di Giovanni Membola per il7 Magazine
Un piccolo ambiente conformato a “vela latina” risalente al tardo XIII secolo, realizzato con spessi muri e straordinarie volte in carparo e pietra leccese, all’interno del quale spicca l’ampio forno dalla cupola originale. Siamo nell’antica panetteria di Salvatore Internò, da tutti conosciuta come “La Casa ti lu Piscuettu”, situata nella piccola piazzetta di via Passante, nel cuore del centro storico di Brindisi. Secondo alcuni studiosi dei beni del patrimonio culturale, il locale era la cucina del vicino convento delle suore di clausura attiguo alla chiesa di san Benedetto, poi divenuta Caserma Carafa, con il quale era collegato attraverso un tunnel sotterraneo, lo confermerebbero le attente analisi sulle pietre e la tipica architettura del forno. A distanza di otto secoli qui si continua a sfornare pane e alcune specialità tra le più autentiche e genuine della tradizione locale, con un occhio sempre attento alle innovazioni e ai gusti di una clientela sempre più esigente e variegata.
Salvatore Internò e la moglie Romina De Marco, rappresentano la terza generazione di fornai che sin dalla fine dell’Ottocento gestiscono il noto panificio artigianale a conduzione famigliare: fu nonna Marietta (al secolo Madia Maria Rinaldi, originaria di Monopoli) ad acquistare il locale e avviare l’attività, presto affiancata dal figlio Antonio, mentre il marito continuava nel suo mestiere di “scarparo” (calzolaio). Donna dal carattere forte, determinata, Marietta volle a tutti i costi far proseguire la professione di fornaio al suo ‘Ntunuccio, una vera e propria arte portata avanti poi da Oronza Toraldo, che prese le redini del forno a pietra dopo la prematura morte del marito. Ancora una volta sono le donne di famiglia a dimostrare con determinazione il loro grande valore: lasciò la sua avviata attività di sarta per dedicarsi anima e corpo al panificio e garantire gli studi al figlio Salvatore, per poi concedergli la possibilità di scegliere se proseguire con l’università o lavorare al forno. Lui, appena conseguito il diploma di perito chimico, non ebbe dubbi, volle continuare in questa professione, una scelta di cuore e di passione, e i suoi studi sono serviti – tanto – per sperimentare nuovi metodi di produzione, rispettando con disciplina le rigide regole della panificazione naturale.
Basta scendere poche scale per accedere nel tipico e suggestivo locale sottoposto di un paio di metri rispetto alla sede stradale, qui si è subito accolti da un profumo straordinario, quello delle pagnotte appena sfornate, e dalla cordialità e simpatia dei coniugi Internò, una garanzia di bontà e genuinità. Il loro pane casareccio a pezzature diverse, di farina di semola di grano duro rimacinata e non, dell’insuperabile varietà Senatore Cappelli, è fatto con il lievito madre (detto “luvatu” in salentino o “criscituru” in brindisino) e racchiude in sé sapori e odori di una volta: ci vogliono ben 24 ore di lievitazione prima della cottura in forno, che dura solitamente 50 minuti, prima di ottenere quei pezzi dalla crosta dorata e croccante che ben tiene la mollica soffice, ariosa e saporita. “Il nostro lievito madre è quello originale di mia nonna, è da settant’anni che lo ‘rinfreschiamo’ ogni due giorni – racconta Salvatore mentre lavora appassionatamente al suo forno, dove opera sin dalle 4 del mattino – produciamo anche altre tipologie di pane utilizzando il lievito di birra, per chi non gradisce quel sentore acido, anche se sempre ben contenuto, della pasta madre”. Poi ci sono le frise (“per favore, chiamali ‘piscuetti’, così i brindisini ci capiscono meglio”, si raccomanda), di ben sette tipologie differenti: con farina integrale, all’orzo, ai multicereali, con farina di segale e quelle con il “grosso” e farro, tutte squisitissime e tanto richieste. “Presto sperimenterò la farina di polpa di carrubo bio, mescolata alla semola di grano duro” promette, e poi le focacce di ogni genere, con pomodoro Pachino o farcite, “il pezzo forte però è la ‘Puddica brindisina’ – spiega con quella giusta punta di orgoglio – fatta seguendo la ricetta antica e originale, con pomodori di pennula, alici, capperi e olive nere, le Leccine naturali, più amarostiche che contrastano bene con il dolce del pomodoro”. Non mancano ovviamente vari tipi di tarallini, sempre tanto richiesti, e l’assortita pasticceria da forno, con pasta frolla e di mandorle, i biscotti della nonna e da inzuppo, e i famosissimi “bocconotti brindisini” ripieni di gustosissima mostarda di uva. Dei dolci si occupa Romina, il motore propulsivo dell’attività, è lei l’artefice anche dei Burger Buns, i panini americani con o senza la copertura di semini di sesamo, ideali per gli hamburger e tanto richiesti dalle paninoteche locali. “Alla base di questi prodotti di nicchia ci sono attenti studi e ricerche di mercato – affermano – è necessario restare al passo con i tempi, rispettando la tradizione artigianale senza rinunciare alla qualità”.
In effetti la clientela non manca mai, nella panetteria c’è sempre tanta gente proveniente da ogni rione della città e da altri comuni, arrivano ordinazioni anche dall’estero e persino dagli Stati Uniti. “Serviamo diversi punti vendita locali e della provincia, siamo i fornitori di alcune rinomate aziende locali di vini (Botrugno e Rubino) e della Coldiretti, e riceviamo tanti complimenti ed elogi dai nostri numerosi clienti, anche attraverso i social media, il loro è il più importante riconoscimento, la migliore soddisfazione”. Il segreto di tanto successo? “Le materie prime naturali e di qualità, prodotti italiani selezionati con grande attenzione – risponde risoluto Salvatore – poi la passione per questo mestiere, ricco di sacrifici e impegno, ma anche l’utilizzo della sola legna di ulivo che conferisce ai nostri pani quel profumo e una fragranza particolare”.
Il forno, che occupa una superficie di circa 16 metri quadrati, richiede ben due quintali di legna solo per essere portato a temperatura, dopo un’ora e mezza il fuoco viene spostato su un lato e si tiene sempre vivo, mentre sulla suola refrattaria, fatta con chianche di pietra di Cursi (quelle centrali vengono sostituite ogni due-tre anni), pulita con uno straccio umido, vengono cotti i diversi alimenti, anche per conto terzi. Infatti, ancora oggi c’è chi continua a chiedere di far cuocere le proprie “taiedde” di melanzane ripiene, parmigiana, carne e patate e pane nell’antico forno a pietra. Nel passato era una pratica usuale per numerose famiglie, c’erano i cosiddetti “pariani”, la gente del vicinato, che portava il proprio pane al forno per essere cotto, ognuno distingueva i pezzi con un simbolo diverso, e si pagava anche attraverso il baratto (lo scambio dei beni).
Il panificio può inoltre definirsi ecosostenibile, infatti grazie ad un moderno sistema di abbattimento del particolato, i fumi della combustione vengono costantemente “lavati” dalle polveri sottili della fuliggine, elementi dannosi per l’uomo e l’ambiente.
Salvatore, grande appassionato di gastronomia e lievitista esperto, oltre ad essere preparato sulla trasformazione dei prodotti cerealicoli provenienti da produzioni biologiche locali certificate, è anche un eccellente divulgatore di conoscenza, di quel rituale quotidiano fortemente legato alle consuetudini e a credenze popolari e religiose: in questo tempio del pane fanno tappa regolare gruppi di turisti e crocieristi, ma anche numerose scolaresche, a loro viene spiegato con estrema semplicità ed entusiasmo la cultura e la tradizione dell’arte bianca, su come creare odori e gusti capaci di emozionare, oggi sconosciuti alla maggior parte delle persone, soprattutto giovani. Entrambi possiedono una forte carica empatica, sanno consigliare la scelta e spiegare le caratteristiche dei vari prodotti da forno, sempre freschi e genuini, che si mantengono nel tempo ed aiutano l’economia domestica, perché quando si tratta di pane non si va mai di fretta.
Loro figlio Antonio adora tutte queste specialità e già “frattescia” con acqua e farina, è il suo passatempo preferito, ciò lascia presagire che da grande sarà lui l’erede di questa speciale e operosa dinastia di panificatori.