di Giovanni Membola
Le “Feste dell’Uva” venivano organizzate qua e là, in ogni parte d’Italia, già da prima che il governo fascista elevasse questa manifestazione a festa nazionale, con la “finalità di diffondere il consumo dell’uva, di cui sono note le benefiche qualità nutritive e dietetiche, e di dare incremento ad un importante ramo della produzione agraria”. L’iniziativa, approvata da Mussolini, fu dell’allora sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste Arturo Marescalchi, con lo scopo di valorizzare e promuovere il consumo del frutto della vite per fronteggiare la crisi del settore causata dalla sovrapproduzione. Il 28 settembre 1930 venne così celebrata in maniera capillare in tutta la nazione la prima “Giornata dell’uva”, tramutata successivamente in festa popolare di grande successo, specialmente nelle zone a tradizione vitivinicola. Le manifestazioni dovevano dare un valido impulso all’utilizzo di uno dei principali prodotti sui quali si reggeva l’economia agricola italiana, si ritenne pertanto necessario esaltare le proprietà terapeutiche e allo stesso tempo spingere l’uso dei suoi derivati, come marmellate, succo e soprattutto vino, una propaganda accorta che venne organizzata in maniera da sostenere l’idea che il vino, assunto in dosi moderate, rappresentava un ottimo alimento e quindi non andava in contrasto con la politica antialcolica del regime.
In più luoghi del territorio nazionale furono riproposte antiche feste legate alle uve e alla vendemmia, lo stesso avvenne a Brindisi, dove sette anni prima aveva ottenuto un considerevole successo un evento a carattere regionale organizzato per promuovere la principale produzione del territorio. Era stata la prima “Fiera dell’Uva”, allestita nella centralissima Piazza Cairoli su iniziativa dell’Unione fra Commercianti con il fine di incrementare i traffici commerciali del nostro squisito prodotto. L’appuntamento era stato pensato dall’associazione locale per “far conoscere alle classi commerciali di tutta Italia le floridissime attuali condizioni delle nostre terre ricostruite a vigneto, e l’ottima produzione dell’annata in corso”. L’idea venne entusiasticamente accolta da tutte le principali associazioni vinicole d’Italia, come l’Unione Nazionale Vini di Milano, l’Associazione fra Negozianti in Vini di Venezia e dalla stampa tecnica specializzata. Oltretutto per tale occasione, e per un certo periodo di giorni, grazie al “vivo interessamento” del commendator Starace, le Ferrovie dello Stato decisero di concedere un congruo ribasso ai prezzi dei biglietti ferroviari per i treni provenienti da tutte le stazioni del regno diretti a Brindisi. I partecipanti alla fiera potevano godere inoltre di speciali agevolazioni anche per il soggiorno in città.
L’organizzazione della Grande Fiera, al quale si decise di annettere anche una Mostra Campionaria dell’Uva e “una gran gara fra i produttori”, fu affidata alla locale Cattedra Ambulante di Agricoltura diretta dal prof. cav. Giovanni D’Ambrosio. Nelle settimane precedenti venne diffuso un appello a tutti i viticultori pugliesi affinché partecipassero all’iniziativa, così da avere una valida occasione per “affermare gagliardamente” la bontà dei loro prodotti, ed avere maggiori possibilità “per una più interessante e redditizia esportazione”, specie delle uve da tavola. Tutti furono invitati a mandare campioni di uva in ceste ben confezionate o pendenti su tralci, distinti in uve da mensa o da vino bianco o rosso.
Ciò rappresentava un chiaro sintomo del risveglio commerciale della città, una opportunità per dimostrare alle classi vinicole di tutta Italia la bontà della produzione di uva nel nostro agro e del territorio limitrofo, con centro di produzione Brindisi, da non ritenersi assolutamente inferiore a quelle delle altre regioni italiane. Fu l’occasione anche per un primo timido tentativo di marketing territoriale: si cercò di mettere in evidenza come Brindisi era in condizione di poter “offrire ogni conforto di vita con prezzi molto convenienti rispetto alla gran maggioranza delle città d’Italia”.
La Fiera dell’Uva venne inaugurata la mattina del 6 settembre 1923, proprio nello “spiazzale” nei pressi della sede dell’Unione fra Commercianti, presieduta all’epoca da Francesco Carbone. L’associazione in quegli anni aveva già organizzato con successo una serie di progetti per incrementare il movimento commerciale nella città: due mesi prima era stato inaugurato, sempre in Piazza Cairoli, il tanto atteso Mercato Settimanale (v. articolo del 16/4/2021), ed aveva ottenuto un buon successo anche con l’organizzazione del primo Congresso vinicolo pugliese, grazie al quale, per la prima volta, le allora tre province pugliesi si erano strette in una comunanza di propositi, votando insieme, per la difesa degli interessi della nostra produzione e commercio dei vini, la istituzione di una Federazione viticola e vinicola pugliese.
Una speciale Giuria aveva il compito di valutare i prodotti esposti e assegnare una serie di premi, con diplomi e medaglie di ogni tipo. Furono ben quarantasette i produttori espositori brindisini, gli altri giunsero da Barletta, Corato, Monopoli, Taranto, Grottaglie, Martina Franca e dal resto della provincia di Terra d’Otranto (principalmente Ostuni, Squinzano, San Pietro Vernotico, Mesagne e Taviano).
Al termine della manifestazione furono molto apprezzati gli sforzi messi in campo da tutti per la buona riuscita dell’iniziativa, che risultò utile sia al grande che al piccolo commerciante locale; fu definito “straordinario” il modo in cui erano stati valorizzati al meglio “le promettenti energie cittadine, dalle robuste e tenaci bracce dei contadini guidati dall’illuminata industria dei tecnici”, qualcuno enfatizzò forse eccessivamente tale successo, tanto da spingersi a ipotizzare persino “un grande avvenire per Brindisi”. L’appuntamento si chiuse però con un inatteso quanto spiacevole strascico polemico tra due espositori, Giuseppe Lamacchia di Brindisi e Oronzo Casardi di Barletta, ricomposto solo dopo un paio di settimane.
Nel secondo dopoguerra ci furono alcuni tentativi per riproporre l’interessante appuntamento, ma solo dopo molti anni, nel settembre del 1965, si riuscì a organizzare un evento che riscosse sin da subito un notevole successo di pubblico, lasciando negli anni un segno indelebile nella memoria storica cittadina: il “Festival dell’Uva e del Vino”. Per tutti i brindisini era semplicemente “La Festa dell’Uva”, un avvenimento molto popolare ma sempre ben organizzato dall’Ente Provinciale per il Turismo di Brindisi, che prevedeva coloratissime sfilate di bande, majorettes e di straordinari carri allegorici ornati di tralci, uve e fiaschi di vino sui corsi principali, con numerosi chioschi folkloristici riccamente addobbati sul lungomare e nel piazzale Lenio Flacco. L’esposizione merceologica promozionale dei prodotti delle nostre terre avveniva al richiamo irresistibile di “grappolo da gustare e bicchiere da sorseggiare”, mentre gli spettacoli di solito prendevano il via verso le ore 18, in maniera da far coincidere i tempi di sosta dei turisti in città e renderli partecipi alle varie e divertenti iniziative. Durante le ultime edizioni si perse però quel senso originale della festa, la manifestazione pian piano assunse un tono banale, con bancarelle che vendevano cianfrusaglie che nulla avevano a che fare con l’uva e il vino. L’ultima edizione fu quella del 1972, la tradizionale e ancor’oggi rimpianta festa settembrina venne interrotta dall’epidemia di colera che nell’estate successiva colpì in particolare la Puglia e la Campania.
(Foto Giancarlo Buscicchio)