di Alessandro Caiulo
Archeologia, parola di derivazione greca, significa letteralmente “studio dell’antico” e, almeno in origine, il senso di questa professione è stato lo studiare le civiltà antiche attraverso l’esame dei reperti venuti alla luce attraverso scavi. Inutile dire che, al di là del significato originario, questa parola fa venire alla mente la ricerca spasmodica di tesori nascosti anche con metodi distruttivi, la profanazione e razzia di tombe e quant’altro e, in effetti, almeno fino agli inizi del secolo scorso si notava ben poca differenza fra l’archeologo ed il tombarolo, dal momento che gran parte degli archeologi, altro non faceva, che spogliare i siti archeologici per rimpinguare i depositi e le vetrine di musei e collezioni private, specialmente in Nord America e Nord Europa.
Grazie a Dio, poi, le cose son cambiate ed è cresciuta la consapevolezza della importanza della salvaguardia dei siti dove è sorta e si è sviluppata la civiltà umana ed anche le legislazioni dei vari paesi si sono messe al passo coi tempi.
L’archeologo, oggi, è chi dopo aver compiuto i necessari studi e tirocini, ricostruisce la storia di un territorio o di un sito archeologico analizzando e interpretando le testimoniante delle civiltà ivi rinvenute. Svolge anche attività di ricerca e studio, recupero, conservazione e valorizzazione dei reperti (architetture, manufatti, ma anche resti biologici e umani che sono testimonianza del passato) vigila sulla tutela del patrimonio archeologico nazionale trovando soluzioni anche tecniche che possano contemperare le esigenze di realizzazione di nuove opere con la tutela del patrimonio esistente. Una bella evoluzione della professione, non c’è che dire.
Sappiamo che il territorio brindisino, ricchissimo di resti di antiche civiltà, fin dall’Età del Bronzo, è stato razziato in lungo e largo ed ancora oggi esistono zone prive di tutela ed ancora preda dei tombaroli, ma i pericoli vengono anche da semplici privati, se non addirittura enti pubblici, che pur di realizzare le opere prefissate, non esitano a distruggere e/o occultare le testimonianze del passato e proprio Brindisi, da questo punto di vista, è un emblema dal momento che molti edifici pubblici e, addirittura, un teatro, sono stati costruiti su zone di rilevanza archeologica.
In alcuni casi è la mancanza di denaro o, probabilmente, anche una certa svogliatezza di chi avrebbe potuto, ad aver impedito che venissero riportati alla luce (in alcune casi ritombandoli in attesa di tempi migliori che forse non arriveranno mai), per essere studiati e salvaguardati, resti archeologici di rilevante importanza, come nel caso della necropoli vicino al vecchio Ospedale Di Summa, i resti sul lungomare, ciò che è custodito sotto Palazzo Guerrieri e tanto altro ancora, per non parlare delle condizioni di indecente abbandono in cui versano le antiche fornaci romane di Giancola e Marmorelle, alla mercè di chiunque o, spostandoci in territorio di Mesagne, le terme romane di Malvindi.
Sono più che convinto che ciò che è custodito nei musei è solo una minima parte di ciò che ancora abbiamo sotto i nostri piedi ma dobbiamo, giocoforza, saperci accontentare.
Fatta questa premessa, ho intervistato una giovane archeologa che, in controtendenza rispetto a quella che definiamo “fuga di cervelli”, dopo alcune entusiasmanti esperienze lavorative anche all’estero, ha preferito far ritorno, per mettere su casa e lavorare, sia pure a “scartamento ridotto” rispetto alle sue potenzialità, in Salento, dove coltiva anche altre passioni, come quelle per lo sport, la musica e la pittura, oltre che l’impegno costante nel suo settore specifico che è l’archeologia e per cui mette a disposizione le sue conoscenze a beneficio di scolari e giovani studenti brindisini che si approcciano per le prima volta con questa branchia del sapere, ma dà anche un contributo importante quando c’è da organizzare mostre ed eventi relativi al nostro lontano passato.
Personalmente ne ebbi un’ottima impressione quando, giovanissima, nel marzo del 2016, contribuì all’ottima riuscita della mostra “La donna, i reperti archeologici e le fonti antiche”, con il patrocinio del Comune di Brindisi e l’Arcidiocesi di Brindisi ed Ostuni, presso la Palazzina del Belvedere, affianco alla scalinata Virgiliana, dove ha sede la Collezione Archeologica Faldetta.
Si tratta di Laura Santovito, simpaticamente soprannominata Laura “Croft”, come la Lara protagonista di una fortunata serie di videogiochi e film che hanno come protagonista proprio una archeologa.
Laura, al netto di quello che nell’immaginario collettivo è influenzato da film come Indiana Jones e Tomb Rider, che ne danno una visione romantica ed avventurosa, in cosa consiste e come si svolge l’attività di archeologo nel XXI secolo?
“La maggior parte degli archeologi attualmente si occupa di archeologia preventiva, quindi effettua sorveglianze durante lavori pubblici e privati e in caso di ritrovamenti avviano scavi di emergenza. Altri colleghi svolgono scavi sistematici, cioè campagne di scavi regolari, che possono durare anche molti anni e che sono spesso gestiti da università o da spin-off universitari, altri ancora si dedicano alla divulgazione ed alla didattica. Gli scavi sistematici ovviamente sono una condizione ideale per un archeologo perché danno la possibilità di studiare in maniera completa un sito. Durante gli scavi d’emergenza invece spesso si devono fare i conti con la penuria di tempo e manodopera”.
Quando ti è venuta la vocazione di fare l’archeologa e quali sono stati i tuoi studi e quali le tue prime attività sul campo sia in patria che all’estero?
“Il fascino della scoperta c’è in tutti noi sin da bambini (a chi non piace giocare alla caccia al tesoro!), poi la passione per l’arte classica mi ha portato a scegliere gli studi di archeologia classica all’Università di Firenze, anche se la realtà è diversa dalla visione “romantica” dell’archeologia. Successivamente ho studiato a Lecce perché la facoltà di archeologia (negli anni in cui ho studiato era facoltà, adesso è stata accorpata) aveva un approccio più scientifico e meno storico-artistico e poi sempre presso l’Unisalento, ho frequentato la Scuola di Specializzazione. I primi scavi sono stati in Toscana, quindi erano siti etruschi, a parte qualche piccolo frammento di bucchero non sono stati molto entusiasmanti. Ho scavato anche siti messapici e romani, che preferisco decisamente. All’estero ho partecipato allo scavo di un impianto termale romano a Malta e poi ho lavorato nell’isola come archeologa effettuando sorveglianze. L’esperienza all’estero è stata fondamentale sia per le persone che ho avuto la fortuna di incontrare sia per il lavoro, infatti è stato difficile ritornare in Italia”.
Dacchè sei a Brindisi hai messo un po’ da parte picconcini, cazzuole, spazzole e palette per dedicarti maggiormente ad attività didattiche, divulgative e, sovente, a laboratori di scavi archeologici per bambini. Puoi specificare in cosa consistono e, pensando ai piccoli archeologi in erba che ne prendono parte, come interagiscono con te, fra di loro e con il nostro passato più remoto?
“Le attività didattiche prevedono prima una visita guidata al bene e poi un laboratorio per fissare e far proprie le conoscenze apprese. L’attività pratica è fondamentale per l’apprendimento, soprattutto per i più piccoli, i bambini imparano giocando. I laboratori di scavo archeologico sono quelli che preferisco, perché posso raccontare la mia esperienza, gli aneddoti accaduti durante gli scavi, perché in fondo durante le campagne di scavo ci si diverte anche! I bambini ed i ragazzi sono molto curiosi e ci sommergono con le loro domande e mi spiace dover nascondere loro tutte le difficoltà di questo lavoro. Con i laboratori spesso si crea una sorta di magia e sono proprio i bimbi a risvegliare la passione per questa professione”.
Ti manca il lavoro sul campo o stai traendo comunque belle soddisfazioni anche da quel che fai attualmente?
“Anche se le soddisfazioni sono tante e mi piace quello che faccio, ovviamente mi manca il lavoro sul campo. Ho ancora tantissime, forse troppe cose da imparare e mi dispiace aver dovuto abbandonare. Come tutti i lavori ci sono aspetti negativi: dalle giornate fredde e piovose, alle relazioni con gli enti; però mi manca tornare a casa con le scarpe antinfortunistiche sporche di terra”.
Ipotizziamo per un attimo che ti incaricassero, senza porre limiti di spesa, di tempo e di mansioni, di effettuare alcune campagne di scavo a Brindisi o anche in provincia, quali sarebbero le tue priorità, dove scaveresti e cosa pensi si potrebbe ancora riportare alla luce?
“Sicuramente scaverei a Brindisi, anche se le domus del centro ed loro mosaici suscitano subito il loro fascino, credo invece che gli impianti produttivi siano più interessanti, perché danno informazioni sulle tecnologie dell’epoca e danno voce alle persone comuni che costituivano la maggior parte della popolazione. Per fortuna gli impianti Giancola sono stati scavati e ben studiati, ma ci sono segnalazioni di altre fornaci che sarebbe interessante indagare, così da completare il quadro dei commerci e delle produzioni locali”.
Spesso si tende quasi a confondere e sovrapporre l’interesse storico, culturale e archeologico di un sito ed il business che si può creare attorno, sicchè si viene a parlarne come di attrattori turistici, né più né meno di un Luna Park, di una bella spiaggia o del villaggio di Babbo Natale: sono solamente io a trovare svilente questo modo di intendere i beni monumentali o pensi anche tu che c’è ancora molto da lavorare per formare una coscienza civica che sappia discernere e comprendere che un bene di importanza storica va tutelato, preservato e, soprattutto, rispettato indipendentemente da ciò che se ne può ricavare dal suo sfruttamento economico?
“Non c’è valorizzazione senza tutela e la valorizzazione non deve assolutamente minare la tutela del bene stesso. E’ vero che bisogna lavorare per formare una coscienza civica che rispetti il bene in quanto tale, ma non bisogna commettere l’errore di sradicare ed isolare il bene dal proprio contesto sociale. I beni culturali devono sia avere un valore educativo e formativo ma anche economico, basti pensare agli investimenti fatti per il loro mantenimento che necessitano indubbiamente di un ritorno economico; inoltre investire risorse nel patrimonio culturale garantendo una manutenzione continuativa del bene, evita gli interventi straordinari che sono generalmente più onerosi. Non credo si possa parlare di sfruttamento economico, almeno non in Italia, basti considerare che il patrimonio UNESCO italiano è uno dei più cospicui e rappresenta oltre il 10% nel PIL ma il ritorno economico non è assolutamente proporzionato al suo valore. Ci auguriamo comunque che ogni iniziativa in un bene culturale si svolga sempre nel rispetto del luogo”.
Fra i tuoi interessi e le tue passioni non c’è solo l’archeologia, ma anche tanto altro; ciò che mi ha maggiormente colpito è la tua vena artistica con opere che spaziano dal disegno con matita all’olio su tela, dalla tempera all’acquerello, con risultati davvero soddisfacenti; cosa ci puoi raccontare dell’artista Laura Santovito?
“Devo ammettere che è più facile parlare di archeologia! In realtà è semplicemente un hobby che spesso mi è stato utile anche nell’ambito archeologico per i disegni dei reperti e le piante di scavo. Per me è un’azione normale e fa parte della mia routine quotidiana. Ovviamente non riesco a dipingere sempre ma cerco di ritagliarmi almeno 20-30 minuti a giorni alterni, infatti cavalletto e colori sono sempre pronti all’uso. Chi mi vive da vicino sa che purtroppo dovrà farmi da modello e che frutta, lattine o oggetti di vario tipo mi servono per i quadri e non si possono toccare finché il lavoro non è finito, non vorrei essere nei loro panni”.