Pino Indini e il suo “Lafungese”: il geniale intellettuale morto 16 anni fa

di Giancarlo Sacrestano

Il 23 settembre del 2006, moriva, prematuramente, Pino Indini, l’unico vero intellettuale brindisino che oltrepassò il limite del canalicchio e dimostrò in molte occasioni ed anche all’estero di essere molto all’altezza della alta e significativa letteratura.
Ha pubblicato 23 opere fra narrativa, poesia, saggistica, satira e teatro che hanno sempre riscosso il consenso della critica ufficiale e il favore dei lettori.
Accademico di Merito e Medaglia d’Oro della Presidenza della Repubblica.
Un suo volume di poesie, è stato recensito da Evgenij Evtusenko ed è stato tradotto in lingua russa e numerosi suoi scritti sono inseriti in svariate antologie italiane e straniere.
Pino Indini era nato a Brindisi il 6 Agosto 1938, primo figlio di Francesco Indini medico chirurgo dalle indimenticate qualità professionali e morali, ed Emilia Cocito di origini piemontesi.
Ha compiuto studi classici, ha svolto le mansioni di bibliotecario per circa un ventennio collaborando contemporaneamente con svariati quotidiani, periodici e riviste culturali.
Nel 1986 fu eletto, da un sondaggio di un noto quotidiano cittadino dell’anno.
Conobbi Pino Indini, quando collaboravo con l’Eco di Brindisi, suo editore e le riunioni a tre col direttore Lionello Maci erano incontri di altissimo livello culturale e di profonda fede brindisina.
Davanti a quella scrivania, mentre svolazzava il fumo del sigaro toscano, ed attorniati da migliaia di giornali impilati e libri e pubblicazioni, si creava dall’intimo sconvolgente animo inquieto, il presagio della battuta, l’anticipazione di un aneddoto, l’accenno ad un racconto, il menabò del numero successivo del giornale. “Sangu” era l’inserto satirico”.

Non lo posso nascondere, erano incontri strabilianti e carichi di tensione emotiva e squarciati dal di dentro, da ciò che Pino Indini ci sapeva regalare, con le sue poesie, con le sue opere. Eravamo intellettualmente incazzati, fisicamente interdetti alla mediazione ed alla retorica. Eravamo incazzati per la enormità delle irregolarità, delle ingiustizie, della sconquassata realtà che ci attorniava.
Brindisi era invivibile ed incomprensibile. Figurarsi oggi che di anni ne sono passati più di 20!!! Molti accenni sul nostro giornale, ma molto, attraverso il lavoro di edizione della cultura di Indini nella lunga sequenza di libri, molti dei quali dedicati alla maschera che era nata dal suo animo: Coco Lafungia.
La maschera brindisina di Coco Lafungia ha persino una amabile storia che racconta: “è nato a Brindisi, zona “Sciabiche” in una data impossibile da precisare in quanto il padre Diatoro e la madre Cuncipita, contadini analfabeti, lo dichiararono all’anagrafe quando era già adolescente.
Il suo bisnonno Zachèle, detto “Sette Saiette”, era stato coinvolto in storie di brigantaggio e pare facesse parte della banda del famigerato “Pizzichicchio”, per cui subì una condanna ai lavori forzati e venne rinchiuso nel “Bagno Penale” di Brindisi.
Ancora in tenera età, Coco venne avviato al duro lavoro dei campi dal padre Diatoro che lo gettava giù dal letto alle tre di notte per spedirlo nella stalla ad attaccare il cavallo al “travino” e caricare zappe, zapponi, “zappodde”, “sarchiodde” e “pichi”, attrezzi con i quali avrebbero “buttato il sangue” fino a sera”.
L’ignoranza profonda e dirompente della maschera brindisina, Coco Lafungia, non deborda mai da una ossequiosa ed improvvida riverenza alla lingua italiana, di cui non conosce le parole, né i concetti.

In lui rinasce, poco rielaborata, la forma mentis del brindisino medio, sempre poco avvezzo alle arditezze dell’agire, ma macchinoso ed incapace vaneggiatore di concetti squalificati ed ignoranti. Qui l’assenza di una cultura sociale, di un popolo che non gareggia a crescere, ma a elargire lezioni di giustizia popolare: scarsi “cacasenno” e molto “cacafavi”.
Così accade che l’amato Pino Indini, mai osannato e mai ritenuto all’altezza di una attenzione seria da parte di qualche amministrazione locale, una rotonda al Sant’Elia risulta persino iniziativa lodevole ma abusiva, ci elargiva lezioni di cultura sociale nei racconti della sua maschera, così come accadde in “La bolletta salata da “le lettere di Coco Lafungia”.
Si legge: “devi sapere che acquì in Itaglia il coverno ci sta sugando pure le mitolle come sia che ci vuole mandare tutti alla lemosina o puramente a fare i delinguenti e rubbaladri.

Tu prendi presempio a me che sono un povero disgrazziato di professione villano che vado sempre cinque per la pressa e quattro per la furia e che in faccia ai carzoni porto le pezzanculo e poi mi ricapita una bolletta di centomilalire che ti vengono atti che ti sbatti la capo a un pizzulo di parete.
alla quale ho andato dal direttore lettrico e gli sono detto vedi che io tengo due stanze un cesso e la rimessa dove che abbita il cavaddo che non impiccia mai la luce datosi che non tiene le mani e che di lettrodomestiche tengo solamente il fregorifero e l’aradio che la televisione non sta manco dichiarata pevvia del buonamento accolori di cui la luce lettrica nolla consumiamo e ci deve essere un isbaglio in faccia alla bolletta che forse a me mi hanno ricapitato quella di mosignore che impiccia tutta la chiesamadre e positivo paia uno sponderio di luce.
Allora quello è principiato a fare addizzioni e a raggionare difficile che non si capiva un amatocazzo e mi è detto greggio signore acquì non ci sta nessuno sbaglio ma bensì ci colpa solamente un incerto Guanguaglio e di fronte a questo non ci sta niente da fare.
Di cui mi ho sombrato e sono paiato mediatamente per non fare la ficura del zambero che non sa chi è questo imberda di Guanguaglio”.

Tornato a casa ordina alla moglie di spegnere tutte le luci e risparmiare elettricità, perché va girando un certo Guanguaglio.
Il racconto continua: “Fortuna che il cramatina mi ho trovato fuori con comparima Vito Cacatiso che sape di penna quasi che si stava facendo monico, ma poi si ha spogliato essendo che ne ha disceso una carosa, mentre che era picuezzu, la quale mi è detto che sei un alfabeto ignorante di cui mi è spiegato che il Guanguaglio è solamente una presa pecculo del coverno per fottere l’aggente e che non è vero che esiste alla veramente.
Come che mi ho ritirato accasa sono impicciato tutte le luci e puramente quella della rimessa che il cavaddo ha isbandato e il lampino del buonanima del nonno, che moglierima pella paura aveva stutato, pure quello e gli sono detto che lo lascia impicciato giornennotte, che poi se mi perviene un’altra bolletta di Guanguaglio vado arreto dal direttore lettrico e sono mazzate di morte all’uso mio”.