La procura di giudici ragazzini degli anni ‘90, fucina di grandi pm

di GIANMARCO DI NAPOLI

A coordinare le indagini che hanno portato al clamoroso arresto del governatore della Liguria, Giovanni Toti, è stato il procuratore della Repubblica di Genova, Nicola Piacente. Sessantaquattro anni, originario di Terlizzi, in provincia di Bari, Piacente ha compiuto una carriera brillante che è passata tra l’altro dal Tribunale Penale Internazionale per la Ex Yugoslavia a l’Aja (quella per crimini contro l’umanità di esponenti politici serbo-bosniaci) e da indagini antiterrorismo. Dal 2012 è componente della delegazione italiana presso il Codexter (comitato di esperti sul terrorismo – ora Council of Europe Counter-Terrorism Committee CDCT) presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo.
Nicola Piacente, quando aveva poco più di trent’anni, ha iniziato la sua carriera di magistrato della pubblica accusa nella procura di Brindisi. Faceva parte di una nidiata di giovani pubblici ministeri che negli anni Novanta hanno reso gli uffici della magistratura inquirente, all’epoca collocati al quinto piano del Palazzo di giustizia, uno straordinario laboratorio che ha prodotto alcuni dei migliori pm italiani nei successivi due decenni.
Insieme a Piacente, nel primo piccolo pool nato per contrastare la Sacra corona unita (proprio in quegli anni inserita a ragion veduta tra le organizzazioni criminali di stampo mafioso, al pari di mafia, camorra e ‘ndrangheta) c’erano Michele Emiliano e Leonardo Leone de Castris. Furono loro tre i primi magistrati brindisini ad essere sottoposti a scorta: Piacente affidato ai carabinieri, Emiliano e De Castris alla polizia. Erano anni durissimi: nella notte in cui la moglie di Piacente diede alla luce il loro bambino, all’ospedale Di Summa di Brindisi, un ordigno venne fatto esplodere nei pressi dell’ingresso.
Piacente ed Emiliano istruirono il primo maxiprocesso contro la Sacra corona unita, con condanne durissime che alcuni di quegli imputati stanno tuttora scontando. De Castris ottenne i primi ergastoli nei confronti di altri affiliati, in Corte d’Assise. Emiliano sappiamo che ha compiuto scelte diverse, puntando sulla politica. De Castris ha invece scalato i vertici della magistratura e attualmente e procuratore generale in Corte d’Appello a Bari.
Ma di quella nidiata di trentenni rampanti facevano parte altri magistrati protagonisti di una carriera strepitosa: Francesco Prete, che pure aveva iniziato nel team anti Sacra corona, e aver lavorato alla procura di Milano ai tempi del pool Mani Pulite, è attualmente procuratore di Brescia e probabilmente sarà il prossimo procuratore di Bologna. Lino Giorgio Bruno, magistrato specializzato in reati di natura fiscale e autore della storica operazione “Atlantide” contro i contrabbandieri di sigarette, è attualmente procuratore di Vicenza.
Laura Liguori, all’epoca specializzata nelle inchieste su corruzione e concussione da parte di politici, è giudice per le indagini preliminari a Lecce. Lia Sava è procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo.
C’era un’atmosfera particolare, in quegli anni, nella procura di Brindisi. Il nuovo codice di procedura penale, quello che poneva sullo stesso piano (anche dal punto di vista logistico) il pm e gli avvocati, era entrato in vigore da pochi mesi, e rimaneva un contenitore tutto da scoprire. La Sacra corona unita impazzava con decine di omicidi, comparivano i primi “collaboratori di giustizia” e in più Milano e Roma era esplosa la stagione di “Mani Pulite”.
Quei giovani magistrati, diretti da un anziano e saggio procuratore come Bruno Giordano, riuscirono a canalizzare le loro energie e a creare una “squadra”, sia pure composta da una serie di individualità “particolari”, che affrontò senza timori rischi concreti. Del resto erano gli anni delle stragi di Palermo e la criminalità non aveva remore a colpire i magistrati. Al piano terra del palazzo di giustizia venne collocato per la prima volta il metal detector, il quinto piano divenne un fortino blindato in cui le scorte sorvegliavano l’ingresso delle stanze dei magistrati.
Nelle pieghe di quella irruenza giovanile, furono commessi anche alcuni errori. Soprattutto quando nel pieno ciclone di Mani Pulite, anche a Brindisi si cercò di individuare filoni di tangenti importanti che qui non esistevano, neanche ai tempi della Prima Repubblica. Gli affari veri, quelli di corruzione con la C maiuscola, anche per vicende brindisine, erano stati conclusi a Roma. Qui c’erano fragaglie, roba da peracottari. E la ricerca esasperata ed emulativa dell’arresto a effetto dei politici provocò spesso danni gravi, con persone innocenti finite in galera per clamorose forzature giudiziarie. Era probabilmente il dazio da pagare per quella foga e le ambizioni di quei ragazzi con la toga.
Nella lotta alla criminalità organizzata e al contrabbando mafioso invece i giovani magistrati ebbero un peso decisivo: le sentenze di condanna ottenute tra il 1992 e il 2000 hanno segnato in maniera definitiva la storia della Sacra corona unita, portandola a un ridimensionamento che è tuttora evidente. Altrimenti si viaggerebbe ancora alla media di due omicidi di mafia e un attentato alla settimana degli anni Novanta.
I millennials non hanno neanche lontanamente idea di ciò che era questa terra prima che loro venissero al mondo. Così come forse in pochi ricordano la storia di quei giudici ragazzini che dalla procura di Brindisi, tutti insieme e forse in maniera inconsapevole e un po’ folle, spiccarono il volo per diventare grandi magistrati.