Il cavalluccio, un incontro marino sempre meno frequente

di Alessandro Caiulo

Uno degli incontri più emozionati che un subacqueo può fare nei nostri mari, tralasciando i grandi “mostri marini” tipo squali, mante, murene, piovre e calamari giganti, è senza ombra di dubbio quello con l’Ippocampo (dal greco, letteralmente, “cavallo-bruco” per l’aspetto della testa, del tutto simile al nobile destriero, a fronte di un corpicino quasi da verme con tutta una serie di anelli che avvolgono il corpo fino alla coda. Ma erano denominati così anche i mitologici cavalli che, montati dai tritoni e dalle nereidi, si immaginava trainassero e scortassero il carro di Poseidone o Nettuno che dir si voglia e, come simbolo beneaugurante e di fedeltà è presente non solo nella mitologia creca e latina, ma anche in quella nordica), vale a dire l’inconfondibile e simpatico cavalluccio marino.
Al finire degli anni ottanta esso era ancora molto comune, insieme agli altrettanto curiosi e simpatici pesci ago, sul litorale nord di Brindisi ma, dopo la costruzione della faraonica diga di Punta Riso che ha stravolto senza rimedio il corso delle correnti provocando anche il fenomeno dell’erosione della costa ed il crollo delle falesie, incontrarlo è divenuto sempre più difficile ma non impossibile, specie per chi, come me, si approccia al mare con maschera in faccia, pinne ai piedi, bombola in spalla ed erogatore in bocca, gustandosi con calma ogni metro quadrato del nostro coloratissimo e vivissimo fondale.
Fino a pochi anni fa ce n’era una piccola colonia su una parete rocciosa sommersa a cinque-sei metri di profondità dalle parti della conca di Materdomini, capeggiata, si fa per dire, da un bellissimo esemplare di color giallo vivo che avevo soprannominato Uccio il cavalluccio brindisino, fino a quando, all’antivigilia del Natale 2019, qualche predone del mare pensò bene di martellare, alla ricerca di datteri, tutto quanto quel tratto di scogliera, devastandola per sempre e sfrattando senza preavviso la piccola comunità di ippocampi.
Fortunatamente qualche esemplare è sopravvissuto e si è ambientato poco distante se è vero, come è vero, che sul finire della scorsa estate ne intercettai un giovane individuo abbarbicato ad uno spirografo un centinaio di metri distante da lì (un tratto enorme per un piccolissimo e lentissimo cavalluccio), dove l’acqua è più profonda e potrebbe essere lasciato in pace.
Qualche altro cavalluccio mi è capitato di incontrarlo, sporadicamente, nella zona del Serrone e davanti ad Acque Chiare oltre che nel porto medio di Brindisi, ma davvero pochissimi rispetto agli anni della mia infanzia.
Dove invece, anche negli ultimi anni, ne ho incontrati a bizzeffe è stato nel Mar Piccolo di Taranto, una sorta di grande laguna dove il mare è sempre calmo ed una serie di sorgenti di acque dolci hanno creato un particolare ecosistema che, nonostante la presenza di prodotti inquinanti di ogni genere, riesce egualmente a favorire la vita e la biodiversità. Anche qui, dove mi è capitato di incontrarne anche diverse decine in una sola immersione, ho avuto modo di constatare, ultimamente, una certa riduzione di esemplari anche se non in maniera drastica come nel mare di Brindisi.
Ho voluto affrontare questa tematica con il prof. Dino Pierri, valente subacqueo oltre che docente di zoologia applicata del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, il quale, con una equipe di cui fanno parte anche il prof. Michele Gristina, primo ricercatore, CNR Palermo e la dott.ssa Tamara Lazić, ricercatrice del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari e referente IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) in Europa per gli studi sugli ippocampi, sta valutando la consistenza della popolazione di ippocampi nei nostri mari, pur nella consapevolezza della estrema difficoltà di poter effettuare un censimento vero e proprio stanti le incredibili doti mimetiche di questo animaletto marino.

Ultimamente si è fatto un gran parlare di strani traffici illegali con l’Oriente che riguardano non solo le Oloturie, conosciute dalle nostre parti come pizze di mare, considerate una ghiottoneria nell’ex Celeste Impero, ma anche i Cavallucci Marini, con epicentro proprio in Puglia. In particolare, per quanto i secondi, incentrati essenzialmente nel Mar Piccolo di Taranto, dove questi curiosi e simpaticissimi animaletti, un tempo numerosissimi, stanno decisamente diminuendo di numero, probabilmente non solo a causa dei prelievi illegali. Dal momento che ti occupi, insieme ad una equipe di specialisti, di studiare e censire gli Ippocampi, qual è la situazione attuale sia nel basso Adriatico che nello Jonio?
“E’ difficile definire una situazione caratteristica del sud Italia perchè il fenomeno ha una chiave di lettura a livello mediterraneo. Oltre ad avere una diminuzione registrata e confermata in Puglia, abbiamo testimonianza dello stesso trend in Francia, in Spagna, in Portogallo, dove si trovano le popolazioni europee di cavallucci più importanti. Fino a qualche decennio fa i cavallucci erano ben distribuiti lungo tutte le coste italiane, spesso associati alla Posidonia oceanica. I disturbi continui dovuti all’uso turistico, professionale e ricreativo hanno alterato alcuni delicati equilibri e i cavallucci hanno iniziato a ridursi in numero. Attualmente ci sono diversi gruppi lontani fra loro e a bassissima densità, a volte formati da una sola coppia. Rimangono delle popolazioni numerose e ben strutturate nelle acque a minor idrodinamismo come il Mar Piccolo in Puglia, I laghi di Sabaudia nel Lazio, la laguna veneta e poche altre. Tutte queste popolazioni mostrano segnali di contrazione. Se da una parte la degradazione degli habitat rappresenta una minaccia importante per specie a ridotto areale, recentemente si sono aggiunte altre minacce. In primis un mercato per rifornire la medicina tradizionale orientale che, facendo seguito alla rotta tracciata dal commercio di oloturie, interessa ora praticamente l’intero mediterraneo ma agisce in maniera più consistente nei paesi dove c’è un vuoto normativo, come nel caso dell’Italia. Inoltre, i processi di globalizzazione non fanno eccezione in mare e stiamo assistendo alla comparsa di nuove specie (aliene, esotiche, non native che dir si voglia) che possono alimentarsi anche di cavallucci. Le specie carnivore hanno una preferenza per prede inermi e poco mobili, proprio come i cavallucci”.
Ci sono rimedi che possono essere attuati nel breve o medio termine per frenare questa deriva che potrebbe portare non solo alla loro contrazione ma addirittura all’estinzione?
“Nel 2020 la IUCN ha emanato una direttiva, la numero 95 che richiama l’attenzione sulla conservazione dei syngnatidi in generale (pesci ago, cavallucci e dragon fish) in quanto indicatori dell’integrità degli habitat. Con questa direttiva la IUCN pone l’attenzione sulla necessità di proteggere e tutelare le popolazioni mondiali di questi enigmatici pesci favorendo azioni di tutela, anche attraverso la realizzazione di Aree Marine protette realizzate ad hoc. Al di là degli strumenti normativi direi che la necessità è di incentivare la promozione di una cultura del mare e dell’ambiente in generale che serva a colmare una lacuna che vede nel bianchetto, nei datteri di mare, nella pesca illegale alcuni dei fenomeni che ci piacerebbe non vedere più. In mancanza di un senso profondo di rispetto per il mare, trovo difficile che la situazione possa essere risolta da strumenti normativi”.
Sappiamo che nei nostri mari ci sono due specie di Cavalluccio marino; quali sono le caratteristiche che li accomunano e quali quelle che li differenziano tra loro?
“Sono conosciute due specie di cavallucci europei, l’Hippocampus guttulatus e l’Hippocampus hippocampus. è stata segnalata nel Mediterraneo orientale una terza specie, proveniente dal mar Rosso, l’Hippocampus fuscus, non ancora arrivata in Italia. Si tratta comunque di specie entrambe accumunate da una forma atipica per un pesce, con una postura semi-eretta, una testa simil-equina e scarsissime capacità di nuoto. Entrambe hanno gravidanza portata avanti dal maschio, caratteristica condivisa da tutti i singnatidi. H. guttulatus ha un muso allungato colorazione variabile e solitamente lo si ritrova a bassa profondità in habitat complessi. H. hippocampus ha il muso più corto ed una corona che sovrasta la testa, predilige habitat più semplici e si trova anche su fondi fino a 40 metri di profondità, spesso associato a praterie di Posidonia oceanica”.
La maggiore curiosità, per chi si approccia a questi animali marini, è, come hai già accennato, lo scoprire che è il maschio a partorire i figli e che vi è una sostanziale fedeltà di coppia; è esatto semplificare in questo modo?
“Sì, la fedeltà di coppia è una cosa che accomuna tutti i cavallucci marini. Il legame è così stretto che, se la coppia si dovesse in qualche modo “separare”, il partner rimasto avrebbe grandi difficoltà a formarne una nuova. Per questa ragione è importante rilasciare esattamente nello stesso punto un esemplare catturato accidentalmente. Per quanto riguarda la gestazione, in tutti i signatidi è il maschio ad occuparsene. Dopo un complesso ed elegante rituale di corteggiamento, la femmina depone le uova nella tasca addominale del maschio dove vengono fecondate ed incubate. In realtà non si tratta solo di questo ma i nuovi cavallucci in formazione stringono rapporti stretti con i tessuti interni al marsupio da cui dipendono il che rende la gestazione simile ad una gravidanza vera e propria. Dopo un periodo variabile, di circa 3 settimane, i piccoli vengono “partoriti” con contrazioni violente, iniziando la loro nuova vita libera prima nel plancton, in balia delle correnti e poi sul fondo, se hanno la fortuna di trovare un habitat idoneo. Delle centinaia di nuovi nati solo pochi riescono a sopravvivere alla lotteria delle correnti ed all’attacco dei predatori”.

Tornando al Mar Piccolo, come è possibile, a tuo avviso, che in un mare considerato da sempre malato ed inquinato a causa degli scarichi delle grandi industrie e dell’Arsenale e per di più su fondali invasi non solo da plastica ma da ogni genere di immondizia prodotta da mani d’uomo nelle ultime tre generazioni, si sia creato un ecosistema divenuto un incredibile scrigno di biodiversità da fare da casa a molte specie esigenti dal punto di vista ambientale come i cavallucci marini?
“Il Mar Piccolo di Taranto è un ambiente paradossalmente ricco, con più di 800 specie segnalate. Certamente è anche un bacino fortemente perturbato dalle attività umane che, con l’arsenale militare ed i cantieri navali prima e l’industria ora, ha visto le sue acque interessate da vernici antifouling, idrocarburi, oli esausti, diossina, etc. Molti di questi inquinanti sono legati ai sedimenti limacciosi della parte centrale del bacino che realizzano scambi piuttosto limitati con l’acqua sovrastante. il continuo rifornimento di acque dal mar grande e dai citri permette un ricambio sufficiente a mantenere il bacino idoneo ad ospitare una ricca e diversificata comunità biologica. I cavallucci si trovano nelle zone in cui il fondo non è limaccioso ma detritico con molti appigli ed una ricca comunità di piccoli crostacei che costituiscono la fonte di cibo. Immaginiamo che se c’è un effetto dell’inquinamento sulle popolazioni del mar Piccolo, questo sia più legato a manifestazioni croniche che acute. Gli effetti degli inquinanti quindi si vedono su organismi di durata della vita lunga o a cavallo di più generazioni. Guardando con più attenzione alle comunità del mar Piccolo ci si rende conto in effetti che le dinamiche sono piuttosto veloci nel ricambio generazionale e le comunità sono costituite per lo più da filtratori tipici di ambienti confinati, adattati a sopportare massicce dosi di inquinanti, segregandoli o modificandoli con la loro attività. Questa attività si definisce biorisanamento o biorimediazione. Sarebbe come dire che la vita nel bacino è possibile grazie alla vita che c’è nel bacino. Sebbene è un ragionamento tautologico interpreta bene il fenomeno che permette la presenza di una ricca e diversificata comunità e cioè, la presenza di tante specie che collaborano per garantire una pulizia degli inquinanti fungendo da tramite tra acqua e sedimenti. La vita è pervasiva e questo bacino ne è la dimostrazione, mostrando una grande capacità di resilienza. Il bacino vive periodicamente infatti (e sempre più spesso) crisi distrofiche dovute alle alte temperature del periodo estivo. Queste crisi portano a morie di massa improvvise cortocircuitando il legame fra acque e fondo. Nonostante tutto alla fine la vita riprende, magari con attori diversi e realizzando scenari differenti di cui i cavallucci ed i pesci ago speriamo facciano sempre parte”.