di Sergio Petrucci
Sono arrivato a Brindisi con la mia famiglia nel 1931, avevo 9 anni e frequentavo la terza elementare. Venivamo da Terni. Mio padre, ferroviere, originario delle Marche, aveva rifiutato di iscriversi al partito fascista per cui, come punizione, era stato mandato a Brindisi. Solo questo per capire in quale considerazione fosse tenuta la città, praticamente un luogo di confino, nonostante che da quattro anni fosse divenuta capoluogo di provincia.
Ci sistemammo in una casa a piano terra all’angolo tra via Palestro e via Manara: due stanze… e basta. Senza luce, senza acqua, senza bagno, senza cucina, solo un “fracassè” in camera da letto per cucinare.
Cominciai a frequentare la scuola al Perasso ma, prima della scuola, andavo a prendere l’acqua alla fontana, rimpiangendo la nostra casa di Terni con bagno e acqua corrente. Finalmente, dopo tre anni, avemmo un colpo di fortuna: ci fu assegnato un piccolo appartamento al “palazzo ferrovieri” quel massiccio fabbricato su via Federico II, tuttora esistente con vista sul Parco della Rimembranza.
Insieme a mia sorella Lea, un po’ più giovane di me, facevamo la vita di tutti i ragazzini di allora inquadrati nel sistema fascista: piccola italiana lei, Balilla io e poi marinaretto, senza trascurare di frequentare l’Azione Cattolica alla Pietà, che, seppure mal tollerata dal regime, accoglieva e formava tanti ragazzi.
Ricordo, il 4 novembre del 1933 la grande festa per l’inaugurazione del Monumento al Marinaio. Attraversai insieme a mio padre il ponte di barche costruito appositamente, e vedemmo passare il motoscafo che portava il re Vittorio Emanuele fino alla banchina del Monumento per raggiungere il sontuoso palco reale.
Dopo le elementari mi iscrissi alle scuole tecniche: tre anni di avviamento professionale a Brindisi e poi la scuola tecnica a Lecce. Mentre frequentavo l’ultimo anno da geometra, quel corso di studi venne istituito anche a Brindisi. Io ero l’unico studente iscritto all’ultimo anno, tanto che non avevo neppure un’aula e sedevo, da solo, in un banco nel corridoio con i professori che facevano lezione solo a me. Ed in solitaria sostenni anche gli esami di licenza nell’assoluta certezza che non avrei copiato da nessuno.
Intanto osservavo i cambiamenti che avvenivano in città: le case INCIS, i palazzi governativi in piazza santa Teresa, la scalinata con la Fontana dell’Impero di cui conservo un pezzetto di marmo verde che raccattai abbandonato nel cantiere…
Cominciai a frequentare l’università a Bari, ma lo scoppio della guerra capovolse tutti i miei progetti come quelli di tanti altri giovani. Nel 1942 venni arruolato nella Regia Marina e per qualche mese fui utilizzato negli uffici amministrativi della Difesa a Brindisi, ma mi sentivo inutile e pensavo ai miei coetanei che erano al fronte, così dopo aver fatto il corso di radiotelefonista, chiesi di essere reso operativo e fui imbarcato sulle motozattere che, in Sicilia, trasferivano i soldati che rientravano dalla Libia.
L’8 settembre mi sorprese a Livorno e vissi quei momenti di sbandamento e di confusione insieme ai miei commilitoni. Il nostro capitano divise tra tutti la “cassa” e ci salutò affidandoci alla buona sorte. “TUTTI A CASA” è il titolo di un film che racconta quelle giornate, ma la mia casa era lontana. Brindisi era ormai nell’Italia liberata dagli alleati ed io mi trovavo al di qua della linea Gotica, nella zona ancora occupata. Raggiunsi fortunosamente il paese dei miei nonni nelle Marche e lì restai nascosto fino alla fine della guerra, rischiando un paio di volte di essere passato per le armi dai tedeschi. Mi salvò la mia figura minuta che mi faceva somigliare più ad un tredicenne che ad un uomo fatto. Passavo le giornate nascosto in soffitta e scrivevo lunghe lettere alla mia fidanzata brindisina, lettere che non spedivo, ma raccoglievo in un quaderno che ancora oggi conservo. Aida poi è diventata mia moglie, mi ha dato 3 figli e ancora oggi è accanto a me, vicina anche lei a festeggiare il secolo di vita.
Tornato a casa nel febbraio 1945 ho iniziato il mio lavora da geometra nell’Impresa di don Ciccio Elia ed è qui che la mia vita si è intrecciata con la ricostruzione e la rinascita della nostra città, partecipando alla realizzazione di tante opere importanti. Nel 1951 realizzammo il grande progetto del Punto Franco sulla banchina di Sant’Apollinare, e negli anni 60 il bel palazzo della Banca Nazionale del Lavoro oltre ad altri importanti edifici in centro, e poi il cavalcavia di Bozzano negli anni 70 e i lavori di urbanizzazione di quel quartiere che doveva essere il fiore all’occhiello della città e sempre a Bozzano il mio impegno personale nel seguire i lavori della bella chiesa parrocchiale intitolata a san Giustino de Jacobis.
100 anni sono tanti e sotto i miei occhi ho visto trasformarsi la città di Brindisi da paesone malarico dove ero arrivato bambino, punito, insieme a mio padre, a città fiorente e vivace negli anni del boom economico, fino ad oggi quando, passeggiando per le strade del mio quartiere. non posso fare a meno di osservare qualche trascuratezza che non sfugge al mio occhio di “geometra” e mi rivedo ragazzino con i secchi in mano, davanti alla fontana, e con i miei progetti per il futuro che mai avrei immaginato tanto lungo.