino a pochi mesi prima vedevamo in televisione e al cinema. Ogni tanto ci davamo a vicenda dei pizzicotti per dimostrarci che stava veramente succedendo a noi. Dopo il film di Benigni siamo tornati in Puglia e abbiamo fondato il nostro laboratorio. Il nostro primo film pugliese è stato Mio cognato di Alessandro Piva, per il quale abbiamo realizzato il manichino di Luigi Lo Cascio per la scena di un’esplosione”.
Interagivate con gli attori o il vostro lavoro si svolgeva esclusivamente dietro le quinte?
Vittorio: “Capitava spesso di incontrare gli attori. Ricordo, per esempio, che in occasione del film Titus, abbiamo preso un calco della mano dell’attore protagonista, il grande Anthony Hopkins, per poterlo poi replicare in silicone per la scena famosa del taglio della mano. Quando ci occupiamo di trucco, poi, siamo a contatto ancora più stretto”.
Per il Pinocchio di Benigni cosa avete realizzato?
Gabriele: “Il pescecane (perché Collodi, nella versione originale della storia, non parla di balena). Era un modellino di due metri, realizzato come prototipo, in attesa di capire se lo scenografo avrebbe chiesto un modello più grande o avrebbe optato per la computer grafica, meno pericolosa e più economica”.
Nel vostro curriculum ci sono molte collaborazioni statunitensi: nel mondo degli effetti speciali, c’è differenza tra lavorare in Italia e lavorare per le produzioni hollywoodiane? Quale?
Vittorio: “C’è un abisso. In America chi fa effetti speciali è visto con molto rispetto, al pari degli attori e dei registi. In Italia l‘effettista è visto più che altro come quello che fabbrica i pupazzi. C’è un trattamento diverso sia a livello di organizzazione, perché lì il nostro lavoro ha tempi più lunghi, a tutto vantaggio della qualità, ed è indubbiamente pagato meglio”.
Come è nato il progetto del Museo fantasy?
Gabriele: “Nasce nel 2015 grazie all’associazione culturale RiCreAzione e all’amministrazione comunale di Mesagne di allora, che ci ha concesso lo spazio dello chalet della villa comunale. In circa due mesi di esposizione abbiamo accolto duemila persone. Abbiamo toccato con mano l’interesse della gente per gli effetti speciali, le sculture iperrealistiche e le opere d’arte anche non cinematografiche che sono esposte. In particolar modo, nell’area tematica dedicata a queste ultime, ogni nostra opera è accompagnata da un messaggio che mette in discussione e fa riflettere il visitatore sui più svariati argomenti di attualità, permettendogli di compiere un viaggio interiore, non soltanto artistico, che piace moltissimo”.
Vittorio: “Teniamo a precisare che non è un castello degli orrori, creato per spaventare, ma un museo didattico che racconta la nostra storia, la realizzazione del nostro sogno e il superamento delle nostre paure di bambini”.
Nell’area tematica dedicata agli effetti speciali cinematografici ci sono i pezzi originali utilizzati nei film?
Vittorio: “Certamente. Da contratto, noi realizziamo l’opera in esclusiva per una determinata produzione ma, una volta finite le riprese, il manufatto ritorna in nostro possesso in vista dell’esposizione nel museo”.
C’è un pezzo che cattura l’attenzione in maniera particolare?
Gabriele: “Ce ne sono diversi. Uno che piace molto è la polena, una statua lignea che orna la prua di una nave e che viene recuperata dal mare di Polignano nella fiction di Rai Uno Questo è il mio paese, con Violante Placido e Michele Placido.
Vittorio: “Altro pezzo che attira è il manichino di Ennio Fantastichini: abbiamo preso il calco del suo viso e delle sue mani per il film Rai Il pasticcere, realizzando in silicone un manichino iperrealistico per la scena in cui il suo personaggio viene ucciso”.
Prossimi progetti?
Vittorio: “In questo momento siamo occupati nel business delle lampade Family, che sta andando molto bene: ogni pezzo è unico e numerato e rappresenta l’importanza che diamo alla famiglia e, in particolare, alla figura della mamma. La volontà è quella di passare l’estate a Mesagne e poi cercare di radicare qui il museo con dei progetti regionali o europei, perché non sia più itinerante”.
Quindi avete chiuso con gli effetti speciale?
Gabriele: “Purtroppo il nostro è un settore che va ad estinguersi, perché gli effetti speciali digitali hanno ormai preso il sopravvento su quelli artigianali. È un problema che coinvolge tutti i nostri colleghi”.
Vittorio: “C’è poi da aggiungere un fattore di soddisfazione personale che mano a mano è venuto meno: nel cinema non ci sentiamo più creativi come lo eravamo una volta, siamo dei semplici esecutori delle idee altrui. Ecco perché torniamo a lavorare in quell’ambito soltanto quando ci rendiamo conto che davvero ne vale davvero la pena”.