Il marinaio brindisino che salvò la Vespucci: la storia del nocchiero Giacomo Giardina

Per giorni, dall’8 settembre 1943 al successivo 13, la credettero affondata nel mezzo del Mediterraneo dai Tedeschi, che a seguito dell’Armistizio di Cassibile erano diventati il nemico. Invece – grazie alla lucida intuizione di un marinaio di origini siciliane, brindisino d’adozione – arrivò al porto di Brindisi, già presidiato dagli Alleati angloamericani. Il coraggio, l’audacia e l’istinto di quel giovane militare riuscirono a garantire l’incolumità di circa 250 uomini e la salvezza di quella che, tre decenni dopo, gli ufficiali della portaerei statunitense USS Indipendence definirono “the most beautiful ship in the world”, la nave più bella del mondo. Ora, alla vigilia di un nuovo passaggio dell’Amerigo Vespucci a Brindisi, la storia di quel ragazzo appena 21enne, prima militare e poi passato alla Marina Mercantile, merita più che mai di essere ricordata a chi già la conosce e raccontata a chi non ne ha mai sentito parlare. Perché senza il “Capitano, andiamo a Sud” che il 21enne Giacomo Giardina suggerì al comandante in seconda Francesco Ribezzi, lui sì brindisino di nascita, quel veliero, ancora oggi nave scuola della Marina Militare Italiana, con ogni probabilità apparterrebbe alla lista delle navi italiane scomparse per mano tedesca.
Quando arrivò la notizia dell’Armistizio, il Vespucci si trovava in porto a Trieste: era il pomeriggio dell’8 settembre e agli ufficiali fu dato l’ordine di salpare immediatamente per dirigersi a Pola. Da quel momento in poi l’incertezza per la sorte dello Stato italiano (letteralmente diviso in due, tra la fedeltà al vecchio alleato, la Germania, e l’appoggio alle truppe inglesi e americane che lentamente risalivano la penisola) determinò tra le forze armate monarchiche un senso di precarietà che gettò i militari nel totale sconforto. La nave scuola salpò da Pola senza una vera direzione: non rispose più ai segnali radio, per evitare di essere rintracciata, e restò per alcuni giorni in mezzo al Mediterraneo, ferma dall’alba al tramonto e in movimento dal tramonto all’alba, per evitare di incrociare visivamente navi tedesche.

Giacomo Giardina

L’idea era quella di rendersi invisibile sino a quando la situazione si fosse normalizzata e fossero arrivate notizie meno frammentarie su quanto stava accadendo sulla terraferma e, con esse, comandi certi da eseguire. Ma Giacomo Giardina, sul Vespucci in servizio come nocchiere fuoribordista (ovvero marinaio addetto alla manutenzione della parte esterna della nave), al quinto giorno di navigazione capì che non si potevano più attendere gli eventi: l’insistenza con cui, da giovane militare, si permise di “suggerire” il da farsi al suo capitano, forse in altri tempi gli sarebbe valsa un’accusa di insubordinazione. In realtà, quando la sua storia (venuta fuori grazie all’intraprendenza di un nipote che la raccontò sul sito internet della Regia Marina Militare Italiana, letta per caso dall’addetto alla Segreteria della Presidenza della Repubblica e poi vagliata dalle autorità militari) divenne pubblica, quel coraggio è stato premiato con tre Croci al Merito di Guerra (per il contributo in zona di operazioni tra il ’42 e il ’45) e poi con il Distintivo e la Medaglia Commemorativa della Guerra di Liberazione. Domani sul Vespucci salirà un altro Giardina, fra Salvatore, sacerdote francescano, il più piccolo dei cinque figli di Giacomo, che, dopo aver conosciuto la signora Ada, divenuta sua moglie, da Brindisi non andò più via. “Non nascondo di essere molto emozionato”, dice fra Salvatore. “Papà parlava spesso della sua avventura sul Vespucci. Lo faceva con grande umiltà, senza mai sentirsi l’artefice di quel salvataggio (anche se poi gli accertamenti successivi hanno dimostrato che il suo ruolo fu determinate). Quando, nel 2006, ha ricevuto le onorificenze, qualcuno – congratulandosi – lo ha chiamato “eroe”. Ma a lui non piaceva quell’espressione. “Ho fatto quello che andava fatto”, amava ripetere a noi figli e ai nipoti. Ed è proprio questo l’insegnamento più prezioso che ha lasciato a noi figli e ai nipoti: il senso del dovere”.
Marina Poci