Medici di base e pediatri: il nuovo fronte contro la diffusione del Covid

Non soltanto alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale, cosiddette Usca, sarà affidata la gestione domiciliare dei casi sospetti e confermati di pazienti Covid-19: grandi responsabilità avranno anche i medici di medicina generale (MMG) e i pediatri di libera scelta (PLS), ai quali saranno affidati compiti di cura (tramite un protocollo unico contenente le indicazioni terapeutiche), di monitoraggio e, entro certi limiti, di diagnosi per i loro assistiti (attraverso i tamponi rapidi antigenici).
È quanto sottoscritto per la Puglia venerdì 20 novembre nel “Protocollo d’intesa della Medicina generale e della Pediatria di libera scelta per il rafforzamento delle attività territoriali di prevenzione della trasmissione di Sars-CoV-2 a supporto delle attività di sanità pubblica”, firmato, oltre che dalla maggior parte delle organizzazioni sindacali di medici, dall’assessore regionale alla Sanità, professor Pier Luigi Lopalco, e dal direttore del Dipartimento per la Promozione della Salute, dottor Vito Montanaro. L’accordo prevede l’applicazione delle relative linee di comportamento a situazioni molto diverse tra loro: si rivolge, infatti, alla gestione dei casi sospetti, dei casi confermati e dei contatti stretti di casi confermati. In particolare, i medici di famiglia e continuità assistenziale e i pediatri di libera scelta prenderanno in carica a distanza i propri assistiti posti in isolamento o quarantena, determinando l’inizio e la fine di quest’ultima, fornendo ai soggetti interessati le informazioni igienico sanitarie e comportamentali da seguire nel periodo di osservazione e prenotando i tamponi molecolari per i pazienti sintomatici, nonché eseguendo i tamponi rapidi antigenici per i contatti stretti asintomatici dopo 10 giorni di quarantena e per ogni altro caso sospetto di contatto che il medico o il pediatra, dopo la visita, ritengano di sottoporre a test rapido. Le Usca, invece, gestiranno a domicilio i pazienti che non necessitano di ricovero ospedaliero ed effettueranno i tamponi molecolari nasofaringei.

Nel più ampio accordo tra Regione Puglia, MMG e PLS, si inserisce poi un ulteriore protocollo, dedicato alle indicazioni strettamente terapeutiche, elaborato dai medici di alcune sigle sindacali, tra cui Fimmg (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), Siicp (Società Italiana Interdisciplinare per le Cure Primarie) e Simg (Società italiana di medicina generale e delle cure primarie), con la supervisione scientifica del professor Gioacchino Angarano, infettivologo, uno dei 15 medici pugliesi pensionati tornati in attività per essere d’aiuto in occasione dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Sars-CoV-2. Anche in Puglia, pertanto, sebbene con un certo ritardo rispetto a quanto accaduto in altre regioni, arrivano le linee guida per la gestione terapeutica domiciliare dei pazienti (sospetti e confermati) Covid-19: paracetamolo e sedativo per la tosse per chi ha sintomi blandi e può essere gestito direttamente dal medico di medicina generale; copertura antibiotica, terapia a base di cortisone ed eventualmente eparina, con attivazione della Unità Speciale di Continuità Assistenziale, per i pazienti che manifestano sintomi di moderata o media gravità; ricovero ospedaliero esclusivamente nei casi più gravi in presenza di elevata desaturazione e di necessità di ventilazione assistita. Il tutto, naturalmente, salvo diverse valutazioni valide per specifiche esigenze di cura di pazienti con particolari patologie: ipertesi, cardiopatici, oncologici, diabetici, dializzati e immunodepressi in genere, fumatori e ultra 65enni sono, in genere, ad alto rischio di ospedalizzazione.
La Regione ha quindi predisposto un sistema integrato di collaborazione tra operatori sanitari che, non appena tutte le Usca saranno attive (cosa che nella provincia di Brindisi dovrebbe avvenire giovedì 26 novembre), dovrebbe essere in grado di garantire l’assistenza sanitaria con i più alti standard di efficienza: l’obiettivo, come si legge nel documento, è quello di “potenziare la risposta territoriale alla grave situazione emergenziale che si sta affrontando, valorizzando il contributo professionale della Medicina Generale e PLS, quale primo contatto del paziente”.

Quanto alle indicazioni terapeutiche contenute nel documento regionale, è previsto che, se non c’è ancora conferma della positività ma il paziente presenta febbre superiore ai 37.5 gradi, rinite e tosse, vengano somministrati paracetamolo e sedativi della tosse. In caso di accertata positività, ma in assenza di sintomi, non è prevista alcuna terapia farmacologica, ma solo sorveglianza sanitaria. Quando, invece, si è davanti a una forma moderata o di media gravità (paziente con sintomi compatibili con broncopolmonite interstiziale senza comorbidità), è necessario attivare subito l’Usca per valutare l’inizio di una terapia antibiotica o cortisonica (in ogni caso, si raccomanda fortemente di non somministrare antibiotici nelle prime 48-72 ore e cortisonici prima di 72 ore dall’inizio dei sintomi) e cominciare la terapia antitrombotica a base di eparina.
Rispetto a tali linee guida, la dottoressa Mimma Piliego, medico di base che esercita la professione a Brindisi, conferma che già da qualche tempo la gestione domiciliare dei pazienti Covid-19 avviene secondo quanto prescritto nel protocollo: “Attualmente gestisco a distanza circa 40 pazienti positivi, curandoli prevalentemente con tachipirina e sedativi per la tosse, raramente con cortisone e antibiotici. Mi limito a segnalare alla Asl il caso, in modo che venga effettuato il tampone, e proseguo con il monitoraggio telefonico due volte al giorno. Soltanto per un paziente è stato necessario attivare l’Usca, che ha optato per il ricovero, visto l’aggravamento delle condizioni”.
Il punto più controverso dell’intero accordo del 20 novembre scorso è però quello che riguarda l’obbligo, per medici di base e pediatri, di effettuare sui propri pazienti i test rapidi antigenici, in previsione della stagione invernale e del conseguente prevedibile aumento dei casi di sindromi simil-influenzali sostenute, oltre che da SARS-CoV-2, anche da virus influenzali e parainfluenzali.

Le ragioni della giunta regionale sono facilmente comprensibili: constatata una oggettiva sofferenza nel sistema della tempestiva individuazione e del conseguente tracciamento dei contagiati, gestito dalle ASL, si è demandato l’accertamento diagnostico ai medici più presenti sul territorio, con lo scopo precipuo di contribuire a isolare i casi e identificare rapidamente i focolai per evitare la diffusione del virus. Alcune sigle sindacali (Simet, Smi, Snami e Fp Cgil) hanno, tuttavia, accolto tale provvedimento con particolare scetticismo e una certa resistenza, proclamando lo stato di agitazione e rivendicando una maggiore attenzione per le problematiche dei medici di medicina generale, chiamati da marzo ad oggi a una sfida senza precedenti nella gestione dei propri pazienti. La dottoressa Piliego, appartenente allo Smi (Sindacato Medici Italiani) è estremamente critica sul punto: “L’esecuzione dei tamponi rapidi nei nostri studi comporta seri pericoli per la salute di noi operatori sanitari e di tutti gli altri pazienti, presumibilmente non Covid, che si rivolgono a noi per la normale assistenza medica. Non ci sono le imprescindibili condizioni di sicurezza, ad esempio per il rispetto del protocollo di vestizione di noi medici e per lo smaltimento dei materiali necessari ad effettuare i test. Occorre attivare tutte le Usca, rafforzare gli organici degli uffici di igiene e sanità pubblica, procedere a nuove assunzioni di medici di medicina generale convenzionati, di guardie mediche, di medici 118 e di pediatri di libera scelta. Così si risolve il problema, non gravando i medici di base di compiti per i quali non sono preparati”.

In verità, le criticità rappresentate dalle sigle sindacali più scettiche sono superabili: il Protocollo prevede, infatti, che i medici di base e i pediatri debbano comunicare alla Asl di riferimento la propria disponibilità specificando se l’attività diagnostica sarà svolta nel proprio studio professionale o se si intenderà avvalersi di strutture fisse o mobili rese disponibili dai Comuni e dalle sedi di Protezione Civile e appositamente individuate in maniera il più possibile omogenea sul territorio. La dottoressa Brigida Giuliano, pediatra di libera scelta che esercita a Latiano, racconta che effettuerà i tamponi proprio con questa modalità: “Per quanto riguarda la categoria dei pediatri, c’è una sostanziale coesione nell’aderire all’ultimo Protocollo. Siamo determinati a dare il nostro contributo nella gestione del paziente Covid domiciliare. Relativamente al Comune di Latiano, io e la mia collega pediatra di libera scelta, nell’impossibilità di mantenere i nostri studi in sicurezza, abbiamo deciso, autorizzate dalla Asl, di eseguire i tamponi rapidi all’interno del Centro Polifunzionale, una struttura che è più facilmente sanificabile, esclude la possibilità di assembramenti e garantisce i percorsi sporco/pulito, evitando contatti tra chi entra e chi esce. In questo modo, come medicina territoriale, svolgiamo il nostro compito di supporto al sistema di tracciamento riuscendo comunque a mantenere al riparo, per quello che è possibile, i nostri ambulatori”.

Al di là della dibattuta questione tamponi, la dottoressa Mimma Piliego esprime grande rammarico per la campagna mediatica (che definisce di scandalosa disinformazione, al limite della diffamazione) messa in atto nei confronti dei medici di medicina generale: “Le posso garantire che in questi mesi abbiamo svolto sul territorio un lavoro costante e capillare. Dal 9 marzo in poi io e miei colleghi medici di base siamo stati costretti, in poche ore, a modificare completamente il nostro lavoro. Abbiamo tenuto aperti gli ambulatori, siamo stati presenti telefonicamente, ci siamo accordati con le farmacie per garantire le prescrizioni a chi voleva evitare di raggiungerci in studio e non abbiamo mai negato a nessuno dei nostri assistiti una visita, ambulatoriale o domiciliare. Mentre le Asl curavano i casi di Covid-19, eravamo noi a seguire i pazienti cronici, i malati oncologici, gli allettati. E lo facciamo ancora adesso, sacrificando spesso i nostri affetti e il nostro tempo libero: io spengo il telefono soltanto in orario di pranzo e di cena, per il resto sono sempre raggiungibile. Per non parlare di tutta l’attività di vaccinazione antinfluenzale che abbiamo portato avanti nelle ultime settimane. Non pretendo che ci chiamino eroi, perché siamo soltanto professionisti che cercano di svolgere al meglio il lavoro che hanno scelto. Ma non ci sto nemmeno a farmi definire lavativa o assente da chi non conosce tutti i rischi che affronto ogni giorno”.
Più morbida la posizione della dottoressa Brigida Giuliano la quale, per ciò che attiene alla sinergia tra medici di base/pediatri e Usca, vede con particolare favore la suddivisione dei compiti: “Credo che il tramite delle Usca, così come predisposto dal Protocollo, possa aiutarci molto e mi auguro che tutte le unità necessarie siano attivate nei tempi previsti. Ci aspetta un lungo inverno e occorre farci trovare preparati. I colleghi delle unità speciali sono le nostre mani e i nostri occhi sul paziente positivo che si trova presso il proprio domicilio. Voglio, però, sottolineare che noi pediatri non perdiamo mai il contatto con le famiglie. Anche se non ci rechiamo a casa per la visita, restiamo il medico di riferimento per i genitori, che ci conoscono, si fidano di noi e con i quali, nonostante la presa in carico da parte dell’Usca, c’è un rapporto diretto e continuo. Questo è particolarmente importante quando ad ammalarsi è un bambino fragile, che ha già una patologia ed è potenzialmente più esposto a sviluppare una forma severa di Covid-19. In questo senso, è decisivo quanto noi rappresentanti della medicina territoriale riusciamo a fare a livello di prevenzione e di informazione, nei confronti di tutta la comunità. Mano a mano che il sistema sanitario è cambiato, a noi medici di base e pediatri è stato richiesto un impegno sempre maggiore, al quale abbiamo risposto con la disponibilità di sempre, e un sempre maggiore dialogo con le Asl e le istituzioni. Mi piace citare l’esempio virtuoso dei vaccini antinfluenzali che abbiamo somministrato quest’anno: rispetto ad altre regioni, in Puglia abbiamo avuto una buona copertura e siamo riusciti a mettere in sicurezza un buon numero di bambini. Personalmente, ne ho vaccinati circa 220. Il mio auspicio è che la stessa fiducia nella medicina territoriale, che avverto in questa situazione di emergenza, sia riposta quando arriverà il momento di consigliare ai soggetti a rischio la vaccinazione anti Covid-19. Per il resto, se fare i tamponi rapidi significa alleggerire il Dipartimento della Salute e fare da cuscinetto tra i pazienti e le Asl, lo faccio molto volentieri”.