Salvatore e Marcello, due famiglie accomunate da angoscia e voglia di giustizia

di Marina Poci

C’è un filo rosso d’amore ed energia vitale che unisce l’architettura a misura d’uomo di Modena, casa della Ferrari e dell’aceto balsamico nel cuore della ridente Emilia, alla megalopoli cinese di Chengdu, patria del panda gigante, quattordici milioni di abitanti all’ombra di grattacieli e templi antichi. Attraversa, quel filo rosso, la provincia di Brindisi, trafiggendo di dolore Fasano e San Pancrazio Salentino, per unire Angela e Antonio, mamma e papà di Marcello, a una coppia di anziani di cui le cronache non ci hanno detto i nomi, genitori di Salvatore.
È un filo che a un certo punto si fa nodo di sangue, per due vite diversissime eppure legate da un comune destino di verità ancora lontana e giustizia per il momento negata.
È morto la notte tra il 5 e il 6 marzo scorsi, il fasanese Marcello Vinci, ventinove anni, laureato a Roma in Interpretariato della traduzione e volato in Cina subito dopo, negli anni difficili dell’emergenza pandemica da Covid-19, uno dei tanti cervelli in fuga dall’orizzonte ristretto delle offerte lavorative nostrane, che a Chengdu era diventato professore presso la scuola del consolato italiano.
Non si sa se sia morto, invece, anche se le speranze di ritrovarlo in vita sono praticamente nulle, il cinquantaquattrenne Salvatore Legari, infaticabile piastrellista di San Pancrazio, poi diventato imprenditore edile a Modena, padre di due ragazzi di diciannove e ventuno anni avuti dalla ex moglie e convivente con una donna rumena vent’anni più giovane.
Marcello l’hanno trovato sul marciapiedi davanti al grattacielo in cui, al trentacinquesimo piano, c’è l’appartamento di un quarantacinquenne di nazionalità cinese che aveva conosciuto in chat e col quale ha trascorso le ultime ore di vita. Angela e Antonio hanno un corpo su cui piangere, un corpo su cui sperano di far eseguire una seconda autopsia, su suolo italiano e con tutte le garanzie del nostro procedimento penale, perché quella svolta dalle autorità cinesi ha consegnato sulla morte di Marcello una risposta alla quale, conoscendo il figlio, non possono credere.
I genitori di Salvatore, invece, un corpo non ce l’hanno ancora. Gli inquirenti l’hanno cercato senza trovarlo, a Lesignana, nel giardino della villetta dipinta di giallo in cui nei giorni precedenti aveva svolto lavori di efficientamento energetico, e a Sassuolo, vicino al fiume Secchia, dove è stato ritrovato il suo furgone, il Citroen Jumpy sul quale si è allontanato da casa quel 13 luglio scorso, dicendo che andava a recuperare proprio il compenso per i lavori effettuati nella casa di Lesignana.
Gli inquirenti cinesi dicono genericamente che la causa della morte di Marcello è una caduta dall’alto. Danno credito alla versione del proprietario dell’appartamento, il quale ha raccontato che il giovane fasanese ha avuto un malore, a seguito del quale è andato a stendersi nella stanza da letto dalla cui finestra si sarebbe buttato giù.
A cercare Salvatore ci sono andati i Carabinieri di Modena, insieme alle unità cinofile e ai Vigili del fuoco: hanno usato un ruspa e un escavatore, ma niente, di Salvatore non si è mai trovato nemmeno il cellulare, quello dal quale è partito, destinato alla compagna, il messaggio preimpostato “sto arrivando” e che ha smesso di squillare a mezzogiorno del 14 luglio.
L’uomo cinese con il quale Marcello ha trascorso la sua ultima serata è stato in custodia per circa quindici giorni: sembra che dopo la morte del professore abbia ripulito il suo appartamento da cima a fondo, sembra che la polizia l’abbia trovato chiuso in un armadio, sembra che si sia accorto che qualcosa non andava perché, mentre era in un’altra stanza, è stato richiamato da un tonfo, il rumore sordo del corpo di Marcello precipitato per trentacinque piani. Sembra che… eppure, inspiegabilmente, quest’uomo è stato rilasciato e la morte di Marcello è stata archiviata come un atto volontario.
Per la scomparsa di Salvatore, invece, da venerdì 28 ottobre un indagato c’è: è un certo Alex, il propietario trentasettenne della villetta di Lesignana, che a Salvatore doveva soldi, molti, c’è chi dice quindicimila euro, chi addirittura trentamila. Pare che agli inquirenti Alex abbia detto di non avere incontrato Salvatore quel giorno, eppure al giornalista di Chi l’ha visto? che l’ha intervistato per telefono ha chiesto di non essere più disturbato, perché lui in questa storia non c’entra niente e l’unica colpa, sua e del padre che era con lui, è quella di essere stati “gli ultimi sfigati ad avere visto il soggetto”. Il soggetto è Salvatore Legari, figlio, fratello, padre, compagno, amico, lavoratore, per la cui scomparsa, anche se si cerca un corpo, è stato aperto un fascicolo per sequestro di persona a scopo di estorsione.
C’è un filo rosso che unisce Modena a Chengdu e disegna i contorni dei volti che in questi mesi, scrollando i nostri cellulari, abbiamo imparato a riconoscere: la barba incolta e leggermente brizzolata dell’imprenditore di San Pancrazio e quella castana e curata del professore fasanese, l’ovale morbido e accogliente del viso di Salvatore e il profilo affilato e minuto di Marcello. Sono figli di due madri che, come madonne ai piedi di croci immeritate, ancora ne sentono la vita galleggiare nelle proprie viscere: Angela che al suo curioso, spiritoso, studioso Marcello continua a lasciare messaggi di amore e attesa sulla bacheca Facebook, la mamma di Salvatore, anziana e malata, che, se avesse potuto muoversi, quel ragazzo generoso, laborioso e onesto se lo sarebbe andato a cercare di persona, senza lasciare l’incombenza alle altre figlie.
Non potrebbero essere più diversi, Salvatore e Marcello, per età, scelte personali, esperienze di vita, eppure li unisce una storia di lontananza dalle origini, l’incertezza sui loro ultimi momenti e, soprattutto, il bisogno di verità e giustizia delle loro famiglie devastate