
Di Gianmarco Di Napoli per il numero 391 de Il7 Magazine
“Il contrabbando? Non è un vero reato. I contrabbandieri? Non sono veri malavitosi”. Quante volte, negli ultimi trent’anni del secolo scorso, sono state azzardate siffatte teorie per definire i piccoli e grandi trafficanti di sigarette prive del bollino del Monopolio di Stato che avevano trasformato Brindisi nella Napoli dell’Adriatico, ribattezzata argutamente “Marlboro City”, con quell’americanismo che paraculava un po’ la contemporanea presenza in loco della Base Usaf e che finì persino sulla maglietta di una squadra di calcio locale di proprietà dell’allora arcinoto “Zio Paparone”, armatore di scafi blu e titolare di altre “squadre” in cui i “pali” non erano quelli della porta. Quante volte?
Anche noi abbiamo più volte storto il naso e abbozzato un sorriso malizioso quando cercavano di convincerci che in fondo il contrabbando era una banale evasione fiscale con cui si sottraevano sì importi rilevanti allo Stato (il quale su quel mortifero vizio degli italiani incassava miliardi, favorendo anche la pubblicizzazione del fumo nelle trasmissioni televisive e nelle competizioni sportive) ma che esso compensava questa omissione di dazio con un’insufflazione di benessere e di posti di lavoro che in altro modo non venivano garantiti.
Ebbene, 25 anni dopo la sua fine ufficiale, determinata dall’Operazione Primavera che nel giro di pochi mesi falciò il contrabbando di sigarette (dimostrando che lo Stato, in qualsiasi momento e molti anni prima – se solo lo avesse voluto – avrebbe potuto distruggere i trafficanti), ebbene dopo un quarto di secolo possiamo affermare che in fondo era vero, i contrabbandieri, quelli “autentici” non erano veri criminali. E vi spiego perché.
Uno dei motivi per i quali lo Stato aveva “tollerato” per decenni lo sbarco di sigarette sulle coste brindisine, consentendo per lungo tempo ai contrabbandieri di utilizzare il porto interno e gli attracchi del seno di Ponente, proprio accanto alla base militare della Marina, per ormeggiare i bolidi a doppio motore fuoribordo utilizzati per trasportare tonnellate di “bionde”, era stato il timore che una concreta e definitiva azione per azzerare il traffico avrebbe avuto come contraccolpo il ritrovarsi disoccupati migliaia di uomini, dai “pali” appunto, agli scaricatori, agli scafisti e viavia in su nelle gerarchie, con il rischio di un’esplosione del crimine senza precedenti.
Ma in realtà quando il ministro dell’Interno Enzo Bianco, il 28 febbraio 2000, diede il via all’Operazione Primavera, il contrabbando, quello era già morto. E lo aveva ucciso la Sacra corona unita. I capi della SCU, soprattutto Salvatore Buccarella, tuturanese collegato a doppia mandata con Brindisi (clamorosa la sua evasione dal pronto soccorso del Di Summa durante una visita cardiaca), avevano intuito che il traffico di sigarette era un business straordinario che non poteva essere lasciato nelle mani dei capisquadra. Così avevano messo i contrabbandieri davanti a un’alternativa: o l’affiliazione all’organizzazione mafiosa, con spartizione paritaria di investimenti e ricavi, o il pagamento di una “tassa” per ogni cartone scaricato sulla costa pugliese.
Quel business, che raggiunse il suo apice quando i brindisini della Sacra corona “colonizzarono” il Montenegro portando i depositi di sigarette da inviare a Brindisi nei porti di Bar (con Adriano Stano, detto “occhi celesti”) e Bocche di Cattaro (con Francesco Prudentino, detto “Ciccio la busta”), trasformò i contrabbandieri da quelli “folkloristici” che sbarcavano sigarette tra i bagnanti regalando stecche per il fastidio e che sfilavano con le Alfette che quasi erano sedute sull’asfalto per il peso dei cartoni, a spietati assassini con fuoristrada rivestiti di lastre, tubi, traversine e grate in acciaio che non scappavano più, ma speronavano le auto delle forze dell’ordine. Loro si erano evoluti, gli sbirri andavano in giro ancora con utilitarie sgangherate, inadeguate alle dimensioni ormai raggiunte da quella battaglia.
Così la morte del vicebrigadiere Alberto De Falco e del finanziere scelto Antonio Sottile e il ferimento del vicebrigadiere Edoardo Roscica e dell’appuntato Sandro Marras, finanzieri mandati allo sbaraglio su una indifesa Fiat Punto contro quelle macchine da guerra, non fu un caso, ma un epilogo inevitabile. Era il 23 febbraio 2000, esattamente un quarto di secolo fa.
Quel giorno persino da Roma si resero conto che si era arrivati al punto di non ritorno. Il contingente di duemila uomini (carabinieri dei reparti speciali, poliziotti e ovviamente finanzieri) inviato nel Brindisino aveva un unico obiettivo: radere al suolo il contrabbando. In quattro mesi furono arrestate oltre 500 persone e sequestrate decine di mezzi blindati. Parallelamente fu inasprita la pena per chi contrabbandava sigarette. Marlboro City era caduta.
Quando le truppe dello Stato smobilitarono vincitrici, e quelle locali vennero armate con mezzi che a quel punto non servivano più (30 fuoristrada blindati Mitsubishi Pajero, 16 modernissime vedette navali e quattro elicotteri), il cerino acceso rimase nelle mani di chi restava, cioé i brindisini.
Il timore era concreto e ne eravamo quasi tutti certi: la fine del contrabbando e l’improvviso stato di disoccupazione per migliaia di persone avrebbe fatto lievitare la criminalità comune. I trafficanti di sigarette si sarebbero trasformati in ladri e rapinatori. Brindisi sarebbe diventata una delle città della Puglia con il più alto tasso di malavita.
La politica locale si mosse per tentare di porre degli argini. Il sindaco dell’epoca, Giovanni Antonino, attraverso i piani d’impresa, riuscì a far confluire una parte degli ex contrabbandieri in attività legali. Altri furono assorbiti dalle società partecipate, ma i posti disponibili non erano comunque proporzionati all’emergenza. E soprattutto gli stipendi neanche lontanamente paragonabili ai guadagni fatti con le sigarette.
Eppure, non ci fu alcun aumento sensibile della microcriminalità: l’ipotesi che i contrabbandieri “licenziati” potessero trasformarsi in ladri e banditi era totalmente sbagliata. Quasi nessuno dei sigarettari autentici avrebbe mai impugnato una pistola o imbracciato un fucile. Quegli altri, i criminali della Sacra corona, cambiarono semplicemente business: ucciso il contrabbando, si concentrarono soprattutto sul traffico di droga e sulle estorsioni. Criminali erano e criminali restarono.
Ma i contrabbandieri no. Gran parte di loro non si spostarono verso altre attività illecite, semplicemente perché non era nella loro indole. Coloro i quali in quegli anni erano parcheggiati per tutto il giorno in decine di bar della città, in attesa dell’inizio delle operazioni di sbarco dei cartoni, oggi sono rientrati in un modo o nell’altro nella vita legale e hanno saldato qualsiasi pendenza con il passato. Molti lo hanno fatto prendendosi anche una meritata rivincita.
Quindi aveva fondamento quella frase che ci faceva sorridere: 25 anni dopo possiamo affermare che gran parte dei contrabbandieri non avevano il dna dei veri criminali. E che l’Operazione Primavera, in fondo, ha salvato soprattutto loro.