di Sonia Di Noi per il7 Magazine
Si accende l’insegna del chiosco di frutta e verdura, un uomo espone le cassette di merce. In inverno a metà pomeriggio è già tramonto, ma promette la primavera. Le campane della chiesa Ave Maris Stella avvertono l’inizio dei vespri serali; dall’altra parte della strada si staglia la potente antenna di Ciccio Riccio – radio, le altre. Se non fosse il quartiere da bere delle estati brindisine, al Casale, si direbbe che viale Duca degli Abbruzzi sia la piazza di un paese.
E poi, piano, arriva lei. Liliana Barba supera la panchina e la paletta del bus, illumina e tira su con vigore i bandoni verdi dell’edicola di sua proprietà. Liliana non è una semplice donna, ma un’epoca intera, che definisce un’identità di provincia. Ha 74 anni e li ha trascorsi tutti nell’attività commerciale di famiglia, tra rotocalchi e gazzette, fumetti e collane editoriali di ogni tipo, nella storica edicola che da settant’anni costituisce uno dei luoghi di aggregazione del rione Casale, ed è probabilmente una delle ultime sentinelle locali di un mestiere che è valore sociale e civile. Con qualsiasi condizione meteorologica, ogni giorno Liliana Barba – la “garibaldina”, come lei stessa descrive il proprio carattere forte e risoluto – apre la sua finestrella sul mondo di buon’ora, alle sei del mattino, con l’entusiasmo e la dedizione di una vita che non le fanno sentire il peso delle levatacce: “Conosco tutto il Casale e il Casale conosce me”
In realtà tutto inizia nell’immediato secondo dopoguerra, quando suo fratello maggiore, Mario, iniziò da strillone con un suo compagno di scuola, quel Vittorio Pezzuto destinato a diventare uno dei primi edicolanti storici della città: “A un certo punto mio fratello dovette partire per il servizio militare, e poiché mio padre era stato licenziato dal suo lavoro in stazione e vivevamo un periodo di difficoltà, lo sostituì nella vendita dei giornali. Mario non è più tornato a Brindisi e ha costruito la sua vita altrove, nel frattempo papà avviò questa edicola nei primi anni Cinquanta”
Liliana aveva 35 anni quando suo padre Efisio l’aiutò a muovere i primi passi da edicolante titolare, “dislocandola” nel bugigattolo che mise su per lei al Villaggio Pescatori, per poi tornare al timone del gabbiotto che tutt’ora si trova in viale Duca degli Abbruzzi quando il genitore venne a mancare. Nel frattempo coltivava altri interessi, era diventata una sarta rifinita, andando a bottega mentre studiava ancora da segretaria d’azienda, non staccandosi mai però dal chiosco di famiglia, ma sempre col temperamento molto indipendente che l’ha sempre caratterizzata. “A sei anni, in prima elementare, sapevo già leggere. Leggevo il Corriere dei piccoli, ho cominciato qui dentro a sfogliare i giornali, a interessarmi di tutto ciò che è questo lavoro e mi piace ancora tanto, amo lavorare: l’edicola per me significa il dialogo con la gente, conoscerla, misurarla, per questo quando faccio festa e non apro mi manca pure”
Il bacino d’utenza del cubo verde di Liliana ricomprende una larga fetta del quartiere, soprattutto da quando il giornalaio nei pressi del campo sportivo ha chiuso l’attività. Un bene che ha saputo gestire per decenni con la precisione di un bilancino da preziosi, attraverso mode, tendenze di mercato, evoluzioni (e involuzioni) sociali. Ma come ha fatto? Come si fa a restare a galla, quando i suoi omologhi sono stati decimati? “Mi sono saputa regolare, sono stata molto oculata nelle mie cose, anche dopo i periodi in cui si andava alla grandissima, come negli anni Ottanta”. Semplice; come l’uovo di Colombo.
Eppure non sono stati precisamente un rettilineo gli ultimi anni, laddove il mondo della comunicazione si sta trasformando a velocità impressionante e la carta stampata invoca sempre più il sostegno speciale dello Stato, gli edicolanti seguono a ruota: “Il boom di internet c’è stato più di cinque anni fa, da lì ho iniziato a ridimensionare anche le copie dei quotidiani, ad esempio se prima la domenica prendevo 100 copie ora ne ritiro 60” I risvolti culturali di un’attività commerciale come la rivendita di giornali ridefiniscono perciò il proprio ruolo: ma in un mondo in cui tutto si appiattisce e dove la tecnologia promuove la solitudine anziché la vita sociale delle persone, il chiosco del giornalaio è un segnale valoriale e di resistenza nel tessuto urbano. In bilico tra nostalgia e modernità. E la nostra protagonista ha dovuto aggiornarsi, perché non poteva certo ignorare lo strapotere del merchandising dei Me contro te (“mamma mia questi, dappertutto, e costano un accidente” si lascia sfuggire Liliana), di Ladybug e delle Lol, al traino di seguitissime serie tv: “Si lavora molto con gli articoli per i bambini, venga a vedere dentro, ne ho di ogni numero al lotto!” In effetti il quadrilatero è un tourbillon coloratissimo di gadget allegati ai giornalini, giochi, bambole, supereroi, accessori vari che restano sempre attraenti per i piccoli avventori. Ma c’è un caposaldo che non è stato mai scalfito: gli album di figurine, che ormai abbracciano una serie sterminata di personaggi e temi, ma soprattutto di calcio. Dà quasi il calore del conforto la notizia che certe tipologie di beni non subiscano flessioni di mercato: le “bidde” dei calciatori edizioni Panini resistono al tempo con una tenacia che commuove, come pure i fumetti di Topolino, Tex e Dylan Dog, a confermare un retaggio storico importante che si conferma tale anche al presente; e al futuro prossimo.
Intanto dal gruppo di ragazzini in bicicletta e in monopattino sul sagrato della chiesa si stacca un biondino, avrà avuto non più di dodici anni, che allunga il collo dal marciapiede, interrogando con lo sguardo: “Le macchinine non sono ancora arrivate tesoro, te l’ho detto ieri” – “ok ciao”. Liliana conosce i suoi polletti implumi alla ricerca del ninnolo latitante: attrarre i più piccoli è la chiave per andare avanti, insomma. Ma c’è anche chi chiede puntualmente l’inossidabile Settimana Enigmistica, perché i cruciverba sono un altro articolo che non teme il passare del tempo, come spiega l’edicolante.
Molto spesso, in spregio alla professione giornalistica, l’operatore stampa viene sarcasticamente bollato come “giornalaio”, disprezzando in modo più o meno consapevole una categoria che continua a svolgere una funzione sociale nell’incognita del proprio destino. Perché è pur vero che le rivendite più grandi possono puntare sulla tecnologia per ampliare l’offerta dei servizi, ma i chioschetti come quello che gestisce Liliana da tutta una vita sono la parte debole della filiera pur rappresentando il cuore delle piccole comunità. Adesso l’informazione non segue più i ritmi dei giornali del mattino e della sera, sostituiti da pallettoni di notizie che bombardano in ogni momento da ogni piattaforma, garantendo un flusso di notizie ininterrotta cui attingere da casa, al pc, sul tablet e sullo smartphone, con la conseguente perdita di luoghi di confronto reale. Questo è uno dei crucci di Liliana Barba, la dispersione di una coscienza d’insieme: “Certo, la gente è cambiata siamo diventati tutti più cattivi e diffidenti, ma io sono ben salda, non mi faccio certo prendere in giro, anche se il mio approccio alle persone resta sempre di grande affetto e sincerità, che è ciò che apprezzo di più nei rapporti”; si potrebbe definire un’antesignana del sorrentiniano “non ti disunire”, a ben vedere.
Da come riferisce Liliana, la crisi del settore dell’informazione si esplica sì in verticale, da chi decide e scrive i contenuti a chi li diffonde – i giornalai -, ma anche in linea orizzontale, di analisi e qualità, e qui è severissima: “Leggo ancora il Corriere della Sera, ma di giornali interessanti ormai non ne trovo proprio, mancano quei bei rotocalchi di una volta, come Epoca e L’Europeo, e poi non ci sono più le ‘penne’ importanti che faceva piacere leggere” Solidità d’animo e spiccato senso critico, “nel mondo ma non del mondo”, diceva il poeta: questa è Liliana Barba, ogni giorno nel suo avamposto della notizia.
Non conosciamo il futuro dell’istituzione edicola e come sarà il giornalaio 3.0, ma finché a un chiosco si affaccerà, poco prima della chiusura, un padre trafelato che chiede l’ultimo numero di Topolino Super e le figurine – “dammi le solite” – per suo figlio, la speranza sarà sempre l’ultima creatura dal vaso di Pandora della carta di giornale.